Cosa c’è dietro “Dracula” di Bram Stoker? Un’appassionata esortazione rivolta agli uomini perché non perdano il senso del Trascendente finché sono in vita, così da evitare che esso possa sorprenderli da morti, in modo orribile e spaventoso…
Tempi duri per i pipistrelli, che appaiono sospetti forse più adesso di quanto non lo sembrassero già per le fumose vie di una Londra stokeriana, oggi tutta da ripassare ciottolo per ciottolo, rigo per rigo.
Era inevitabile che prima o poi questa rubrica si incastrasse tra le trame gotiche di quello che, personalmente, riconosco e professo come uno dei più grandi capolavori mai scritti: Dracula, di Bram Stoker appunto, l’invitato d’eccezione di oggi.
Più vivo che mai, immortale
Capolavoro perché?
Perché possiede forse delle inarrivabili vette espressive? Non penso; o non necessariamente. O almeno, bisognerebbe leggerlo in lingua originale per poter rispondere a questa domanda e non ne sono capace (di leggere in lingua originale, intendo).
Perché il suo soggetto letterario è da considerarsi come la più originale delle invenzioni? Ma neanche per sogno. Di vampiri si è sempre parlato (da tempi indeuropei), se n’è parlato ovunque (dalla Cina ai Carpazi) e si è sempre scritto.
Allora forse perché i suoi personaggi sono così perfetti ed eccezionalmente vicini alla realtà, come pure quel XIX secolo che fa da sfondo a tutta la storia? Nulla di tutto ciò. Anzi, ritengo che i personaggi siano – soprattutto in alcune parti – estremamente lontani rispetto alla realtà del fatto umano: troppo perfetti, sì, ma nel senso esattamente opposto a quello che un recensore intenderebbe dire; troppo vicini ad un ideale morale lungi dall’essere stato conquistato (nei modi, nell’educazione, nella cultura e nei sentimenti). E lo sfondo storico-geografico è, sulla stessa linea, quasi la descrizione utopica di un mondo che rischia d’apparire anch’esso troppo perfettamente funzionante rispetto a ciò che qualunque lettore, anche il meno avveduto o malizioso, potrebbe aspettarsi. Basta dire che se le poste e le ferrovie del racconto non fossero funzionate così perfettamente bene, quasi come orologi atomici, il romanzo non lo si sarebbe potuto scrivere. O non in quel modo.
Nondimeno, Dracula è un capolavoro. Ne è prova il fatto che il suo protagonista, non-morto quanto si voglia, è più vivo che mai: nella letteratura, nel cinema, nelle arti in genere e – soprattutto – in quell’immaginario collettivo che si gongola al solo pensiero che, per quanto terrificante, un tale personaggio possa esistere davvero.
La forza di Dracula, dunque, sembra partecipare pienamente del suo stesso sembiante, che si è a tal punto imposto oltre la barriera del suo contesto narrativo da aver decisamente superato le sue stesse origini, diventando immortale più di quanto non lo richiedesse la sua stessa natura vampiresca.
La portata romantica e le “riletture”
Ciò è da addurre innanzitutto alla portata romantica di Dracula, senza che questo aggettivo voglia significare solo “cose d’amore” (sulle quali tuttavia ritorneremo alla fine). Romantiche sono soprattutto la sua passionale determinazione, il suo castello e il suo abbigliamento, il suo indiscusso fascino e il suo modo forbito ed ironico di esprimersi. Tutte cose che riescono a resistere al ritratto mostruoso ed anche esteticamente ripugnante dipinto da Stoker, così diverso dalla sua trasposizione cinematografica, fatta tutta a Coppola Francis Ford. Una trasposizione che, ben inteso, se devia notevolmente dagli intenti di Stoker, è solo per ricuperarli alla fine in una forma eccellente che, a mio avviso, riesce ad interpretare meglio di tutte le altre pellicole il “senso” del personaggio (ritorneremo alla fine anche su questo).
Francis Ford Coppola dunque “rilegge” Dracula. E attenzione! Il titolo del suo film non è semplicemente “Dracula” ma… “Dracula di Bram Stoker”, come a volerci ribadire che, nonostante le apparenze, il suo lavoro cinematografico non ha alcuna intenzione di edulcorare o trasformare il protagonista rispetto al suo puro genoma letterario ma, al contrario, sottolinearne la verità più intima che, come tutte le cose più intime, rischia l’invisibilità.
