In “Atti relativi alla morte di Raymond Roussel” Sciascia scrive un dossier sulla morte eccellente di un letterato francese. Azzarda ipotesi, sconfessando la sommaria, frettolosa versione ufficiale del suicidio. Ma dietro l’insondabile enigma c’è altro…
«… la morte è terribile non per il non esserci più ma, al contrario, per l’esserci ancora e in balìa dei mutevoli ricordi, dei mutevoli sentimenti, dei mutevoli pensieri di coloro che restavano».
Il sicilianissimo senso, timore e tema della morte – in Candido ovvero un sogno fatto in Sicilia» del 1977 – secondo Leonardo Sciascia. La morte, prima d’ogni altra cosa, e poi verità, giustizia e scrittura. Sono i poli attorno a cui ruota Atti relativi alla morte di Raymond Roussel (69 pagine, 7 euro) di Sciascia, novità della Biblioteca Minima di Adelphi, ma per la prima volta in libreria nel 1971, con una copertina bianca per le edizioni Esse, poi Sellerio. Tornò otto anni dopo e, ancora, nel ‘79 nella collana La memoria e, infine, per l’editore palermitano, in una serie a tiratura limitata del 2009, La rosa dei venti. L’ultima versione ha l’impeccabile cura filologica e nota finale di Paolo Squillacioti (l’abbiamo intervistato qui), vuoto colmato per quello che Sciascia definì il suo racconto «meno conosciuto» ma «tra i più interessanti».
La freddezza dei recensori, la stima degli scrittori
Ma come e perché morì, a Palermo nel luglio 1933, Raymond Roussel e, soprattutto, chi era? Non uno scrittore amato dal maestro di Racalmuto, che tra i francesi preferiva Stendhal, Hugo e gli illuministi. Ricco e solitario dandy che sognava fama e apprezzamento della critica, Roussel era frustrato dai fiaschi e dal silenzio dei recensori, ma godeva della stima di Proust, Gide, Eluard e Cocteau (per cui era un «mondo sospeso di eleganza, incantesimo, paura»). Intellettuale inquieto, inquietante e bizzarro – per anni girò il mondo in roulotte – è stato rivalutato postumo, amato da dadaisti e surrealisti, indicato fra i precursori dell’école du regard e del nouveau roman.
La morte e le indagini superficiali
Di Roussel a Sciascia interessavano il decesso e le indagini brevi e superficiali che spiegavano tutto con una overdose di barbiturici. Rovelli che non l’abbandonarono, prima e dopo la pubblicazione del volumetto ne scrisse sui giornali: il 29 ottobre 1970 sul Corriere della Sera, spiegando che anche Mauro De Mauro, giornalista allora irreperibile da oltre un mese, s’era interessato alla morte di Roussel, e che in tribunale il fascicolo del caso non era consultabile (ostacolo poi superato grazie all’azione legale di un amico avvocato, che gli consentì di averne una copia); accantonando temporaneamente la stesura de «Il contesto», lo scrittore siciliano pubblicò l’inchiesta sul settimanale Il Mondo nel marzo 1971 e, dopo settimane di revisione, in volume per gli amici Elvira ed Enzo Sellerio. Non l’ultimo appuntamento con l’autore francese, Sciascia ci sarebbe tornato in almeno tre articoli, il 6 marzo 1973 sul Giornale di Sicilia, nel 1977 su La Repubblica, e ancora sul Giornale di Sicilia del 18 luglio 1982.
Sfumature, ambiguità, incoerenze
In Atti relativi alla morte di Raymond Roussel il giallo di quella morte eccellente in una suite all’Hotel des Palmes s’infittisce piuttosto che rischiararsi, Sciascia accosta annotazioni l’una all’altra, cerca tracce e sfumature in labirinti i cui gomiti sono falsi ricordi, apparenze, piccoli errori di trascrizione, testimonianze ambigue (su tutte quella di madame Charlotte Fredez, che accompagnava lo scrittore, mascherandone da decenni l’omosessualità, e dormiva nella stanza comunicante con la 224, la 226), cucendo assieme un telegramma e un referto, dubbi e incoerenze, omissioni (nessuna autopsia, nessuno si preoccupa di rintracciare l’autista di Roussel, scomparso il giorno della morte, e i due quotidiani palermitani, siamo in epoca fascista, ignorano il caso). Il dossier di Sciascia azzarda ipotesi, delineando un enigma insondabile e confutando, ma sconfessando la sommaria, frettolosa versione ufficiale del suicidio volontario per eccessiva assunzione di sonniferi. Sciascia è affascinato da quella morte squallida e dal contrasto fra quel lutto e le luci imminenti in quella metà del luglio palermitano del 1933, il festino di Santa Rosalia e le manifestazioni “spontanee” per una trasvolata atlantica del gerarca fascista Italo Balbo. Ma finisce per riflettere, essenzialmente, su verità e riproducibilità letteraria, e su una delle ragioni della scrittura: «I fatti della vita sempre diventano più complessi ed oscuri, più ambigui ed equivoci, cioè quali “veramente” sono, quando li si scrive, cioè quando da “atti relativi” diventano, per così dire, “atti assoluti”».
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