Venti voci e diverse mentite spoglie del presentimento

Un’originale raccolta di racconti, Presentimenti, pubblicata dall’editore Qanat. Venti autori, altrettante opportunità di rivedere il nostro rapporto con il presentimento e l’incertezza, invisibile e talvolta imbarazzante motore dei nostri eventi, con le percezioni irrazionali, che sono ingranaggi della narrazione se non, talvolta, anima stessa delle storie

Nel tempo ottuso delle certezze a tutti i costi, quando nelle tasche di ognuno si accumulano risposte inequivocabili ad ogni tipo di domanda (perché la possibilità di un “non lo so” diventa sempre meno di moda), le Edizioni Qanat ci offrono venti opportunità di rivedere il nostro rapporto con l’incertezza: invisibile e talvolta imbarazzante motore dei nostri eventi.
Tali opportunità prendono la forma di altrettanti brevi racconti, contenuti in una raccolta il cui titolo rappresenta già un’eloquente denominazione: Presentimenti (228 pagine, 15 euro).

Il quinto senso e mezzo

Già, i presentimenti. Quelle percezioni irrazionali, così noiosamente poco empiriche, così dannatamente indimostrabili, e cioè inutili sul piano delle logiche utilitaristiche disciolte nel quotidiano. Eppure… che si farebbe senza di essi? Come potrebbero farne a meno i romanzieri, i giallisti, i narratori, e i loro personaggi? Cosa ne sarebbe stato di uno Javert, per esempio, senza il presentimento che il suo monsieur Madeleine fosse il buon vecchio Jean Val-Jean? E non parliamo poi del nostro impercettibile vissuto, quello che non viene filtrato dalla coscienza e diventa sesto senso, o quinto senso e mezzo, come più umilmente lo definisce l’Indagatore dell’incubo. Il presentimento, insomma. Riuscite a immaginare un Edgar Allan Poe capace di rinunciarvi? O un buzzatiano “mantello” senza il risolutivo gravame di questo peso terrificante? In generale, nessuno scrittore potrebbe farne a meno perché in esso si nascondono i prodromi di ciò che in termini teleologici si chiama “fine narrativo”, mentre con le parole della regia letteraria che si intreccia riga dopo riga definiremmo più semplicemente “colpo di scena”.
Ma il presentimento non è solo questo. Non è solo un ingranaggio della narrazione; talvolta diventa anima stessa di un racconto, di una storia. Talvolta, e non voglio considerarla eccezione, è proprio l’ultimo frutto di un romanzo: quando ti aspettavi la risposta a tutto, ecco che le pagine ti partoriscono una domanda, un dubbio, una perplessità: il senso di qualcosa che riesci a cogliere ma solo fino ad un certo punto, perché ogni giudizio completivo risulterebbe temerario. Riesci a sentire qualcosa ma non puoi dare definizioni ultime, perché ciò che senti è sempre enormemente anteriore alla possibilità di ciò che potresti sapere. Eppure, questa anteriorità in qualche modo ti basta e quando arriva il momento… ecco! Ma sì! Ma come ho fatto a non pensarci prima! L’assassina era lì, e la sua testa si confondeva tra tutte quelle dipinte su quel quadro! (Avete riconosciuto la citazione, vero?).

