È ambientato a Ortigia “Le isole di Norman”, romanzo di Veronica Galletta che ha come protagonista Elena, giovane universitaria, che si mette sulle tracce della madre scomparsa. Una ricerca fra mappe e memorie personali. E come in tutti i percorsi dell’eroe la strada si rivelerà più complessa e l’arrivo sorprenderà anche i navigatori più confusi a ripensarsi con occhi nuovi
Libri, mappe, una casa che è una nave in partenza, o meglio un’isola. Geografie di carta e fragili come memorie che scappano dal baule dei ricordi: sono loro le protagoniste dell’esordio letterario di Veronica Galletta, che di mestiere fa l’ingegnere, e che ha mescolato nel suo Le isole di Norman (304 pagine, 18 euro), pubblicato da Italo Svevo, già finalista al Premio Calvino 2015, il piacere matematico dei numeri all’affascinante Ortigia, il cuore antico di Siracusa, città che Galletta ha abitato nell’infanzia e nella prima giovinezza.
«Una mappa, per prendere fiato»
Elena è la protagonista di questa storia che è insieme una ricerca nel presente e uno scavo nel passato. Tutto è immerso in un’atmosfera sognante nella casa di Ortigia dove la ragazza, matricola all’università, vive con i genitori. Una casa che è una nave, con finestre-oblò, la vista sul mare e le persiane incrostate di salsedine, le stanze come cabine di un mezzo che non conosce ancora la sua rotta, si guarda forse troppo indietro senza sapere dove volgere la prua.
La madre di Elena scompare, un giorno di fine anno, uno dei tanti che compongono un’esistenza mai detta, srotolata su memorie di un passato che sembra sfilacciarsi sempre più tra finzione, sogno, confusione e ricostruzioni inaffidabili. E allora Elena disegna mappe, geografie della mente costruite sulle pile di libri create dalla madre nella sua stanza prima di andare via, schemi matematici, come una tabella della battaglia navale, immagini che vorrebbero rappresentare una logica, sotto, fornire un senso, descrivere un quadro completo della situazione in casa.
«La realtà ha solo bisogno di essere ridotta in forme sempre meno complesse, più semplici da decifrare, da controllare e basta» pensa Elena, che in mezzo allo scombussolamento della sua vita non sa più dove andare, cosa fare. Le mappe ordinano, rassicurano, forse aiuteranno a capire quello che nei ricordi e nei dialoghi non è mai apparso come chiaro e univoco, e di cui la ragazza sente un grande bisogno.
Vuoti da riempire
Sarà perché c’è bisogno di riempire vuoti nella vita di Elena e dei suoi familiari. La voragine più grande è un incidente avvenuto anni prima, i cui effetti ancora si riverberano nel presente tra cicatrici autentiche, marchi sulla pelle come arcipelaghi di isole, e sparizioni da celare sotto finta naturalezza. Una ricostruzione, che in fondo dà il ritmo alla storia: sono del passato nebbioso gli episodi che diventeranno contraltare della narrazione al presente, un presente che è segnato da chiari riferimenti di cronaca: è il 1992.
La memoria è un elemento centrale in questa storia di vertiginosi salti all’indietro verso un’infanzia violentemente scossa. Oggi che è grande, oggi che la madre è andata via di casa, Elena cerca risposte, nessi, prova combinazioni per interpretare i fatti attraverso le mappe e riempire così i vuoti di memoria, di parole, di spiegazioni. È in cerca di un senso, ma forse colmare il vuoto della sua mancanza potrebbe cambiare i suoi piani, la sua geografia.
«Cambiare. Fa un respiro più profondo degli altri. Anche solo pensare a quella parola le crea vertigine. Ogni cosa che cambia le crea vertigine. […] a volte vorrebbe che tutto potesse ridursi a colonne di libri, da mettere in ordine su una griglia da analizzare. E invece no, non può. Forse la soluzione è questa, per tutti. Uscire».
Ortigia, e nessun altro posto
Le isole marcano la vicenda di Elena dentro e fuori, sono il corpo nelle cicatrici che come arcipelaghi le popolano le gambe e la schiena, sono lo spazio in cui si muove per la sua ricerca tra le mappe e i libri della madre andata via. Siamo a Ortigia, il cuore antico di Siracusa, la sua isola densa di fascino, arte e personaggi, che non sarebbe la stessa senza il mare, e senza i suoi gatti, e che rende unico e assai particolare questo romanzo.
«Ortigia è prima di tutto una scelta» si legge tra le pagine di Galletta. È lo spazio circoscritto che protegge Elena, e un po’ ne blocca il movimento. È un posto unico nelle sue contraddizioni, collegata alla terraferma da ponti, così da non scivolare verso il mare, mantenersi in quell’« equilibrio felice per stare dentro le cose» che accoglie il progetto di Elena. L’isola è un elemento essenziale in questa storia: «solo abitandola quotidianamente, accettandone le contraddizioni e affidandoti a lei, Ortigia si rivela, come una cura».
Quando la madre scompare, le mappe di libri domestici della ragazza si sovrappongono alla mappa della città. Inizia così il percorso di scoperta e insieme di liberazione di Elena tra incontri, dialoghi, sfoghi, esitazioni e apparenti pericoli. A volte vivere sull’isola tiene staccati da tutto e tutti, invita ad avvoltolarsi su se stessi, come le spire di una conchiglia. Ma in quella casa ovattata è nascosto il tesoro: solo lì Elena potrà scoprirsi, venire a patti con il suo passato e i suoi genitori perché «è dentro di sé, nel confine fisico e materiale di cui adesso sente il bisogno l’isola che cerca».
L’isola del tesoro
L’isola di Norman esiste davvero, è sperduta e disabitata nel Mar delle Antille, nell’arcipelago delle isole Vergini Britanniche. Un’isola ideale, perfetta per fare da sfondo a una storia di pirati: si dice che proprio lì Stevenson ambientò il suo L’isola del tesoro. Un libro-faro per la Elena di Veronica Galletta, un libro-isola a cui aggrapparsi fin da bambina con la sua avventura, i suoi misteri.
Individuata l’isola, Elena parte come ogni eroe per il suo personale percorso. Seguirà una mappa, e disperderà con i suoi disegni e i libri di casa ciò che nel tempo ha accumulato credendo di studiare la madre, credendo di capire come fosse andato veramente tutto. È un po’ come se la camera-nave si allargasse: ora il campo di battaglia non è casa, è Ortigia stessa. L’obiettivo è liberarsi del bagaglio pesante per riuscire a navigare, schiudere la pietra che la tiene legata al suo rifugio dove ricordi e memorie si mescolano alla finzione tra le pile dei libri.
È un intreccio, quello di Veronica Galletta, che a volte confonde e stritola, soffocando il metodologico progetto di partenza, quello cioè di fare ordine, di capire, di trovare, di aprire le sbarre delle gabbie con una semplice rotta tracciata sulla carta. Come in tutti i percorsi dell’eroe, tra aiutanti e sfide la strada si rivelerà più complessa e l’arrivo sorprenderà anche i navigatori più confusi a ripensarsi con occhi nuovi, e a rileggere tutta la storia da un altro punto di vista.
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