Reale e soprannaturale, James indaga il confine

“Il giro di vite” è una storia inquietante, firmata da Henry James, in cui fanno capolino alcuni spettri nella casa in cui è stata chiamata una timida istitutrice. La narrazione perturbante e caleidoscopica rapisce il lettore lasciandolo in sospeso con una grande domanda: i fantasmi sono una minaccia reale o abitano la mente della giovane governante?

Il giro di vite di Henry James, pubblicato nel 1898, è una storia di fantasmi. Ma non solo. Di paura e suggestioni. Ambientato in epoca vittoriana, James compone una narrazione conturbante partendo dal racconto che un cantastorie anonimo dice di aver ascoltato dall’amico Douglas, in una fredda sera d’inverno. Nel racconto gotico, tipico dell’età vittoriana, si ricorre spesso a questo genere di espedienti: raccontare attorno al fuoco, in gelide notti invernali, storie udite dal racconto  di qualcun altro, in cui cronaca, leggenda, fantastico e sogno si mescolano in una mistura oscura e sfumata.   Il racconto in questione è il manoscritto privato, una sorta di diario segreto, di una governante, realmente esistita qualche tempo prima nelle isolate campagne inglesi dell’Essex.

La governante e il ragazzo espulso dalla scuola

La giovane e timida istitutrice, al suo primo incarico, prende servizio presso la prestigiosa villa di una famiglia abbiente, a Bly. Il suo compito è quello di prendersi cura di due piccoli fratelli, Miles e Flora, rimasti orfani in seguito alla morte dei genitori, e affidati alle cure delle zio, il quale però oberato di lavoro e interessi personali non può occuparsene e, anzi, chiede alla giovane governante di non disturbarlo durante la sua permanenza in casa. La governante, forse affascinata dall’uomo, forse per inesperienza, forse nutrendo una remota speranza che possa in qualche modo diventare parte integrante di quella famiglia, accetta l’incarico. In questa abitazione fiabesca, arroccata però nella campagna inglese, lontano dal mondo civile, la giovane fa la conoscenza dell’unica altra governante che gestisce gli affari dell’uomo, la signora Grose, e di Flora, la più piccola dei fratelli, che le trasmette fin da subito una sensazione di pace. La signorina Grose è una donna di campagna dal carattere semplice, non sa leggere, ha una fantasia molto limitata e per questo  facilmente influenzabile. Flora, al contrario di quello che aveva immaginato la governante, è una bambina adorabile e dolcissima, obbediente e dei modi miti e sereni che la fanno apparire un essere angelico. Il fratello Miles, invece si trova in collegio e quindi la conoscenza con quest’ultimo giungerà successivamente. Tuttavia, il ragazzo irrompe nella narrazione anticipato dall’arrivo di una lettera da parte del direttore del suo collegio, nella quale si dichiara esplicitamente che il ragazzo non potrà più frequentare la scuola alla riapertura, il successivo anno scolastico. La lettera innesca una serie di interrogativi, dubbi e paure nella mente della giovane governante, che immagina da subito il carattere scalmanato del ragazzo. Dubbi resi immediatamente infondati quando quest’ultimo fa ritorno nella villa. Miles è un ragazzino adorabile, gentile e etereo esattamente come la sorella.

Null’altro che l’amore

«Arrivai un po’ in ritardo sulla scena del suo arrivo – si legge nella traduzione del romanzo di Henry James firmata da Luigi Lunari e pubblicata da Feltrinelli – e sentii, mentre lui guardava ansiosamente in cerca di me, fuori dalla porta della locanda dove la diligenza lo aveva lasciato, di aver visto in lui all’istante, sia dentro sia fuori, la stessa luminosa freschezza, la stessa fragrante purezza che fin dal primo momento avevo visto nella sorellina, Era incredibilmente bello e la signora Grose aveva colto nel segno; la sua presenza cancellava tutto ciò che non fosse un’appassionata tenerezza. Ciò che immediatamente mi toccò il cuore fu qualcosa di divino che non ho mai trovato, allo stesso grado, in nessun bambino; la sua tenera e indescrivibile aria di non conoscere al mondo null’altro che l’amore».

Gioco di specchi tra incanto e malizia

Il ché, se in un primo momento calma le preoccupazioni della donna, in un secondo le esaspera nuovamente. I due bambini, agli occhi della governante sono bellissimi, educati e incantevoli. Forse fin troppo. Tanto da sembrarle irreali. Idealizzati. Come se dietro quei sorrisi e quelle soavità dalle proprietà calmanti – e in questo gioco di specchi, James è un maestro – si celasse una beffardia, una malizia che i bambini, non solo non dovrebbero avere, ma che riescono a sedare l’acume della lucidità, ad annebbiare i contorni della realtà e ad assonnare l’intelligenza e la ragione.

Presenze dannate

A rendere il tutto più inquietante, nel romanzo di Henry James, sono le apparizioni fantasmatiche di soggetti sconosciuti che la governante scorge nella villa. La fantasia galoppante della giovane inizierà a cucire ingegnosamente una trama di complotti, segreti, bugie e realtà immaginifiche, ambigue o forse reali che suggestionano la sua mente e fanno da contorno all’intero racconto. Personaggi negativi irrompono nella villa come apparizioni intermittenti, riuscendo, secondo la giovane governante, a corrompere i bambini e a trascinarli in un gioco perverso e oscuro senza però palesarsi mai in modo chiaro. La scrittura, a questo punto, diventa conturbante. La governante prova a scoprire cosa è successo in quella casa prima del suo arrivo e lo fa attraverso un approccio investigativo: cerca reato e movente, creando un clima di terrore che proietta intorno a sé. Interroga la signora Grouse, fa domande a Miles, immaginando che possa essere la mente trainante di quel patto con gli oscuri individui della villa, finché non decide di separare i bambini in stanze diverse temendo che il loro legame possa alimentare la comunione con le presenze dannate.

La logica nascosta

La sua voglia di comprendere la logica nascosta degli accadimenti la rimanda a continui interrogativi e a una realtà che in ogni caso le appare sdrucciolevole. Le sembra di essere in una trappola, in un gioco estraniante. Proietta sui due bambini supposizioni e congetture che a loro diventano superfici opache, capaci di riflettere le morbosità della istitutrice. La promessa fatta al suo datore di lavoro, che però non si è mai fatto sentire durante il suo soggiorno in quella casa, non le permette, per un dovere morale ed etico, di abbandonare la villa benché in certi momenti lo desidera, perché si sente in dovere di proteggere i piccoli fratelli da quelle presenza. La voce narrante della storia è la governante stessa, e anche questo espediente narrativo non permette al lettore di avere un filtro oggettivo di ciò che accade realmente perché tutto passa attraverso il tunnel psicologico e lo stato emotivo della stessa. E se da una prima descrizione la giovane ci viene presentata come una donnina indifesa capace di suscitare tenerezza, nel passo successivo è proprio la governante a prendere il controllo dell’intera narrazione e delle vite degli altri protagonisti. La narrazione perturbante e caleidoscopica rapisce il lettore lasciandolo in sospeso con una grande domanda finale: i fantasmi minacciano davvero i bambini o abitano la mente della giovane governante? Dove è il confine tra il reale e il sovrannaturale? Ma sopratutto che natura ha questo orrore e questo Male, se veramente esiste?

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