L’uomo vive di ciò che gli è ignoto

Il mistero diventa allora un motore più che accettabile al muoversi delle nostre vite: non ha bisogno di suffragi né di giustificazioni. L’uomo non vive solo di ciò che conosce, ma soprattutto di ciò che gli è ignoto eppure, in qualche modo, prossimo alla coscienza: il presentimento, appunto.
Il libro in questione, Presentimenti, ne è una prova. Uno sdoganamento ufficiale di questo orizzonte interpretativo che – ottima l’idea! – viene ratificato attraverso la consegna di venti racconti che non si lasciano bastare il presentimento come carburante, ma lo scelgono come oggetto primo, dimostrando finalmente che può bastare a se stesso. In questo senso, nulla di strano che le storie contenute in questa raccolta siano così vicine a quelle sensazioni che ciascuno di noi, seppure in contesti diversi, può quotidianamente sperimentare. Non ci si aspetti nulla di straordinario. Il presentimento inabita l’ordinario, ama nascondersi in esso e renderlo così decisamente più interessante.
Una cosa su cui mi sono soffermato a riflettere con un mezzo sorriso è proprio questa: un libro del genere, se avesse un titolo diverso, potrebbe pure annoiarti. Perché in fondo non capiresti come mai vengano descritte scene così facili da condividere e da capire (fatte le dovute eccezioni per qualche racconto in particolare). Ti chiederesti perché, tra mille cose da leggere, tu debba spendere 24 ore della tua vita a sgranare racconti dove, in definitiva, null’altro si narra se non lo sfondo quotidianamente visibile delle nostre esperienze. Nulla di particolare, dunque. Poi però leggi il titolo, che come dicevo è eloquente, e capisci che in ognuno di questi racconti si parla del presentimento vissuto in venti modi diversi, nascosto sotto venti diverse mentite spoglie. E cambia tutto. Cominci davvero a cercare, riga dopo riga, attraverso le suggestioni dei soggetti che si danno il cambio, quelle stesse tracce che a te, quando le vivi in prima persona, non appaiono altrettanto visibili. Qui le vedi perché qualcuno ha voluto mostrartele, ha voluto farti vedere il presentimento, che per sua natura rimarrebbe altrimenti invisibile.

L’ingrediente, il fiume e la passione

Come Adriana Branni, che in Care cose gioca al presentimento legandolo alla potenza dei ricordi e che, in una metafora mascherata da memoria, lo spiega meravigliosamente bene descrivendolo come “ingrediente segreto” di una ricetta, facendoti capire che nei tanti elementi di cui si costituisce la vita, esso rimane quell’unica cosa di cui non potrai mai essere certo e che, però, rende quella vita unica, diversa da quella di tutti gli altri.
Pregiatissima penna quella di Enzalba Elia, che in Niger ci regala un così perfetto flusso di pensiero, letteralmente un fiume, appunto, da non darci la possibilità di rimanere estranei a nessuna sfumatura del racconto. Un periodare parossistico il suo, volutamente esasperato, che elimina le virgolette come possibili ostacoli alla velocità di altrettante e più importanti sensazioni: un discorso più che diretto, immediato. Proprio come la potenza di un ricordo che si fa profezia.
Un negativo in controluce quello di Francesco Enia, cardiologo per professione, fotografo per passione, e scrittore per buona occasione. Un’esperienza su cui stagliare alcuni precisi ricordi perché, ormai sciolti dalla percezione ancora inconscia di un antico presentimento, acquisiscano finalmente un senso di ritorno. Trovare la fotografia descrive una chiusura del cerchio dove, nell’ironia della sorte, il tumore mafioso diventa l’insospettabile daimon di una passione perenne.

Certi sogni, una rimozione e un presagio

Cajeta Quemada, di Carla Garofalo, usa invece il meccanismo del presentimento attivando la sua funzione quantica, metafisica. O meglio, facendo sì che la realtà si comporti come qualcosa d’altro diventando presentimento a se stessa. Un intreccio tra un più quotidiano déjà-vu ed un più raro viaggio astrale, dove tempo e spazio si mescolano alla stessa maniera di certi sogni; con la differenza che – usando le parole del Vate genovese – “forse era sogno, ma sonno non era…”.
Sulla stessa linea, ma con un’accelerazione molto più avvincente, è Final destination di Giovanni Giordano, che per parlarci di una rimozione divenuta presagio scomoda nientemeno che il butterfly effect, applicandolo alla propria esistenza. Bello il suo racconto! Un romanzo di sei pagine, un frattale letterario con tutti gli elementi in piccolo: l’inizio narrativo che ti cattura; l’intermezzo interpretativo che ti spinge all’indietro e, infine, il finale che ti consegna conclusioni e futuro.
Interessante Wackerlin di Gea Graffagnino: chi legge passa dai sensi della protagonista, sperimentando cosa voglia dire trovarsi “tra sabbia e sogni” ed essere chiamati finalmente a scegliere tra… meteorologia e percezione. Un gioiello dove “atomi di felicità” fanno da contraltari ad implicite e pascoliane sentenze, dove un lungo indicativo presente prepara il sortire del primo passato remoto, evocato da una necessità di memoria, a concedere una nuova interpretazione ad un ricordo che, a quel punto, non può non ritornare come un amorevole presagio.