Della stessa opinione, direi, è Anne Rice, prolifica autrice di una saga (pubblicata da Tea Edizioni) che potrebbe sembrare puro intrattenimento e invece possiede tutte le caratteristiche della vera letteratura. Questo lo si potrebbe affermare già solo in mercé alle sue fatiche di scrittrice. Se poi, oltre a ciò, ci si sforza di cogliere l’essenza dei suoi vampiri, allora capiamo che l’intento, ancora una volta, è più alto di quel che sembrerebbe.
Non solo storie dell’orrore, dunque. E non solo suggestioni gotiche, o fascinazioni adolescenziali con luccicanti vampiri teenager in perfetto stile meyeriano, ma altro. Francis Ford Coppola prima, e Anne Rice dopo, hanno “riletto” Bram Stoker sforzandosi di coglierne l’essenza. Il primo attraverso una meravigliosa pellicola; l’altra per mezzo di una saga che appare come la più allineata espansione tematica al romanzo. Questa essenza dovrebbe coincidere con l’elemento sacro di cui è mia intenzione trattare in questo articolo.
Le radici e lo spazio soprannaturale
E il sacro, in un primo momento, sembra fare a botte con il concetto di Dracula. Già: lui non sopporta le cose sacre, e le cose sacre lo annientano. E tuttavia, per poter dormire durante il giorno, ha bisogno di terra consacrata! Della sua terra! Perché c’è forse qualcosa di più sacro del luogo e del tempo da cui ciascuno di noi proviene?
Le radici. Ecco. Propriamente questa contraddizione è la più visibile tra le chiavi ermeneutiche del romanzo che, muovendosi magistralmente tra il margine letterale e quello simbolico, riesce a far emergere Dracula come il difensore di una sacralità che rischia d’essere perduta per sempre.
Ricordate Skeletor e He-Man? O Potter e Voldemort? Ci stiamo mantenendo bassissimi. Non vi sembrano forse binomi in netta contrapposizione eppure capaci di condividere una medesima natura? Proviamo ad alzare un po’ il livello. Ricordate il prof. Xavier e Magneto? O Batman e Joker? O ancora Dylan Dog e Xabaras? Chi dei due, in ciascuna coppia, vi sembra più motivato dell’altro? Alziamo ancora l’asta. Ricordate Acab e Moby Dick? Bene. Nessuno potrebbe dire che l’uno sia più sacro dell’altra, o viceversa.
Così, per esempio, Dracula e Van Helsing.
No, non si tratta, o non solamente, del classico topos letterario del protagonista e dell’antagonista, l’uno dei quali è l’esatta contrapposizione morale dell’altro (idem dicesi per tutti gli abbinamenti suddetti). C’è ben altro che li accomuna: non è solo passione, determinazione, esperienza o quant’altro: è intenzione! L’intenzione da cui entrambi sono stati generati!
Sì, perché anche se sono acerrimi nemici e vogliono l’uno la morte dell’altro, e rincorrono scopi assolutamente diversi e contrapposti, vi è un’intenzione che condividono e che li condivide, ed è proprio la riscoperta di uno spazio soprannaturale. Non fiabesco, non magico. Soprannaturale.
“Dracula”, come ci avverte Vittorino Andreoli nell’altissima prefazione alla terza edizione del romanzo pubblicato da Bur-Rizzoli (2018), «è una straordinaria miscela di ingredienti [dove] il simbolo ha il vantaggio di contenere significati di cui manca la consapevolezza e dunque non comportano le emozioni che invece si attivano quando ogni simbolo venga tradotto in ciò che significa».
Meraviglioso! Il libro contiene dunque delle emozioni che, esattamente come dei virus (mi si perdoni l’esempio), hanno bisogno dei “nostri” significati per essere attivati. Già solo questo dovrebbe spingervi a comprarlo! Cosa vi tiene ancora incollati alla sedia, sapendo che esiste un romanzo capace di irradiare emozioni nella misura in cui i “vostri” significati più intimi sono capaci di dar loro vita?
