Salire sull’ottovolante di Knausgard e… ricominciare daccapo

“Fine” del norvegese Karl Ove Knausgard conclude il ciclo di sei romanzi “La mia lotta”: l’altalena di emozioni di un architetto dei sentimenti, struzzo che non vuol vedere e sentire e daino che corre incontro all’incendio, un’anatomia delle debolezze dell’essere umano

Ho aspettato tre anni la traduzione, di Margherita Podestà Heir, del sesto e ultimo volume della monumentale opera di Karl Ove Knausgard, in pratica avrei fatto prima a imparare il norvegese!
Che dire… apri Fine (1.270 pagine, 27 euro) a pagina uno ed è come salire su un ottovolante che andrà avanti e su e giù e a scossoni, talvolta si fermerà anche, per poi ripartire a razzo e via così per milleduecentosettanta pagine.

Lavastoviglie e nichilismo

Lui è descrittivo in modo maniacale, scrive della preparazione di una colazione per tre pagine intere che si concludono con l’avvìo della lavastoviglie, poi esce in balcone per fumare l’ultima sigaretta della giornata e parte con centocinquanta pagine sul nichilismo, Celan e Dostoevskij. Lui è così, un’altalena di emozioni, un uomo che non fa sconti a nessuno, men che meno a se stesso, un architetto dei sentimenti, uno struzzo che non vuol vedere né sentire ma anche un daino che corre incontro all’incendio. Io amo Knausgaard perchè sa parlare delle debolezze dell’essere umano come pochi altri, conosce la mia anima perchè è fottutamente bravo ad analizzare la sua.

Conclusione imperfetta ma libro più amato

Che dire delle quattrocento pagine in cui prende un personaggio come Hitler, una pagina storica agghiacciante come la Shoah e tira fuori un libro nel libro, un’analisi al Mein Kampf lucida, umana, appassionata.
Fine è la conclusione giusta de La mia lotta (il ciclo di sei romanzi, tutti editi da Feltrinelli), forse non è perfetta, ma io sono anche una fan di Sheldon Cooper e della super-asimmetria, perciò ho amato quest’ultimo volume forse più dei suoi precedenti; la mattina in cui l’ho finito ho chiuso l’ultima pagina e ho pensato: “E adesso?” ma sapevo esattamente cosa avrei fatto; iniziare un nuovo libro era fuori discussione, ero ancora tutta sottosopra, una parte di me in quarantena, chiusa nel mio appartamento, l’altra tra la Svezia e la Norvegia, così ho preso La morte del padre, il primo dell’intera opera e l’ho riletto, e il cerchio si è chiuso.

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