La passeggiata, l’ironia e la satira

Giuseppe Inzerillo, senza staccarsi affatto dalle atmosfere della sua città, anzi, ossigenandole per bene, trasforma una “classica passeggiata domenicale” in una vera e propria ascesa; e non parliamo solo di un dislivello, ma di un climax, di un presentimento che si coglie sin dall’inizio e che, per la prima volta, non è solo quello di un personaggio ma diventa il presentimento di chi legge questo efficacissimo racconto: Picnic a Montepellegrino Rock.
In Aeroporto, di Fabrizio Lo Celso, il tema si ripresenta sotto la spoglia piuttosto tipica del sogno premonitore, anche se la sottile imbastitura con cui tutta la trama è tessuta fa pensare che l’unico presentimento possibile sia quello visibile all’interno di certi meccanismi squisitamente umani, dove normalmente la dimensione ironica è sempre più premonitrice di quella onirica.
Crudamente satirica, invece, è La Premonizione di Fabio Lombardo dove, nella dettagliatissima successione di particolari su cui non ci siamo mai né soffermati né indignati abbastanza, viene descritta la compulsione di un ludopatico, la cui follia, associata a tanto tema, diviene quasi assimilabile all’alienazione di un oracolo. Bellissimo racconto: accusatore di un’intera epoca, e premonitore di ciò che quest’epoca lascerà dopo di noi.

L’ipocondriaco, il dono oracolare e una mente sibillina

Dante Martino firma L’attesa, certamente il racconto che ho apprezzato di più. Forse perché le suggestioni e le atmosfere mi riportano immediatamente alle emozioni che, tra Dolomiti e remoti deserti, ho sempre trovato tra le pagine di uno dei miei autori preferiti. Ma, al di là di ciò che è meramente soggettivo, lasciatevi senz’altro trasportare da questa appassionata scrittura a metà tra lo psicologico e il metafisico, tra ciò che può essere il “presentimento auto-avverante” di un ipocondriaco e ciò che invece può manifestarsi come la più tenace ironia della sorte. Pezzo geniale, ben scritto, di immediata ed indiscussa efficacia narrativa.
Più impalpabile, ma fortemente evocativo, è La sindrome di Cassandra di Francesca Messina. Il racconto, come ciascuno può facilmente immaginare, ci parla del presentimento innestandosi nell’antico e mitico tema di colei che, figlia di Priamo, subì contemporaneamente la grazia e il castigo dell’oscuro dono oracolare. Come nel più noto e mitico racconto, la protagonista di questa storia indugia al limite dell’arcano, sul ciglio di un sentiero mai abbastanza chiaro dove il vaticinio non può mai lasciarsi bastare, perché sempre più misterioso è il destino degli uomini.
Ben altro dono è quello concesso a Rosalie Sinclair, la protagonista de L’unità di misura, racconto di Francesca Romana Mormile. Qui, più che una pizia, abbiamo una mente matematicamente sibillina, capace di scorgere l’anzitempo della realtà attraverso la rivelazione dei numeri e delle misure; rivelazione che diventa presentimento, profezia, conoscenza premonitrice. Con una sola limitazione: ciò che per sua natura non può essere soggetto né alla misura dei numeri, né tanto più a qualsivoglia forma di divinazione, poiché “tanto profondo è il suo logos…”, direbbe Eraclito! Ottima l’idea di aver scelto questa forma narrativa per parlarci, ancora una volta ma in modo così originale, di quell’unica e sempiterna “cosa” che, per quanto esperibile, non sarà mai misurabile.

