La Sicilia di Consolo? Un alfabeto che finisce con la A

Un libricino a tiratura limitata pubblicata dalle edizioni Henry Beyle: è “Alfabeto siciliano” di Vincenzo Consolo. In origine un articolo di giornale, in cui lo scrittore nativo di S. Agata di Militello fustiga l’Isola col sorriso dolce e beffardo

Un alfabeto mozzato. Vincenzo Consolo come Goffredo Parise? In un certo senso. I sillabari dello scrittore veneto, i suoi famosi e fulminei racconti che erano una specie di diario sentimentale, andavano dalla A di Amore alla S di Solitudine, interrompendosi con questa lettera. Alfabeto siciliano (24 pagine, 22 euro) di Consolo, ripubblicato dalla casa editrice Henry Beyle – fondata a Milano nel 2009 dal bibliofilo Vincenzo Campo, originario della provincia di Palermo – è stato, invece programmaticamente concepito come un testo breve, che iniziava e finiva con la A.

Un dizionario in… nove voci

In origine, quello che adesso è un libricino per palati finissimi e a tiratura limitata (in 375 esemplari), curato da Paolo Di Stefano, firma del Corriere della Sera, era un articolo, sorta di dizionario personale in nove voci, commissionato dalla redazione culturale del Giornale di Sicilia allo scrittore di Sant’Agata di Militello e pubblicato su questo quotidiano nell’edizione del 21 dicembre 1985 (anno di quel gioiello della produzione di Consolo che è «Retablo»). Torna a nuova vita, con il consenso degli eredi dello scrittore, ed è una chicca sotto ogni punto di vista, certamente sul piano letterario, ma anche a livello tipografico, vista la cura con cui è concepito l’oggetto libro in sé: pregiata carta di cotone, stampa a piombo, rilegature con cucitura a mano, e pagine all’antica, intonse, da liberare con un tagliacarte.

Tra paradosso e sarcasmo

Sul Giornale di Sicilia il pezzo di Consolo era stato intitolato – tra paradosso e sarcasmo – «Il vero Siciliano»: da «ab antiquo» ad «autorità», passando per «amore», «apparenza», «anima», «America» e «amicizia» va in scena un divertissement in piena regola. Fustiga col sorriso dolce e beffardo, l’autore, contro «quest’abitudine dei siciliani di chiudere in casa l’essere e mandare in giro l’apparenza, la forma», o nell’affermare che l’anima è «poco compresa e quindi poco praticata, portati come sono, i siciliani, alla corporalità». Un altro esempio? A proposito di «amicizia» si legge: «È il più nobile e il più antico dei sentimenti in Sicilia, che si traduce in un profondo ed eterno legame di rispetto e di solidarietà. Un sentimento prevalentemente maschile. Per la sua intensa forza, l’amicizia si espande e si trasferisce in orizzontale, e in progressione geometrica, agli amici degli amici, e in verticale, ai discendenti diretti e collaterali, fino a formare consorterie, gruppi, famiglie, cosche, di notevolissima rilevanza sociale. In nome dell’amicizia, si può e si deve fare tutto in Sicilia…». Niente male – in termini di ironia, coraggio e autorevolezza – da scrivere, pubblicare e leggere nel bel mezzo degli anni Ottanta in cui Palermo era insanguinata da Cosa nostra… (Questo articolo è stato pubblicato sul Giornale di Sicilia)

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