I vostri significati, nella lettura di Dracula, sono il sangue di cui questo romanzo ha bisogno per vivere, come il vampiro che ne è protagonista! Sono le armi di cui questo romanzo ha bisogno per vincere, come l’ammazzavampiri che ne è l’antagonista! A proposito… Chi è il protagonista del romanzo? Dire che sia Dracula sembrerebbe male, dato che tutte le buone intenzioni sono in mano ai suoi avversari. Dire che sia Van Helsing apparirebbe scorretto, disonesto, perché non è suo il nome che dà il titolo al racconto. E allora? Dobbiamo oltrepassare il confine narrativo e spingerci in quello simbolico.
Il Trascendente come protagonista
Il protagonista (tanto presente in Dracula quanto in Van Helsing) è il Trascendente. L’antagonista, presente in un mondo che rifiuta (anche religiosamente) ogni forma di trascendenza, è proprio il Sæculum, l’era post-illuministica, industriale e pre-scientifica che, in effetti, alla fine viene sconfitta ben più di Dracula stesso. Egli infatti muore troppo banalmente, e troppo in fretta, se si considera quanto importante sia la sua funzione. Il Sæculum, invece, non muore affatto; sopravvive, e fino ai giorni nostri. Ma nell’intenzione dell’Autore viene sconfitto!
Stoker parla con due voci, una sinistra e sussurrante, che è quella del vampiro; e l’altra, roca e impavida, che appartiene al suo olandese nemico, il professore, il filosofo “metafisico”, che così viene chiamato non a caso. Perché il “metafisico”, prima d’essere un’accezione filosofica, è innanzitutto ciò che sa procedere oltre la natura delle cose. E anche Dracula è capace di questo. Dracula è quel trascendente in cui Van Helsing, con forza trascendente, crede. Detta al contrario suonerebbe così: Van Helsing è quel metafisico contro cui Dracula, metafisicamente, combatte.
Ecco, a tal proposito, un pensiero di Van Helsing (con tutte le sgrammaticature di un forestiero che cerca di parlare una lingua non sua): “Nostra grande fatica deve essere in silenzio, e i nostri sforzi tutti tenuti in segreto; perché in questa età illuminata, quando uomini non credono nemmeno quello che vedono, il dubbio di uomini saggi può essere grandissima forza per lui [Dracula]. Può essere insieme sua corazza e sua armatura, e sue armi per distruggere noi, suoi nemici, che siamo pronti a rischiare perfino nostre stesse anime per la salvezza di uno che amiamo”.
Il dubbio: non quello che abbiamo tutti come carburante al motore delle nostre scelte, e neanche quello metodico di descartiana memoria; ma quello elevato al rango di coscienza vicaria, quando facciamo scegliere lui al posto nostro, e cioè il trionfo dell’indeterminatezza materialistica: ecco la malattia del Sæculum, ecco l’antagonista di Stoker.
La caduta di un secolo
Il concetto si reverbera in Intervista col vampiro, della Rice. Lì, il vampiro Louis cerca di riempire il vuoto della sua immortalità dando alla sua nuova esistenza il senso di una spasmodica ricerca sulle proprie origini: e così viaggia, cercando qualcuno che possa dargli delle risposte. Pensa di trovarle in Armand (il più simile a Dracula, con la sola eccezione d’essere disperatamente bello), al quale lamenta il malessere di sentirsi “spirito di nessuna epoca”, e cioè di sentirsi perennemente disallineato con il significato della Storia. Alle sue parole Armand risponde così: «È proprio questo lo spirito del tuo tempo. Non capisci? Tutti provano quello che provi tu. La tua caduta dalla grazia e dalla fede è caduta di un secolo […], e riflettono l’epoca in un cinismo che non può comprendere la morte delle possibilità; un fatuo, sofisticato indulgere alla parodia del miracoloso; una decadenza il cui estremo rifugio è la presa in giro di se stessi; una manierata disperazione. Li hai visti; li conosci da sempre. Tu rifletti la tua età in modo diverso. Tu rifletti il suo cuore spezzato».
