Anche la più piccola gratitudine che possiamo sentire verso gli altri è mossa da un umano e sincero sentimento. Questo sembra volerci dire con il suo più recente romanzo, “Le gratitudini”, Delphine De Vigan: protagonista un’anziana che da un giorno all’altro non è più autosufficiente e finisce in una casa di riposo…
In un giorno uguale a tanti altri, un’anziana donna – la protagonista del più recente romanzo di Delphine De Vigan – si accorge di non essere più in grado di alzarsi dalla sedia in cui è seduta. A malincuore dovrà lasciare il suo appartamento di Parigi, trasferirsi in una casa di riposo e adattarsi ad una sorta di conto alla rovescia. Se non fosse che c’è un nodo che non riesce a sciogliere, e ha a che fare con la gratitudine. Per tutta la vita Michka, «una vecchia signora con un’aria da ragazza. O una ragazza invecchiata per sbaglio», ha fatto la correttrice di bozze, ha giocato con le parole, si è fatta sedurre dalle parole, ha dato un senso alla propria vita con le parole. E ora, quelle stesse parole sono diventate traditrici, insolenti, grame: sono le parole che sta perdendo e con esse la possibilità di dire grazie a chi si è preso cura di lei.
Tra giorni uguali e incubi
Nelle giornate tutte uguali, in cui imparerà a convivere con una vita ridotta al minimo: «ecco che cosa ti aspetta, Michka: passettini, sonnellini, merendine, uscitine, visitine. Un’esistenza sminuita, ristretta, ma perfettamente regolata», Michka sogna di avere tutte le parole a disposizione: «Le parole ci sono, come prima, non devo neanche cercarle, o sceglierle, o adularle, spuntano così, senza cerimonie, senza tante smancerie, non c’è bisogno di rabbonirle, catturarle, vezzeggiarle, no, ascolti bene, vanno e vengono in piena libertà, è bellissimo. […] Le dirò che ho fatto un sogno in cui le parole erano tutte lì, tutte, non avevo bisogno delle sue mappe, nè delle sue figure, nè delle sue liste, era tutto semplice come prima ed era così allegro, cosi dolce, capisce, mi stanca tanto cercare cercare cercare di continuo, è esasperante, estenuante, massacrante, non mi serve altro». Alle volte invece fa degli incubi, in cui una sedicente direttrice di una casa di riposo si prende la libertà di aggredirla, di svilirla, di deriderla per essere un’illusa, per non rendersi conto che il tempo è scaduto e non si può porre rimedio al passato.
Il passato
Ciò che pesa come un macigno, nella vita di Michka, è proprio il passato. Dopo aver perso i genitori, deportati in un lager, non ha avuto modo di ritrovare chi si è preso cura di lei in quegli anni. La sua gratitudine per loro è immensa, ma la possibilità di esprimerla pressoché nulla. Michka può solo prendere atto di una “malattia” che allontana le parole da lei. Nel passato della donna c’è anche Marie, una giovane donna, sua vicina di casa, per la quale è stata come una seconda madre. Oggi è Marie a prendersi cura di lei e anche se le resta accanto, sente addosso tutta l’impasse cui è destinata la mente di Michka: «Contare, dovere, è così che si misura la gratitudine? Ma l’ho ringraziata abbastanza? Le ho mostrato abbastanza la mia riconoscenza? Sono stata abbastanza vicina, abbastanza presente, abbastanza assidua?». Non si rende conto Marie che la gratitudine è molto di più per loro, è il mezzo attraverso il quale i loro ruoli si scambiano vicendevolmente, prendendo sempre più confidenza con ciò che sono: Marie diventa una madre e Michka torna ad essere figlia; Marie può sentirsi ancora una volta figlia e Michka sentirsi finalmente madre: «Per la prima volta nella mia vita ho cominciato ad applicarmi di qualcun altro, voglio dire di qualcuno che non ero io. È questo che cambia tutto, sai, Marie. Aver paura per qualcun altro, qualcun altro che non sei tu«.
Ringraziare
E se c’è una cosa che Michka ha imparato, ora che è vecchia (come le piaceva chiamare gli anziani), è la gratitudine. Anche se ora che il contatto fisico con le altre persone è perduto, ora che non ha più la possibilità di esprimersi correttamente e per questo spesso desiste, oppure salta alla frase successiva, dopo tutto il tempo trascorso, Michka vuole dire grazie. Ed è la gratitudine che intreccia la sua esistenza a quella di Marie, a quella di Jérôme (l’ortofonista), perchè è grazie a loro che gli ultimi ricordi non svaniranno nel nulla, perchè è grazie a lei che potranno riflettere sulle relazioni con gli altri, sugli irrisolti. Michka è molto di più di una “semplice” donna, che potrebbe stare seduta su una poltrona ad osservare il paesaggio fuori dalla finestra. Michka è il privilegio della gratitudine, quella consapevolezza di non voler perdere ulteriore tempo, cercando il momento giusto, per ringraziare chi ci sta vicino.
La lealtà
Delphine De Vigan ha una scrittura decisiva e leale nei confronti del lettore, ne Le gratitudini (160 pagine, 17,50 euro), tradotto da Margherita Botto per Einaudi, lo esorta a guardare dentro l’esistenza di una donna che è stata determinata, indipendente e continua ad esserlo; leggeva Sylvia Plath, Virginia Woolf ed era ancora abbonata a “Le Monde”, abituata a leggerlo da cima a fondo, anche se ora guardava solo i titoli più grossi; gli chiede di guardarla svanire dentro alle parole che continuano ad accumularsi in testa, ma che hanno perso il loro significato, lo stesso che ha acquistato il suo sguardo. Raccontare la storia di Michka non è cosa facile, Delphine De Vigan sa che presto, oltre ogni singola lettera pronunciata, resterà la vera essenza: anche la più piccola gratitudine che possiamo sentire verso gli altri è mossa da un umano e sincero sentimento.
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