Le peregrinazioni – fra allusioni colte e citazioni – di un giovane eroe romeno e di un manipolo di ribelli contro il regime fanariota (greco). Ecco “Il Levante” di Mircea Cartarescu, sorta di divertissiment di una delle voci tra le più complesse e raffinate della letteratura europea contemporanea
Tradotto in lingua italiana da Bruno Mazzoni e pubblicato da Voland Il Levante (221 pagine, 17 euro) è un libro che fa pensare a una sorta di divertissement da parte dell’autore, voce tra le più complesse e raffinate della letteratura europea contemporanea.
Peripezie rocambolesche
Si tratta della peregrinazione in dodici canti del giovane eroe Manoil, in rivolta contro la crudele dominazione del regime fanariota (greco) sul suo popolo, romeno. Tra atmosfere che ricordano a tratti il Salgari di Capitan Tempesta e a tratti il filone filosofico-narrativo di opere anche molto antiche come quella di Apuleio, il protagonista e il suo fedele manipolo di alleati, tra cui compaiono la bellissima sorella Zenaida e il suo amante francese Languedoc, il pirata Iogurta e il suo focoso figlio Zotalis, nonché un saggio eremita con la sua sposa rivoluzionaria Zoe, attraversano peripezie per mare e per terra e persino in mongolfiera, in pagine dal sapore rocambolesco dove il fervore della rivolta e lo struggimento per la libertà si condensano ora in vive e argute descrizioni ora in intere pagine di componimenti in versi, con ampio spazio a dialoghi dal sapore rituale e prezioso alla Mille e una notte oppure ad ascese vertiginose nell’iperurano della filosofia cosmica.
Da segnalare che, insieme ad Archivio dei bambini perduti di Valeria Luiselli (La Nuova Frontiera) e a Quel che si vede da qui di Mariana Leky (Keller), Il Levante fa parte del Premio Annibal Caro 2020 dedicato a figura e ruolo del traduttore, grazie al magistrale lavoro di Mazzoni.
Due chiavi di lettura
Ci sono due modi per leggere questo libro, il primo è quello estetico-ludico, il secondo è quello colto-letterario. Mentre il primo si basa sulla fruizione della trama e dei personaggi, sull’avventura, il secondo è incentrato sul discernimento, sul riconoscimento cioè dei riferimenti intertestuali, delle citazioni e degli omaggi, degli agganci a correnti letterarie e a opere del periodo di Mircea Cărtărescu. In questo secondo caso ci viene in aiuto la preziosa postfazione di Bruno Mazzoni, curatore dell’opera oltre che suo traduttore.
Nella postfazione lo studioso definisce il libro «un’opera letteraria temeraria, oltre che volutamente complessa, e all’apparenza anacronistica», «una composizione metaletteraria di ampio respiro, in dodici canti» che ha il preciso intento di «celebrare poeticamente […] autori più noti e meno noti, tracciando così un profilo essenziale della storia della poesia romena». Proprio perché l’orizzonte letterario che fa capo alla cerchia della Facoltà di Lettere di Bucarest è sconosciuto ai più, ci è utile apprendere nozioni quali ad esempio l’esistenza del Cenacolo di poesia del Lunedì o del cenacolo dedicato alla prosa “La Giovinezza”, oppure scoprire che Cartarescu tira in ballo, attraverso un elegante gioco di allusioni, non solo eminenti poeti di spicco del suo ambiente, ma anche Dante (nel canto VII Manoil ha una guida che fa pensare a un Virgilio) e Ovidio, oltre che nel corso del testo Borges e molti altri eminenti scrittori.
Il fuoco della poesia e i nobili natali
Manoil, che ci ricorda un giovane e ardente Lord Byron, è animato dal fuoco della poesia, ha studiato presso le migliori scuole europee, vuol liberare la patria oppressa: grazie a lui apprendiamo che il suo popolo, tramite i Daci dei Carpazi, discende nientemeno che dai Romani, di qui l’ardire bellicoso e la nobiltà dei natali.
Cartarescu ci propone quasi all’inizio una delle parole chiave della sua cultura, assimilabile a una saudade portoghese, il dor, quando dice che «la rosa della sera dischiusa dal Levante» […] «sparge petali di porpora nel cielo radioso, essa adombra con vampe d’ambra le acque scintillanti, fa scivolare negli animi la fiamma di uno sconfinato dor: desiderio di partire, brama d’armi, nostalgia di mari, bisogno d’amore».
Questo struggimento, o languore, si accorda bene con passi lirici dedicati alla volta celeste, come «Un liocorno e un centauro li seguivano, e dopo di loro un naviglio stinto, dorato, caravelle e galeoni si perdevano sul raggio della luna fino alla linea dell’orizzonte. Nei cieli brillavano appena l’Orsa, Acquario e Orione». Altri passi sono invece dedicati al mistero dell’universo, «Il nostro universo è un punto fra centinaia di migliaia di punti che si adunano per formare, a un altro livello, altri mondi di fuoco che, visti da molto lontano, sono cristalli e rame, conchiglie, salviette, pruni o nuvole», mentre forte è anche il concetto della reciprocità, dell’essere “personaggi” anziché “autori”, in una specie di gioco alle scatole cinesi: «Magari vengo scritto a mia volta, con la mia vita e l’alone che mi sta intorno che è il Mondo, da un altro autore che cerca l’uovo e non riesce a trovarlo in un mondo gigantesco».
Il senso di vertigine è amplificato dagli interventi autoriali volti a far sì che il lettore assimili il libro a un teatro, un po’ come a pagina 45 in chiusura di capitolo: «Macchinisti, girate la manovella! Preparate una nuova scena!».