La caduta di un secolo, dunque. Dove il dubbio diviene non più ministro della ragione, ma decadenza intellettuale e culturale: rinuncia al pensiero, rinuncia all’invisibile.
Stoker, capace di generare stirpi infinite di narratori, ha stigmatizzato in Dracula quell’elemento sacro che molti di essi hanno saputo cogliere e sviluppare. Pochi, in verità, sono poi riusciti a scoprire e ad utilizzare le sue immagini simboliche, degne del miglior Filone Alessandrino. Immagini messe lì, tra le pagine, con il puro intento che fossero interpretate e decodificate, per poi concedere un’emozione diversa e inaspettata: quella di chi cercava un vampiro e invece ha trovato l’autore! Quella di chi da un vampiro cercava di fuggire e invece, dall’autore, è stato intercettato proprio sulla soglia di un significato.
Ed esattamente come Dracula, che non può entrare in un luogo se qualcuno non gli concede un accessit, così i sono i significati criptici del testo: se il lettore non li invita a farsi avanti, a rischio d’una forzatura che in ogni caso è prevista da qualsivoglia consegna letteraria, essi non possono mai palesarsi.
Un capovolgimento di richiami
Stoker imbastisce intere sezioni nelle quali, sapientemente e con il rischio d’essere sorvolato, si sforza di distribuire elementi che, messi in un preciso ordine, rivelino molto più di ciò che il testo vuol dire lì e in quel momento. Egli non si limita a parlare del mistero del male, e del vampiro che in ultima istanza altri non è se non la scimmiottatura del Dio incarnato; ma addirittura lo smaschera proprio attraverso un capovolgimento di richiami! Ecco un esempio, tratto dalla scena in cui Van Helsing e il dott. Seward entrano di notte nella cappella in cui è sepolta e dovrebbe trovarsi la povera Lucy (che invece è già un vampiro e in quel momento è fuori per la sua passeggiata notturna): «Il professore ha estratto la chiave, ha aperto la porta scricchiolante, poi facendosi indietro gentilmente […] mi ha fatto cenno di precederlo. C’era una squisita ironia nel gesto di cedere il passo a un altro, in questa raccapricciante circostanza».
Avete notato nulla? Il professore anziano e il giovane medico discepolo che – a notte fonda – corrono alla tomba di qualcuno che, pur essendo morto, in quel momento alcuni ritengono in vita. E proprio sull’uscio il più anziano fa passare avanti il più giovane, perché questi veda con i suoi occhi che Lucy è diventata una non-morta. Sembra la scena, ma tutta al contrario, di Pietro e Giovanni che – in pieno mattino – corrono alla tomba di Qualcuno che, pur essendo vivo, in quel momento alcuni ritengono morto. E proprio sull’uscio il più giovane cede il passo al più anziano, e poi entra anche lui. E vede. E crede che il suo Maestro è il Vivente.
Certo. Una cosa è il non-morto; un’altra cosa è il Vivente! Stoker ce lo fa capire così, a modo suo. Tra le righe. Tanto che anche quella frase («c’era una squisita ironia nel gesto di cedere il passo») sembra sospetta d’essere doppiamente rivelatrice: da un lato una precisazione narrativa, dall’altra un indizio.
Questa è solo una delle fattispecie presenti nel testo; personalmente, quella che più mi ha stupito. Ecco, proprio una di quelle emozioni che, per venir fuori, aveva bisogno di succhiare il sangue d’un significato che solo io avrei potuto dargli in quel momento, magari sbagliando. E chissà quanti altri significati non ho colto, che sono il sangue di altri lettori!
Chiasmo tra i vampiri
Sembra dunque che Bram Stoker si sia sdoppiato nei suoi stessi personaggi principali, e non solo attraverso l’intenzione (implicita o esplicita) che li accomuna. Van Helsing si chiama Abraham (proprio come il suo autore) e il suo cognome significa letteralmente, in olandese: “dall’inferno”. Stoker, guarda caso, significa poi: “colui che infiamma, che dà fuoco”. E così, in un solo Autore abbiamo un interessante chiasmo tra i vampiri, che vengono dall’inferno, e Van Helsing che li ammazza con il fuoco! Stoker ha dato a Van Helsing un po’ di Dracula, e a quest’ultimo un po’ del suo nemico. E ha dato un po’ di se stesso a tutti e due. Geniale, vero?
