Un romanzo di 95 anni fa, firmato Virginia Woolf, e la sua nuova traduzione, un piccolo capolavoro di Michael Cunningham che si rifà a “Mrs Dalloway” e un recente libro di Francesco Pacifico. Clarissa Dalloway e la voglia immotivata di celebrare l’esistenza…
Tutti credono di sapere ciò che piace veramente a Clarissa Dalloway: organizzare feste. Fuori c’è Londra che si sta lentamente riprendendo, tra le macerie della guerra, mentre lei è in procinto di dare una festa, sontuosa, con tutti quelli che contano. L’errore che ognuno di loro commette è quello di non chiedersi ciò che Clarissa Dalloway vuole veramente? Lo confessa Virginia Woolf stessa in un passaggio assordante: «Ciò che a lei piaceva era semplicemente la vita». Potremmo biasimarla? In un’unica giornata, il 13 giugno 1923, sotto i rintocchi del Big Ben, «l’intera storia umana» si rivela «in un giorno qualsiasi dell’esistenza di una persona qualsiasi»: Mrs Dalloway esce per comprare i fiori e finisce per assistere alla proiezione di tutta la sua vita. Una vita fatta di desideri. Ciò che Clarissa Dalloway vuole continuare a sentire è quell’energia che trasmette la vita, che raccoglie all’appello tutti i desideri abbandonati, nascosti, dimenticati e che diventano timore puro. «Ecco allora […] il terrore, la paralizzante incapacità, i genitori la mettono nelle nostre mani, questa vita, perchè sia vissuta fino alla fine, percorsa con serenità; c’era nelle profondità del suo cuore una paura terribile”. Quando Virginia Woolf inizia a scrivere il suo romanzo (pubblicato nel 1925) sente scorrere un’energia indomita, dice: «Ho fin troppe idee», a proposito di Mrs Dalloway. La stessa Anna Nadotti, chiamata a una nuova traduzione del romanzo, sottolinea: «Ciò che non ricordavo erano l’energia, il movimento. Tutto si muove in questo romanzo grandioso». Lo spazio temporale di un’unica giornata, in cui si muovono Clarissa Dalloway e i suoi amici, è dilatato all’inverosimile, il confronto con il passato è l’asso nella manica che spinge il desiderio verso i suoi confini, fa tornare alla mente nomi scottanti.
Atomi di luce
Se desiderare significa «sentire la mancanza di», come se si trattasse di un discorso interrotto chissà dove, allora Mrs Dalloway, il romanzo, possiamo dire sia tutto giocato su questa mancanza, a partire dal suo incipit che sembra, in effetti, rispondere a una domanda che non possiamo udire, «la signora Dalloway disse che i fiori li avrebbe comprati lei». Francesco Pacifico nel suo recente Io e Clarissa Dalloway, evidenzia una certa volitività in Virginia Woolf: «Lei vede che il realismo esiste, ma ogni atomo – e nei libri ogni immagine – è fatto di energia. Molte sue scelte narrative, analizzate al microscopio, si capiscono se ci si convince che il suo realismo vede la realtà come un campo dove si scatenano le energie (la campana che spande cerchi di piombo nell’aria). I suoi romanzi non sono autopsie. Non tratta materia inerte, tratta atomi di luce». Atomi di luce che espandono desideri. E il desiderio più forte che prova l’essere umano è quello di amare. La strada sensazionale del romanzo di Woolf, conduce verso un’espressione del desiderio che batte ogni precedente. Francesco Pacifico nel corso della lettura di Mrs Dalloway (ripresa dopo anni) “allena” se stesso, «Clarissa Dalloway mi ha conquistato da grande, come i secondi matrimoni, quelli felici», diventa propedeutico per comprendere la donna che ama. «Woolf ha trovato un personaggio, Clarissa Dalloway, una donna di mezza età che ama organizzare feste, con cui raccontare cos’è una vita in cui si riesce a fare i conti con i desideri propri e degli altri. Woolf non ti vende il desiderio come chissà cosa. È solo la voglia immotivata di celebrare la vita», dice Pacifico in un’intervista con Marta Cervino su Marie Claire. Clarissa e Peter, ma anche Richard, Sally ed Elizabeth, ogni desiderio espresso, sublimato nella scrittura di Woolf, fa rivivere sulla pelle ciò che il corpo ha sentito ogni qualvolta abbia provato «il tipo di felicità che immaginava potessero sentire gli spiriti, liberati dai loro corpi terreni, ma ancora in possesso della parte essenziale di sè».