Vivacissime sono le descrizioni degli aspiranti rivoluzionari, in realtà un manipolo di pirati, «Ma a che pro? I briganti cantano, si versano il vino sopra i capelli e gridano, ingollando sfogliatelle come fosse polenta, buttano giù le olive con tutti i noccioli e i limoni come fossero mele e incidono il nome dell’amata sul legno del tavolo». Non sembrano le soldataglie del Duca d’Auge di Queneau? O i pastorelli di Giono in Nascita dell’Odissea? C’è davvero del divertimento.
Grand Tour…
Per dar meglio l’idea del libro vorrei fare una traversata di stralci che esprime bene il carattere de Il Levante e quello del suo autore, prendetela come un grand tour.
A pag 77 si autorappresenta, «Posso far sì che tu perda il senno, posso farti volare, ma io stesso cosa farò, io che conduco una vita dissipata come la polvere tra casa e ufficio, in un secolo senza ali, privo di slanci, in una dimora senza riscaldamento?».
A pag 89 c’è pure un concerto rock, «Un sibilo o un ululato ti spingono a guardare lo Stige, come si sente nell’album Cantafabule, del ’75, del gruppo rock Phoenix».
A pag 92 va a capo nell’altro capitolo, il glo- (cambio capitolo) Canto VII -bo di quarzo.
A pag 111 abbiamo i pirati e Rubens, «Nel frattempo le tartane dei pirati, con le stive colme di tesori, frutto di saccheggi, ammassati in cassoni putrescenti, proseguivano il loro tragitto in mezzo agli sgombri che tirano in continuazione la testa fuori dai flutti», «L’eterno mare azzurro si distende sul suo letto di spuma come un’etera bionda, procace e voluttuosa, apparsa a Rubens in qualche sogno».
A pag 121 finalmente ci dicono come leggere il libro, «Sii compassionevole, o leggiadra lettrice, e prendi da questo libro solo quanto ti aggrada».
A pag 130 l’autore è in preda allo sconforto riguardo al suo libro, «A volte mi sembra inutile, altre provo nostalgia e torno a rileggerlo a caso… Non so, non so cosa dire. È il 1° aprile 1988. non c’è granché sole fuori. Batto alla mia macchina da scrivere, in cucina».
A pag 136 colluttazione tra l’autore e il suo protagonista, che “esce” dalla pagina!
A pag 139 Mircea è finito nel libro: « – Mircea, guarda la volta celeste: che drago al tritolo! Guarda i miliardi di stelle tra le fronde del carpino, ci sono notti distese su notti, distese su altre notti, ci sono notti dentro notti e notti attraverso notti, le costellazioni in moto continuo, un clinamen di fuochi».
A pag 149 si definisce il Levante, «O mio sorriso, tu sei Il Levante, tristezza e assillo, voi siete l’orchidea che io decanto in mattine infervorate, nella cupa luce del caffè riflesso nello specchio».
A pag 173 abbiamo la lettrice e Guerre Stellari, «Tu che, adagiata in poltrona, leggi Il Levante, hai visto ieri l’altro, alla televisione bulgara, il film E la nave va? […] Sappi dunque che la battaglia di cui leggerai più avanti è filmata meticolosamente, con effetti speciali e sovrapposizioni di immagini, tagli, animazione fatta al computer, come in Guerre Stellari».
A pag 180 si vedono i numeri di pagina nel paesaggio (e Mircea attraversa tre canti della propria opera in mongolfiera, un po’ come Alice attraverso lo specchio): «Guarda, Bucarest risplende come fosse ricoperta d’oro, così tante sono le stelle luminose. O nostro Autore, verso sud si vedono enormi cifre disegnate sulla pianura vuota. Cosa sono?
– Sono le cifre delle pagine della mia opera. Ogni pagina del Levante ha la sua numerazione».
All’altezza di pag 189 gli ottocenteschi eroi sbucano nella Bucarest di oggi, «automobili e camion in un traffico agglomerato… Nastratin e Leonidas restano a bocca aperta per la sorpresa quando vedono come ancheggiano alcune squinzie in jeans».
A pag 192 e 193 il manipolo dei più fedeli, i personaggi più amati, viene a casa di Mircea a sorpresa, mentre la sua compagna Cristina «nella camera da letto, ascolta musica dal mangianastri. […] – Mircea, vedi chi è – urla Cristina, coprendo la voce di Lennon che viene dalla cassetta. […] Esito: e se è il tizio della luce? Con che cazzo la pago? Tolgo la catenella e giro la chiave. Spalanco l’uscio, resto di sasso».
… caffè da sorseggiare
Cartarescu e i suoi amici personaggi ripercorrono tutta l’avventura bevendo caffè nel suo appartamento di Bucarest, finché a pag 199 viene posto il dilemma cruciale dello scrittore, il suo rovello. Si tratta della scelta tra Poesia e Libertà, ovvero se l’uomo colto debba «Proteggere se stesso per diffondere, nella sua triste solitudine, la luce nel mondo, oppure lottare contro il potere mettendo a repentaglio la propria testa?».
A pag 202, rasenti al termine, si conclude anche l’escalation che ha visto progressivamente infrangersi il vetro della realtà: e dopo il protagonista che esce dal libro, l’autore che vi entra, e i personaggi che sconfinano nel mondo reale, il lettore viene invitato a unirsi al manipolo di cuori coraggiosi e a brindare assieme, nella finale dissolvenza che, come un ultimo gioco di specchi, ribalta nuovamente la prospettiva impedendo di fatto un vero “finale” del libro, e suggellando così con tale trovata gli intenti del suo creatore.