Uno strano oggetto che definire romanzo appare riduttivo se non fuorviante: ecco cosa è “La parte inventata” di Rodrigo Fresan. Tra monologhi e sfasamenti temporali, lo scrittore argentino, con voce narrante autobiografica, orchestra uno spregiudicato testo postmoderno: ci sono frammenti di epistolari, scritture episodiche e aneddotiche sulle vite di artisti, e mail, conversazioni, bozzetti letterari. Un compendio di alto e basso, con uno sguardo ai grandi maestri, anche della cultura pop
“Come cominciare?” Proprio così inizia La Parte inventata (702 pagine, 25 euro), edito da Liberaria, in un modo forse marcatamente post-moderno, per quanto questo possa significare, e che sostituisce il più classico e fiabesco “C’era un volta”. Dopo circa 700 pagine quel come cominciare vira retoricamente al “Come terminare” con tanto di episodio di volo di ritorno finale e una sorta di atterraggio del tutto particolare che è la chiusa di questo strano oggetto che definire romanzo appare riduttivo se non fuorviante.
Citazionismo sempre funzionale
In più occasioni la voce narrante, prima “Il Bambino”, poi “Il ragazzo”, poi “X”, questa l’evoluzione del percorso dello Scrittore, c’è tanto di autobiografico evidentemente nel libro di Fresan, cerca di darci delle tracce per decifrarla questa parte inventata, per farci capire cosa essa sia: «una nuvola così fragile, eppure capace di far chiudere la bocca al sole e farlo tacere per un po’ – che non è altro che un’ombra vera che si proietta sulla parte reale», oppure «ho vissuto talmente a lungo all’interno del cerchio tracciato dal libro e dai suoi personaggi che a volte ho la sensazione che il mondo reale non esista e che invece esistano soltanto i miei personaggi, e per quanto possano sembrare presuntuose queste osservazioni…sono l’assoluta verità», o ancora dallo stralcio di una lettera (vera o immaginata) indirizzata dall’editore di Francis Scott Fitzgerald all’autore simbolo della “lost generation», citando un brano contenuto nel suo Tender is the night, «Solo la parte inventata – la parte irreale – ha avuto una vaga struttura, una vaga bellezza”. Questo anche solo per dare un‘idea del citazionismo, alcune volte esasperato, ma sempre funzionale, presente nel libro di Fresan. Del resto sono ben sedici le epigrafi poste all’inizio del romanzo (chiamiamolo convenzionalmente così’), fra le quali per la loro potente esplosività mi sento di riportarne tre: «In questa sede non verrà intrapreso alcun serio tentativo di entrare in competizione con la realtà» (Robert Musil), «È tutto accaduto, più o meno» (Kurt Vonnegut), «Questa non è una pipa» (René Magritte).
Il pastiche e il rumore del mondo
Come ci avverte Vanni Santoni nella bella prefazione, altro scrittore che potrebbe benissimo essere citato nel libro dell’autore argentino, qui tradotto dalla bravissima Giulia Zavagna, aprire un libro con delle citazioni può apparire presuntuoso ed è quello che viene raccomandato di non fare agli aspiranti scrittori, perché La parte inventata è anche un libro sugli scrittori, aspiranti o meno. In questo modo viene fatto giustamente notare si creano delle grandi aspettative nel lettore e allo stesso tempo viene amplificato a dismisura il carattere ludico del tutto, condizioni ambedue ampiamente soddisfatte dalla lettura, osserva ancora Santoni. Nella stessa logica vanno inquadrate le quattro pagine di ringraziamenti finali, che ove in un romanzo “normale” queste sono dedicate ad amici, familiari, collaboratori, editori ecc…in questo caso sono rivolti invece a scrittori, saggisti, musicisti, libri stessi, insomma alle varie fonti di ispirazione e tracce che in parte si ritrovano lungo tutto il corso di questo anomalo oggetto, denominato La parte inventata, il cui diritto d’autore quasi per caso sembra essere stato assegnato a tale Rodrigo Fresan nato il 18 luglio del 1963 a Buenos Aires, Argentina, nella stessa città di Borges, forse più di un sospetto questo. Fra le epigrafi iniziali e le pagine dei ringraziamenti finali c’è tutto il resto. C’è il pastiche, c’è il citazionismo degno dei più spregiudicati dei post-moderni, viene in mente Pynchon, ci sono frammenti di epistolari, veri o fittizi, ma sempre verosimili, ci sono stralci della vita di Francis Scott Fitzgerald e delle sue vicissitudini con Zelda, scritture episodiche e aneddotiche sulle vite di scrittori, biografie d’artista, e mail, conversazioni, bozzetti letterari, c’è l’alto e il basso della cultura, dalla letteratura dei grandi maestri, Henry James, Francis Scott Fitzgerald che ricorre molto più spesso di tutti gli altri, e c’è anche la cultura pop, dalla musica dei Pink Floyd, ai Kinks, ai Beatles, all’ IKEA…proprio lei, la multinazionale svedese del mobile che subisce una strana mutazione, c’è insomma un po’ tutto il rumore del mondo. In questa scrittura per frammenti e senza una