Raccontarla a più voci
Quando venticinque anni fa Michael Cunningham iniziò a scrivere Le ore, aveva in mente «una variazione sul rivoluzionario romanzo del 1925 di Virginia Woolf, La signora Dalloway»: «Nella mia versione […] sarebbe diventata un uomo gay che viveva nella New York contemporanea. […] Sarebbe potuto essere, pensavo un tentativo di vivere le nostre vite anche di fronte alla finitezza, in qualsiasi forma essa si presenti», spiega l’autore nella prefazione per il ventennale dell’edizione italiana (rieditata da La Nave di Teseo). Tuttavia nel corso della scrittura, l’autore giunge a un momento di stallo, la voce più ricorrente fu quella di sua madre e fu, di fatto, sua madre a salvare il suo libro (come spiega a Claudia Durastanti nell’intervista pubblicata da Minima&Moralia), maturando in lui la necessità di raccontare Clarissa Dalloway a più voci, il celebre trittico che gli valse il premio Pulitzer nel 1999 e ispirò il film premio Oscar di Stephen Daldry; in cui una di queste sarebbe stata «una versione appena dissimulata» di sua madre, che chiamò Laura Brown. Il romanzo di Cunningham è pieno di desiderio. Clarissa Vaughan, soprannominata la signora Dalloway, «non avrebbe fatto nulla più che vivere un giorno della sua vita, anche se quel giorno avrebbe incluso il disastroso incontro con il suo migliore amico»; Virginia Woolf sta per scrivere il romanzo e desidera assoluto silenzio perchè «vuole che questo sia il suo miglior libro, quello che finalmente corrisponde alle sue aspettative». E poi c’è Laura Brown, «una casalinga degli anni Cinquanta pericolosamente infelice», che sussurra a se stessa i più reconditi desideri, mentre bada a suo figlio, prepara la torta di compleanno di suo marito ed è in attesa del secondogenito. Laura Brown vive il suo 13 giugno come un sentimento ardente, matura la consapevolezza di ciò che non è potuta essere e ciò che non potrebbe mai distruggere, finendo per giocare con un desiderio pulsante, così difficile da tenere a bada, «è possibile (non è impossibile) che abbia varcato una linea invisibile: la linea che l’ha sempre separata da quello che avrebbe preferito essere». Il romanzo di Virginia Woolf accende in tutti i suoi protagonisti, un pensiero: «C’era un uomo in grado di capire cosa significava la vita, per lei?».
Riscritto il rapporto con il lettore
Francesco Pacifico in parte risponde al quesito, attraverso le pagine di Woolf, sogna e si dispera, imbastisce un’educazione sentimentale rivoluzionaria, sogna e trasferisce su di noi, con sarcasmo e umorismo, l’impossibilità di capire l’altro fino in fondo, ma quanto di più simile possano essere comprensione, dialogo, l’osservazione silenziosa. «Perchè cresciamo con la fissa di fidanzarci? Il mondo è tanto interessante, perchè quest’ansia di fare quelle tre mossette asfittiche, innamoramento, conquista e paralisi dei desideri?», ripete a Marta Cervino. Ed ecco che torna quel desiderio lasciato libero di darci energia, quella stessa energia che scorre nel romanzo, «Virginia Woolf comprende ciò a cui arriverà la fisica del Novecento: la realtà è fatta di energia», scrive Pacifico. Un amore che «stordisce, modifica il ritmo», come osserva Antonella Anedda, nel quale Virginia Woolf riscrive anche il rapporto con il lettore: «Non date ordini al vostro scrittore: cercate di diventare lui stesso. Siate il suo compagno di lavoro, il suo complice»; la sua protagonista vive una giornata determinata dalla “dissimulazione” e dalla “perdita”, in cui venire a patti con se stessi è pressochè impossibile. Quanto Virginia Woolf sia capace di andare oltre e «rivelare tutta la precarietà degli esseri umani trascinati dai fenomeni, feriti dalle circostanze, inermi di fronte alle correnti della sofferenza e della gioia», è confermato dalla capacità dell’essere umano di essere «vano, vario e ondeggiante», di continuare a desiderare anche nella scomodità delle cose. Se in una giornata qualsiasi, la nostra storia ci può essere rivelata, il tempo continuerà ad essere scandito da interminabili ore con un’unica consolazione: «quando le nostre vite sembrano contro ogni probabilità e aspettativa» dobbiamo aprirci «completamente e darci tutto quello che abbiamo immaginato», sostiene, infine, Michael Cunningham. Un unico e infinito desiderio.
Fonti:
La signora Dalloway, Virginia Woolf, Einaudi, traduzione di Anna Nadotti.
Introduzione a cura di Antonella Anedda, in La signora Dalloway, Virginia Woolf, Einaudi, traduzione di A. Nadotti
Le ore, Michael Cunningham, La Nave di Teseo, traduzione di Ivan Cotroneo.
Io e Clarissa Dalloway, Francesco Pacifico, Marsilio
Interviste:
“Cosa possiamo imparare da Clarissa Dalloway di Virginia Woolf”, di Marta Cervino, 16/03/2020 su Marie Claire
Tradurre «Mrs Dalloway» di Anna Nadotti, pubblicato sul sito Einaudi