Il cuore, il conflitto e lo smascheramento

Barbara Musarra dà al suo racconto un titolo che è un nome proprio, Andrea, obbligandoci dunque ad un volto, e ad una condivisione di sentimenti che inevitabilmente sono chiamati a crescere insieme a quelli descritti dall’autrice. Sì, perché qui il presentimento coincide con una persona. E sarebbe assolutamente insufficiente affermare che i sogni premonitori siano eventi del tutto svincolati dai triboli della coscienza. Al contrario, certi presentimenti hanno le loro radici nel cuore, in un’apprensione antica, cresciuta con noi per qualcuno che in fondo, forse, avevamo sempre amato. E allora l’inconscio fa solo la sua parte ultima: consegna alla coscienza una verità da sempre messa al margine delle possibilità. L’inconscio è un gran signore: ti suggerisce a bassa voce, con la sua onirica discrezione, ciò che in fondo avevi sempre saputo.
L’intento di Liliana Pettinato, invece, è molto più materiale ma non per questo meno psicanalitico. Le femmine non sanno sparare? è il suo racconto che definirei come una cronologia in soggettiva: una crescita accompagnata, insieme a quella della protagonista. Tutto, fin dalla nascita, spiegato dagli stessi sentimenti di chi vive in prima persona non solo l’affacciarsi alla vita, ma l’acquisizione del dramma primigenio: il conflitto. La reiterazione di un pronome in corsivetto, che si affaccia costantemente, ci mette di fronte alla realtà del fatto che le percezioni dei sensi, soprattutto nei primi anni di vita, sono un universo sconfinato di presentimenti. Un racconto delizioso, delicato e saggiamente ironico, capace di dipingere con grande attenzione – e con adulta esperienza – il complesso orizzonte comprensivo dei bambini: oracoli per eccellenza.
Geraldina Piazza ci offre, in “Marcello e i suoi calcoli”, una prospettiva diversa da tutte le altre: irridente quanto attuale. L’autrice opera, per così dire, uno smascheramento dissacrante. Sì, perché se il presentimento è qualcosa di sacro, allora il restarne fuori diventa una sorta di gerardiana profanazione, almeno all’interno di una raccolta dedicata. E tuttavia, ben vengano certe virate, soprattutto quando ti costringono a chiederti se in effetti un determinato finale sia poi così chiuso… Magari non lo fosse!

