Tragedie familiari legate al terrorismo basco dell’Eta puntellano “Il commensale” di Gabriela Ybarra, che non cede mai al patetismo, procede asciutta e solida, trattenuta e distaccata, senza invadere la narrazione con opinioni ed emozioni
«Si racconta che nella mia famiglia si sieda sempre un commensale in più a ogni pasto. È invisibile, ma c’è. Ha il suo piatto, il suo bicchiere e le sue posate. Di tanto in tanto appare, proiettando la sua ombra sul tavolo e facendo svanire uno dei presenti. Il primo a sparire fu mio nonno».
Gabriela Ybarra con Il commensale (160 pagine, 16 euro), tradotto da Maria Concetta Marzullo, edito da Polidoro – finalista al Man Booker International Prize – ci regala un sincero e doloroso cammino della propria vita, trasformando un fatto di cronaca e un frammento di intimo passato, in un prezioso memoir. Due coni d’ombra, uno della grande Storia e uno intimo e privato, si fondono in una narrazione toccante.
«La mia vita privata è ancora una questione politica […] La lingua, i silenzi, le case, la convivenza, i sentimenti… Tutto è politica. Perfino la letteratura».
I Kennedy baschi
Gabriela Ybarra non sa chi è Javier Ybarra, o meglio non sa cosa quell’uomo rappresenti per il resto del mondo perché Javier Ybarra muore sei anni prima della nascita della scrittrice. Negli anni Sessanta e Settanta, nonno Javier, membro della Real Academia de la Historia, già sindaco di Bilbao, scrittore e presidente di importanti testate giornalistiche, è un uomo in vista e politicamente attivo, referente dei quartieri abbienti e soggetto scomodo a certe questioni importanti. Viene sequestrato dall’Eta, acronimo di Euskadi ta askatasuna (Paese basco e libertà) una organizzazione armata , indipendentista e cellula terroristica con una lunga lista di nomi sulla coscienza, nel 1977. «L’Eta l’aveva individuato come obiettivo perché lo considerava il referente intellettuale di Neguri e perché apparteneva a una delle famiglie che storicamente avevano ricoperto alte cariche nella provincia. Il gruppo riconosceva in lui l’emblema del potere spagnolista». Neguri ancora oggi è il quartiere residenziale della città di Gexto, nei Paesi Baschi, dove sorgono le ville dell’alta borghesia, soprannominati «i Kennedy baschi». Nutrito appena dai suoi sequestratori, un pranzo talvolta a base di erba, durante il periodo di prigionia Javier scrive rassicuranti lettere alla famiglia, pregandoli di perdonare i terroristi che lo trattengono. Il corpo senza vita di Javier Ybarra viene trovato dopo trenta giorni. La scrittrice scopre dell’assassinio del nonno quando aveva appena sette anni, da una vicina di casa.
I conti con la tragedia
Il dolore nella famiglia Ybarra, in seguito a quella prima vicenda però non si arresta. Una decina di anni dopo l’omicidio del nonno, si suicida il fratello minore del padre di Gabriela, zio Cosme, dopo essersi versato un bidone di benzina sulla testa e dandosi fuoco.
Javier Ybarra rappresenta la Storia, la Grande Storia di cui parlano i giornali nazionali dell’epoca e con cui la scrittrice e la sua famiglia hanno dovuto fare i conti, anche dopo la tragedia. «La mia famiglia ricevette diverse minacce durante gli anni Ottanta, Novanta e quelli che seguirono il 2000». Tra i ricordi dolorosi, quello che però la segna profondamente è il periodo della malattia della madre: nella seconda parte del romanzo, tra Spagna e New York, un altro commensale sta per lasciare la tavola imbandita.
Racconta la vicenda in forma di cronaca datata o diaristica, senza cedere al patetismo o ricorrere a tentativi vezzosi per conquistare il lettore. La narrazione procede asciutta e solida, limitandosi a raccontarne i fatti. Le opinioni e le emozioni della scrittrice non invadono la narrazione benché la storia sia tanto intima e privata. Ne ripercorre i gesti, le attenzione che le riservava durante il periodo della malattia, con una scrittura trattenuta e quanto più distaccata.
La piuma e il blocco del cemento
La figura, forte e decisa della madre emerge con discreto vigore. «Mio padre è l’opposto di mia madre. lei era una piuma. Lui un blocco di cemento a cui piacerebbe essere una piuma. Mia madre era generosa e si spostava con l’autobus. Mio padre poteva muoversi solo con la scorta. Mia madre si lasciava alle spalle il passato. Mio padre tiene sempre conto della sua storia familiare»
Dalla ricomposizione storica degli accadimenti, passa a raccontare un fatto umano, intimo e personale con il medesimo distacco. È questo forse l’elemento che contraddistingue la grandezza del romanzo: la compostezza del dolore. La resistenza all’umano decoro, nonostante lo spaesamento dell’anima.
«Mia madre non ci mise molto a nascondere la sua malattia… Nei confronti della malattia la sua reazione fu la resistenza Va tutto bene. Non mi ucciderà. Guardate come sto bene. A volte io ci credevo».
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