Un mastodontico trittico letterario a cui il lettore deve resistere per vincere. Ecco cosa è “La trilogia dell’inumano” di Massimiliano Parente, che si scaglia contro la religione, le ipocrisie del nostro tempo e il ventre molle della società, composto da esseri destrutturati…
Di un libro titanico come questo, di oltre milleseicento pagine, si potrebbe dire tanto, oppure dire poco. Io propendo per la seconda opzione, più economica, meno petulante, più funzionale, meno prolissa. Trilogia dell’inumano (1.665 pagine, 28 euro), pubblicato da La Nave di Teseo, tre granitiche opere assemblate insieme – Contronatura, La Macinatrice, L’Inumano – un solo spietato intento. Che l’autore, Massimiliano Parente, spiattella senza fronzoli, senza filtri, senza mascherine (tanto in voga in questo periodo): «Un romanzo stanco, estenuato, esasperato, insopportabile in ogni pagina, scritto per trasmettere estenuazione, stanchezza di vivere, stanchezza di scrivere, stanchezza del sesso, stanchezza del pensare, stanchezza della letteratura, stanchezza di tutto, stanchezza della stessa stanchezza».
Buoni pensieri
In realtà, tra la dichiarazione di intenti e quanto effettivamente scritto assistiamo ad una parziale dematerializzazione degli obiettivi: di stanchezza dello scrivere se ne vede poca, visto che ci sono intere pagine scritte per allungare la brodaglia (e forse proprio per ridurre in stato comatoso il lettore, chissà); stanchezza del sesso? Bah, se ne parla in ogni dove, nelle sue più multiformi espressioni corporee: fetish, bondage, pedofilo, omosex, e chi più ne ha più ne metta. Coglioni, sperma, fica, pompini, culi…che palle, abbiamo capito, passiamo avanti. Poi la stanchezza del pensare. Ma figuriamoci, Parente pensa, pensa tanto e spesso pensa anche bene. Qualche esempio. Dalla croce Parente depone il Cristo e inchioda la religione stessa, accusata di aver impacchettato quella messinscena di matrice platonica che riconosce un idea, un progetto, un ordine ad un universo altrimenti caotico e senza semantica. Condanna le ipocrisie del nostro tempo, anche se talvolta la mano gli sfugge e finisce per criticare unicamente per il gusto di criticare e di puntare il dito, dopo esserselo tolto dal naso o da altri spazi corporali. La società diventa un ventre molle, un inutile ammasso di esseri destrutturati e autistici: “ …se rifletto sui miei vicini mi rendo di essere circondato da gente raccapricciante, circondato da famiglie il cui unico scopo esistenziale è quello di essere quello che sono e ridurre ogni distanza filosofica tra se stesse e i milioni di anni passati. L’unica grama consolazione è che negli ultimi duecento anni gli hanno sfilato da sotto il culo la religione, sostituendola con un divano e un televisore nel quale poter vedere altri vivere senza scomodarsi troppo, i quali altri vivono a loro volta perché qualcun altro li guarda vivere. Si dicono ancora cattolici, per inerzia, ma anziché andare a messa sono diventati non praticanti e al posto della preghiera serale c’è il telecomando”.
Narrazioni felliniane
Sarà forse per questa sua visione disumanizzante che anche i personaggi femminili, da Madame Medusa a Valentina Mannella, da Naike Porcella a Kara Murnau appaiono esoteriche, mefistoteliche, quasi inesistenti o improbabili. Questo trittico letterario va letto non per cercare una o più storie in cui scombinarsi – le trame sono l’aspetto meno interessante di tali narrazioni felliniane, ma per provare a resistere a quello sconquasso psico-patologico che l’autore vuole provocare nei propri lettori. Chi tra questi resisterà, avrà vinto.
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