vera e propria trama trova posto anche un romanzo dentro il romanzo, con la storia dei Karma e di una certa Penelope, compagna dello Scrittore con la quale il Bambino a suo tempo lascia «Il posto dove finisce il mare (l’infanzia) perché possa cominciare il bosco” e c’è persino una sorta di manifesto letterario, nascosto in un piccolo inciso nel profluvio di monologhi e sfasamenti temporali del racconto del protagonista in cui l’autore, il Bambino, il Ragazzo o chi per lui, dove il protagonista (forse) ci dice che “scrivere è come nuotare sott’acqua e anche leggere quindi è come affogare”.Questo è un po’ il senso di un’altra delle frasi folgoranti disseminate lungo le 702 pagine: “Collegarsi da fonti esterne per alimentarsi solo di elettricità interna”. E poi c’ è lui, lo Scrittore, il Bambino che “lascia il mare perché possa cominciare il bosco» per diventare Ragazzo e poi ancora diventare “X”, lo scrittore che si fonde nel Large Hadron Collider del Cern per divenire una sorta di “particella di Dio”, «Lo scrittore come primo uomo ad accelerare le proprio particelle e a fondersi con l’universo» e che dissolvendosi si fa voce del creato. In questo vi sono echi del concetto di amplificazione di cui parlava Carmelo Bene. Lo scrittore che svanisce nell’universo il quale appare ora la sua stessa creazione, la sua narrazione e di tutti coloro che lo hanno alimentato prima di lui, chiaramente gli scrittori e annessi e connessi, rockstar comprese.
Tra Wallace e Bolaño
Lo stupefacente e inafferrabile caleidoscopio che è La parte inventata ricorda per molti versi le acrobazie di David Foster Wallace e l’intraletterario di Bolaño (anche il compianto scrittore cileno ha preso come sua ultima dimora Barcellona, un’altra coincidenza?), gonfia a ogni pagina, aumenta a dismisura (potrebbe essere stato anche titolato La parte aumentata, come la realtà), con le storie letterarie e i libri che vi sono contenuti. Come in un vero pasticcio o in un vero ipertesto viene la voglia di leggere libri che magari non hai mai letto, come Cime tempestose ad esempio o rileggerne altri come Il Grande Gatsby tanto alcune pagine sono impregnate della stessa luce verde del capolavoro di Fitzgerald, o Tenera è la notte, o ancora leggere tutto, ma proprio tutto di Jane Austen o di tanti altri, citazionismo compreso: «Cos’ è un artista se non la feccia della sua opera?» (William Gaddis), «L’artista deve atteggiarsi in modo da far credere alla posterità che egli non è nemmeno vissuto» (Gustave Flaubert). Il vero miracolo dato dal leggere il libro di Fresan si realizzerà quando e se riusciremo a “girare una pagina dopo l’altra per acquisire un altro tempo e un’altra velocità” e domandarsi “Che ora è”, rispondendosi da solo magari “l’ora che è nel libro”.
Sul mestiere di scrivere
Non è solo un libro per scrittori, benché il nostro non sia reticente nel parlarne: “E cosa poteva esservi idi interessante nella vita di uno scrittore? Alcool, droghe, donne, correre con i tori alle calcagna, farla finita nella suite di un hotel di fronte un lago straniero, prendere fuoco per combustione spontanea,volatilizzarsi?”, benché non disdegni di fornire alcune nozioni teoriche sul mestiere stesso di scrivere: “Esistono solo sette trame di base che si ripetono dall’inizio alla fin, nei libri, nel teatro, nel cinema e nella televisione: 1 sconfiggere il mostro 2 passare dalla povertà alla ricchezza 3 la ricerca 4 la commedia 5 la tragedia 6 la rinascita 7 il viaggio dall’oscurità alla luce”.
Questa è un po’ la trama de La Parte inventata di Rodrigo Fresan, sicuramente per i lettori abituati a narrazioni lineari, con un prima e un dopo, con una finestra della scrittura sul mondo reale non molto soddisfacente e che potrebbe essere sbrigativamente bollato come un corto circuito invenzione-realtà, mentre Fresan ci dice che «La parte inventata è quella soddisfacente, non quella reale» invitandoci a partecipare al suo gioco, alla sospensione dell’incredulità, al gioco della letteratura che è una finzione che dice la verità, richiamando a sua volta l’attenzione del lettore «come Ray Bradbury in Fahreneit 451 che ci metteva in guardia da un domani nel quale i libri sarebbero stati bruciati».
Nella bolla iper-tecnologica nella quale siamo immersi, nell’epoca della lettura dei libri ai tempi di internet, nell’era nella quale «siamo tutti la candid camera di noi stessi», l’era che può portare i lettori stessi a porsi domande sulla fine del romanzo o della stessa letteratura, cose sulle quali quasi beffardamente l’autore si diverte a speculare, il gioco-denuncia di Fresan è lì a ricordarci la sua forza e potenza e allora si tratta solo di leggerla La parte inventata, e magari anche citarla, come ho fatto anche ampiamente io in questo articolo che spero non vi abbia troppo annoiato.
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