Una pattuglia di terrestri e un marziano viaggiano verso Saturno per impedire il propagarsi di un’epidemia scaturita da una cometa. È il 2800 immaginato, una settantina d’anni fa, dal siciliano Franco Enna. Un messaggio di condivisione e fratellanza quello del romanzo fantascientifico “L’astro lebbroso”
Nell’infinita partita tra realtà e finzione si sgrovigliano momenti di suggestione e contatto improbabili, sospinti, in questo specifico caso, da comete del presente e del futuro narrativo, da epidemie terrestri e cosmiche. Siamo intorno al 2800 e lo scenario è da storia fantascientifica: una pattuglia di terrestri e un marziano viaggiano verso Saturno per impedire il propagarsi di un’epidemia scaturita da una cometa e per bloccare sul nascere una rivolta interplanetaria. È una space-opera intitolata L’astro lebbroso, scritta da Franco Enna, siciliano di Castrogiovanni, verso la metà degli anni Cinquanta. Una storia che già dal titolo svela la fibra del mefitico morbo, del lazzaretto insuperabile. L’angoscia del contagio sembrerebbe fare solo da contorno al flusso principale della storia, eppure stilla, come in una delicata tortura, gocce di orrore indecifrabile sul capo del lettore perché le vere tragedie cominciano sempre banalmente, quasi con una certa circospezione.
La cometa e la lebbra radioattiva
Ci sono dei libri che casualmente s’insinuano nelle realtà di chi legge con frasi apparentemente insignificanti come: «Dovete a quella cometa la vostra ingloriosa fine». La cometa del romanzo si chiama Lamda ed è il cuore malato della lebbra radioattiva che si spande su Saturno provocando «nausee, poi una sensibile perdita del senso dell’equilibrio […] macchie verdi sulle pelle e le zone macchiate divennero poi purulente ma non dilatavano. Sembravano delle strane foglie vive». L’obiettivo della missione terrestre, tra gli altri, è di non farla diffondere sulla Terra, eliminando o curando i vettori del contagio, cioè degli uomini che si erano asserragliati su quel pianeta per guidare una rivolta galattica contro il governo cosmico. Nei giochi tra letteratura e realtà si creano a volte dei rimbalzi incredibili che, questa volta, si riverberano nel parallelo casuale tra il diffondersi della pandemia contemporanea e l’avvistamento, lo scorso dicembre, della cometa Atlas Y4, considerata dagli addetti ai lavori come una delle più luminose degli ultimi anni. La fantascienza non offre risposte, al massimo fa qualche domanda che stranisce la realtà, suggerendo impossibili complotti interstellari e morbi radioattivi come sfogo per chi, senza la salvifica mano della finzione, ammorberebbe di visioni pericolose la propria vita quotidiana.
Fantascienza sgangherata ma geniale
Concetti, questi ultimi, ben chiari in Franco Enna, nome d’arte di Franco Cannarozzo che fu una vera e propria matriosca di autori (John W. Reel, Lou Happings, Thomas Freed, Richard Shell e via dicendo). In un periodo dominato dalla sfrenata anglofilia nel romanzo di genere, questo autore – forse noto ai più per la sua mirabolante carriera di giallista, si legga ad esempio La grande paura, 50 sicli d’argento e altri racconti (Sonzogno, 1977) – fu uno dei primi italiani ad apparire su Urania, la più antica e nota collana di fantascienza italica. Nel 1955, anno di pubblicazione del romanzo, si chiamava ancora I romanzi di Urania, aveva appena tre anni di vita ed era guidata dal suo fondatore, Giorgio Monicelli, fratello maggiore del più famoso Mario. Era una fantascienza un po’ rabberciata e sgangherata, con traduzioni artigianali e con la necessità, per gli italiani, di modellarsi sui romanzi americani, eppure con vette di grande e inusitata genialità.
Guardare oltre il nostro naso
E allora cosa voleva dirci Franco Enna tra le righe di un dimenticato romanzo degli anni Cinquanta che oggi forse potrà risultare ingenuo nel suo dispiegarsi? Probabilmente soltanto una cosa molto semplice: guardare un po’ oltre il nostro naso, perché, e qui non si vuole spoilerare, la risoluzione di ogni cosa, quando si tratta di materia umana, passa dalla condivisione e dalla fratellanza di tutti i popoli. Pure di quelli inconoscibili che vengono dalle stelle.