Entusiasmante, soprattutto. Se si pensa che Van Helsing, questo insigne professore accademico, questo filosofo e letterato, senza preoccuparsi più di tanto di ciò che potevano pensare i suoi ben più empiristi colleghi, credeva tranquillamente nel soprannaturale, e lo faceva proprio in una civiltà come quella inglese dell’Ottocento, dove l’industrializzazione e il progresso cacciavano fuori sempre più, dalle teste degli uomini, l’idea stessa di Dio, e le relative implicazioni morali legate a questa idea. Egli, dal punto di vista letterario, è come l’aggressiva risposta ad una società in piena crescita e contemporaneamente in pieno decadimento (come suggerito da Armand), pronta a tradire, ad abbandonare l’invisibile per l’effimera e dubitante consolazione dell’apparente.
Francis Ford Coppola poi, che deve aver intuito tutto il retrotesto in questione, nella sua iperbolica lettura a lieto fine, ci fa apparire entusiasmante anche Dracula stesso, per quanto crudele e terribile, dipingendolo come drammaticamente capace di inseguire lo spettro di un amore perduto, perché persino in un personaggio come lui si rappresenti uno scoglio di salvezza per la spiritualità umana.
Sì, perché Dracula, pur con tutto il suo bagaglio di sanguinolento terrore, a differenza di quella nuova e progredita Europa, non si arrende alla morte! Cerca l’amore antico della sua vita nel volto di quella giovane Mina, e benché sappia che è una donna diversa, che non è la sua dolce Elizabeta, benché sappia che non potrà più stringere tra le braccia il suo vero, solo, grande ed unico amore, nonostante tutto questo cerca, desidera, ordisce l’impossibile trama di voler clandestinamente possedere un sogno infranto!
Dracula sfida il mare e lo attraversa, come per rancore aveva sfidato Dio, ridiventando uomo a suo modo, scegliendo nella condanna del sangue la sua stessa salvezza, e trasformandosi in qualunque cosa pur di raggiungere lei, quel volto ridonatogli dopo secoli di oscuro oblio.
Per amore, solo per amore
Lui, l’antico principe valacco, ritorna ad essere uomo solo per amore, per quanto questo amore possa apparire grottesco agli sguardi ormai vuoti della Modernità, che al contrario tende quasi a considerare mostruoso ogni amore eterno: vezzo inutile, superato, morto e sepolto.
E allora perché non oltrepassare la sepoltura stessa? Perché non risorgere dalla terra appestata, pur di poter amare? Tanto, l’uomo moderno perseguiterebbe comunque un cuore innamorato, anche se fosse solo umano. E allora, tanto vale cacciare come una bestia inferocita, pur di poter amare. E l’animale oscuro vince la propria bestialità, le sue diaboliche fattezze, per ritornare ad essere un cortese cavaliere, così da poter strappare a se stesso il cuore di una donna anche senza doverla prima uccidere. La sua spaventosa violenza, capace di riportare alla vita qualcuno, è come la parabola di un mondo che potrebbe sempre provare a rinascere dalla sua cieca materialità, anche se ciò dovesse significare una rinascita mostruosa.
Forse, in fondo, l’intenzione redentiva di tutto il libro (di cui l’omonima pellicola è senz’altro un’ottima rilettura poetica e filosofica) è questa, ed è questo l’intento sacro: un’appassionata esortazione rivolta ai membri dell’umanità di quel tempo (e non solo); un romanzesco invito rivolto agli uomini, perché non perdano il senso del Trascendente finché sono in vita, così da evitare che esso possa sorprenderli da morti, in modo orribile e spaventoso. Un’intenzione eloquente, chiara e senza paletti. Che non siano di frassino…
Questa bellissima recensione mi entusiasma al punto da indurmi ad acquistare il libro.
Molto belle le sfumature e similitudini colte.
Carissima lettrice, grazie!
Anzi, grazie carissima Pasqua.
Sapere che un articolo è piaciuto è una grande gioia. Sapere che qualcuno comprerà un libro, grazie all’articolo, è una gioia più grande!!
A presto!
Nuccio Puglisi