La precarietà esistenziale di un lembo di terra, regolarmente sommerso dall’alta marea, e un uomo che ha archiviato la felicità sono protagonisti di “Sommersione” di Sandro Frizziero, che regala una scrittura chirurgica, stretta e cruda. L’idea di fondo? Da una distruzione dolorosa e inevitabile può giungere una rinascita
Ogni sera all’imbrunire, parte dell’Isola, viene sommersa dall’alta marea. Il coprifuoco, che costringe gli abitanti a rifugiarsi in casa, a riparare le proprie abitazioni dall’acqua alta, viene annunciato dal suono di una sirena che si diffonde nella nebbia lacustre, «una sirena dal suono simile a quello di un profondo e tetro didgeridoo che sembra richiamare le anime alla valle di Giosafat, e che in realtà avvisa gli isolani che tra poco l’acqua del mare, così come avviene ogni giorno da qualche anno, ricoprirà gran parte delle terre emerse. L’intera diga scomparirà, come anche il faro e la spiaggia, il lungomare e gli orti. È singolare il destino degli uomini che uccidono i pesci tirandoli fuori dall’acqua e poi vengono a loro volta sommersi». Questo è un allenamento quotidiano che ognuno di loro compie per prendere confidenza con la scomparsa, un allenamento all’alienazione che consuma, esattamente come la terra viene erosa ad ogni passaggio dell’acqua, e che quando si ritira lascia dietro di sè una scia inanimata di oggetti ed esseri privi di vita. Di fronte al mare, un uomo con la canna da pesca, osserva assorto il muoversi irregolare della lenza, l’annuncio che un pesce ha abboccato. In questo mulinare continuo del tempo, l’uomo si ritrova a fare i conti con l’irrazionale che è in lui, con gli argini di un’esistenza che stanno crollando e lui non ha strumenti per contrastarlo. Non è un eroe il protagonista di Sommersione (190 pagine, 16 euro) di Sandro Frizziero in libreria per Fazi.
Solitudine, bestemmie e infelicità
Rimasto vedovo, con una figlia, “la Simonetta”, scappata a tempo debito dal padre, l’uomo vive in un’abitazione ormai fatiscente, abitata dalle mille bestemmie lanciate contro gli altri e contro se stesso, di fatto, per non essere stato in grado di vivere, senza rabbia e rancori. È un uomo che scatena nel lettore, in prima battuta, un senso di fastidio, dissenso e una distanza che ci vogliamo prendere. Poi però la storia di Sandro Frizziero scava e va ben oltre. Il protagonista è un uomo che nella sua vita ha fatto a meno delle buone maniere, ha archiviato ogni ipotesi di felicità, tanto da essere convinto che «la felicità è una compagna infingarda, sempre propensa all’inganno […] L’infelicità invece non rinnega e non respinge nessuno»; ha scansato l’amore, quindi se l’è preso con la forza. Il tempo che trascorre di fronte al mare a pescare, lui che aveva il peschereccio più bello di tutta l’isola, quello sul divano di casa e quello alla Taverna è un tempo che matura i sensi di colpa, che lo induce a cedere ai pensieri morbosi e deliranti, che gli ricorda ciò che è stato e ciò che non potrà più avere. Una solitudine accentuata dalla morte della moglie, “la Cinzia” contro la quale ha scagliato tutta la sua violenza, oltraggiando anche il suo ricordo: tutti in paese sono convinti che sia stato lui a farla morire: «ti considerano l’unico responsabile della sua malattia».
Il destino dell’Isola
L’Isola è una ferita, tutto intorno quel mare destinato ad inghiottire quella porzione di terra che si ostina a galleggiare: «L’Isola intera è destinata a essere sommersa senza troppe cerimonie, come una vecchia stanca che muore senza disturbare figli e nipoti. E se questo non bastasse, pure la subsidenza la condanna allo sprofondamento, accelerato peraltro dalle piattaforme che al largo delle sue coste succhiano gas dal sottosuolo. Non c’è futuro sull’Isola che, a ben vedere, altro non è che una cicatrice del mare, un postaccio, insomma, dove non cresce nulla se non i platani piantati dal comune e le ostinatissime tamerici che ancora si aggrappano alla sabbia della spiaggia».
Una nuova geografia umana
Sandro Frizziero vede in questa progressiva sommersione dell’isola, destinata a sparire, una nuova geografia umana che passa dalla cancellazione degli abitanti dell’isola alla fine delle loro sofferenze; ma vede anche la mano pesante dell’uomo che si affretta a mettere un freno alla sopravvivenza della specie e determina cambiamenti climatici impossibili da fermare: «Nel pomeriggio si raggiungeranno i trenta gradi dell’estate […] Si tratta soltanto di uno degli effetti più evidenti dei cambiamenti climatici che hanno reso l’Isola ancora più inospitale, segno incontrovertibile che la natura matrigna perseguita i suoi abitanti e li condanna, dalla nascita, a indicibili sofferenze». Non risparmia nessuno in questo suo romanzo: un antieroe al centro della scena, che intreccia il suo passato con quello degli abitanti dell’Isola, personaggi maledetti, che vivono nella precarietà esistenziale, abitano le profondità di un lembo di terra, al largo, e che si ostinano a resistere alla scomparsa. Il protagonista nel suo andare avanti e a ritroso, esattamente come il mare fa di fronte a lui, è prigioniero delle sue stesse azioni, come in un girone dantesco, in cui, per la legge del contrappasso, ogni giorno deve fare i conti con i ricordi, con il senso di colpa, con l’incapacità di fare la pace con i propri sbagli, pronto a darsi ragione contro ogni logica. Una scrittura chirurgica, stretta e cruda quella di Sandro Frizziero che ci ricorda, infine, come un’isola è sia un luogo che vive quasi con regole proprie, che una lenta deriva alla quale ancoriamo noi stessi, certi che da una distruzione dolorosa e inevitabile possa giungere una rinascita: ricostruire laddove la sommersione ha il peso di un destino già scritto, ma verso il quale è necessario andare controcorrente.