Sette personaggi, un giallo e l’alba di un nuovo giorno

Davanti alla Fossa di Sale è il racconto di Alberto Samonà (nella foto), forse il più metafisico tra tutti, il più… quantico, se vogliamo utilizzare un aggettivo che sarebbe caro ad uno dei suoi sette personaggi: una compagnia scompaginata dalle differenze e tuttavia desiderosa di compiere un viaggio alla volta di questa misteriosa Fossa di Sale oltre cui è possibile ogni cosa, o forse il niente, o magari entrambe le cose. Uno Zio, organizzatore del viaggio; una Bionda Parigina, stereotipo mai troppo fastidioso anzi desiderato; Donna Prassede, proprio quella di Manzoni; Don Filippo, punito per aver accorciato di troppo la messa (la gente non è mai contenta!); il Nano, agile nello scibile; il Ragionier Gradasso, impacciato quanto brutto; e l’Evaso, che alla fine forse ricondurrà tutto alla Causa Prima. Un racconto dove il presentimento sta tutto nell’accorgersi neanche troppo tardi che la verità delle cose sta molto al di là delle descrizioni che se ne fanno, e il sale – peraltro – è perfettamente capace di conservare tutto ciò che con estrema facilità tende a deteriorarsi, come ciò che ciascuno si porta dentro.
Marina Sansone chiama Destinazione Sogni il suo racconto, che passa appunto da un presentimento ad una pre-destinazione che diventa meta, proprio attraverso il sogno: non l’unica occasione, come abbiamo già visto, in cui la forma preferita dell’inconscio diviene pizia di suggestioni arcane tutte da decodificare. Così è Chiara, la quasi protagonista della storia. “Quasi” perché, subito dopo di lei, siamo invasi da altri personaggi che – inutile nasconderselo – cominciano ad attirarci molto, molto più di lei. E qui è tutta la bravura dell’autrice, capace di trasformare una piccola storia in un vero e proprio giallo.
Sempre sul medesimo sfondo fatto di veglie e di inquieti torpori si muove Toto Speziale, col suo Brutti sogni, appunto. Si direbbe che essi siano, a questo punto della raccolta, proprio la voce prima di ogni presentimento. Qui, zigzagando tra le macchiette dialettali – forse un po’ troppo forzatamente cinematografiche – dei personaggi, si assiste a scene che ciascuno può facilmente ricostruire nella propria mente, grazie ai vissuti messi da parte con quel po’ di esperienza accumulata da tutti noi tra la Conca d’oro e la Piana, dove il velo di un’omertosa recrudescenza culturale diviene sempre più forte e più violenta di qualunque presago segno. E tuttavia, onore all’autore, la fine ci riscatta dall’incubo: l’alba di un nuovo giorno mette a tacere i sogni molesti, quelli che tendono a continuare anche dopo che ti sei svegliato.

Una sorpresa e i falsi profeti

Che vi piaccia o no è la piccola storia di Laura Tartaglia. Pochi pensieri ben connessi, tutti avvolti in una spirale di presentimento che, in ultima istanza, altro non è se non la sensazione che si fa avanti sempre più tenacemente nel cuore del lettore. Un racconto brevissimo, come un pensiero che ti attraversa la mente, come una sorpresa, come una sommatoria di ricordi che ti appaiono in un istante tutti insieme a farti capire che, in effetti, la disposofobia è l’unico presentimento le cui tracce sono tutte pienamente visibili, perché ci inciampi mentre cammini.
La raccolta si completa, con un’intenzione che definiremmo sbeffeggiante, con il racconto di Fabrizio Zanca: Te l’avevo detto io…. Il titolo non lascia dubbi circa il contenuto: l’espressione ci richiama subito alla fenomenologia emotiva cui sono sottoposti tutti coloro che, almeno qualche volta nella vita, hanno subìto il trattamento paternalistico in oggetto. Una frase che, intendiamoci bene, non contiene nulla di predittivo, né qualsivoglia vapore delfico. Si tratta, come ognuno può ben riconoscere da se stesso, di una formula nata per l’abuso della più ostile banalità, quella che non conclude, che non risolve, e che neanche aveva mai predetto o visto nulla. Serve solo a snervare attoniti interlocutori, messi alle corde, senza più capacità di ripresa. Ma può servire anche a diventare l’oggetto di una curiosa storiella, come nel caso di questo racconto. Il quale, diamo a Cesare quel che è di Cesare, ha il merito di prendersi gioco, almeno per una volta, di tutti quei falsi profeti che ti rinfacceranno all’infinito di aver previsto ogni cosa ma, stranamente, non hanno mai avuto il potere di cambiare nulla. Il presentimento degli ignavi.
Una raccolta originale, dunque. Di quelle che ti piace sfogliare quando vuoi fare il punto su un particolare aspetto del fenomeno umano, e capire come l’hanno visto e descritto altre persone come te e diverse da te.
Aulenti soffi di zagara fanno da sfondo a tutto questo libro dall’anima indiscutibilmente panormita, mostrandoti che, al di là di Sacchitello (qui un articolo da leggere), v’è quasi il presentimento che ciò che accade all’anima, prima o poi, debba in qualche modo finire su una pagina. Qualcuno l’aveva predetto. È bello che sia diventato realtà!

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