Nel suo romanzo “Gli estivi” Luca Ricci ha il merito di salvare l’inespresso dei sentimenti dall’ipocrisia del già detto e del già raccontato. Protagonista uno scrittore cinquantenne, sposato da trent’anni, perde la testa per una ragazza e porta alla luce coraggiosamente una confessione…
Nell’ultimo romanzo di Luca Ricci, Gli Estivi (229 pagine, 18 euro), edito da La Nave di Teseo, ci troviamo immersi nell’appassionata dissertazione sui sentimenti, coinvolti nell’intensa vivisezione dell’animo umano. Canzonati dal Tempo, impietoso e atroce, i personaggi della storia orchestrata da Ricci annaspano, talvolta nel torbido e nella depravazione talvolta nell’Arte, cercando la salvezza da quel piccolo mondo borghese che loro stessi hanno costruito.
L’incoscienza di quindici estati
Mai come in queste pagine emerge l’autenticità fulminea del racconto, attraverso la quale il protagonista rivela le sue inquietudini e le sue fragilità. Uno scrittore romano di cinquant’anni una sera di mezza estate, l’unica stagione che pretende “di essere obliata”, mentre si trova a cena con la moglie, nota una giovane ragazza per la quale perderà la testa iniziando a nutrire una passione matta e disperatissima.
Sullo sfondo le ville del Circeo e le dune di Sabaudia, Torre Paola che si erge guardiana della Maga Circe e l’incoscienza delle notti estive (incoscienza da non confondere con leggerezza, ci ammonisce il nostro protagonista).
Lo scrittore di mezza età, sposato da trent’anni con Ester, confida la cieca e furiosa passione a Lello, storico amico, nonché suo editore, un uomo che non si fa scrupoli a demolire l’editoria contemporanea e a venerare il corpo femminile (attraverso modalità e forme discutibili ma pur sempre personali).
Le estati si susseguono, quindici in totale, cadenzando così le stagioni e lo spazio. In questo inesorabile quanto feroce scorrere del tempo ogni personaggio della storia subisce dei mutamenti.
Tra finitudine umana e mancanza
Ricci ha il merito di salvare l’inespresso dei sentimenti dall’ipocrisia del già detto e del già raccontato. Il protagonista decide coraggiosamente di portare alla luce una confessione, la sua confessione sull’amore, sui rapporti di coppia e sul matrimonio. Non mancano citazioni lacaniane, raffinate esposizioni letterarie, monologhi interiori e accese discussioni con l’amico editore: entrambi cercano una risposta alla finitudine umana. Entrambi fanno esperienza della mancanza (tratto caratteristico di molti antieroi novecenteschi).
Camminando sul filo della finitudine e della mancanza, tutti i protagonisti, guidati dal Tempo e illuminati dai sentimenti (qualcuno di loro conoscerà l’Amore), ci invitano a usare con ostinazione la finitudine come strumento per conoscere il quotidiano, prendendo coscienza del fatto che lo scorrere del Tempo spaventa, è assurdo e implacabile. Eppure, per quanto crudele possa sembrarci, il Tempo ci immortala restituendoci una fotografia della nostra esistenza umana. Sta a noi salvaguardarne la dignità.
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