Un personaggio che si scopre al lettore come alla figlia per la prima volta: ecco il nocciolo di “Città sommersa”, debutto della traduttrice Marta Barone, intreccio di tante linee narrative. Si torna alla Torino delle lotte operaie e di Prima Linea. Ma è una mappa sentimentale, di cui non si conoscono i confini, a essere percorsa…
Una storia particolare, e una progettazione ancor più singolare: è questa la sensazione che lascia nel lettore Città sommersa (304 pagine, 18 euro), l’esordio di Marta Barone nella narrativa, uscito per Bompiani a gennaio 2020 e già felicemente inserito tra i candidati per il Premio Strega. Non è un caso: l’idea che guida il romanzo e la sua struttura sono infatti più che singolari, e si intrecciano insieme in una narrazione viva, parlante, che non lascia indifferenti.
La storia, innanzitutto
Una biografia, un racconto, una ricostruzione, un memoir? Che cos’è Città sommersa? Tutto, e insieme una novità che emerge dall’intreccio di tante linee narrative. È la storia dello scavo che l’autrice, insieme personaggio del libro, inaugura scoprendo una memoria difensiva che riguarda la vita del padre, mancato da poco e con il quale aveva un legame distante, mai sondato. Questa è solo la scusa narrativa per iniziare, attraverso ritorni all’indietro nella storia della Torino delle lotte operaie e di Prima Linea: una scoperta che si fa viaggio cronachistico e svelamento di un personaggio – il padre – che si scopre al lettore, così come alla figlia-narratrice, per la prima volta.
Ecco perché è impossibile staccare i piani: la biografia è già un romanzo, o forse è la forma romanzo che attinge alla cronaca per diventare una storia letteraria. Al centro non ci sono solo i fatti, le lotte, gli episodi anche violenti, il lavoro certosino di ricerca, le interviste ai testimoni di un’epoca politica e sociale oscura. Al centro c’è un personaggio che diviene, e con lui diviene la figlia, giovane donna che conosce, si interroga, costruisce una visione attraverso la scrittura.
A spirale dentro la città sommersa
Città sommersa ha due inizi: lo svela l’autrice-protagonista, e se ne accorge anche il lettore. Il primo è l’inizio che vede la narratrice spostarsi dalla sua città, Torino, a Milano, in cerca di qualcosa di ancora non chiaro, un esplicito fucile di Cechov a segnalare che qualcosa accadrà; il secondo è la scoperta della memoria difensiva, primo passo di una lunga ricerca che si scandirà nel tempo.
Storie personali si costruiscono passo dopo passo, intrecciandosi in un’edita spirale con l’evoluzione della storia politica negli anni delle lotte operaie e del terrorismo. C’è la storia del padre, prima ragazzo, studente, poi giovane medico e operaio, marito e genitore, la sua partecipazione politica, gli episodi cardine del suo percorso, a tratti misterioso, a tratti disvelato. C’è poi la storia di formazione della giovane autrice che, sulle tracce del genitore, scava, interroga, riceve racconti che si trova a dover rielaborare, tra labili ricordi personali del padre e della vita infantile e documenti, carte, frammenti di memorie altrui: tessere private e pubbliche con cui ricostruire il profilo di un padre distante.
Immersione
La città sommersa non è Milano, non è certo Torino, ben presente nella storia con le sue fabbriche, le rivolte dei quartieri operai, i fatti di sangue delle vie del centro e gli archivi tutt’ora esistenti dove poter fare ricerca su quegli anni bui. La città sommersa è il padre. La vera geografia è spostata sul piano metaforico: il romanzo è un’esplorazione tutta sentimentale, seppure punteggiata di dati storici, della geografia umana del padre. Marta Barone si immerge in una mappa di cui ancora non conosce i confini, ma di cui intuisce la forma, e inaugura così un percorso senza sapere dove arriverà, se arriverà.
Per farlo si affida alla scrittura, con cui in maniera inedita esplora del materiale autentico, autobiografico, sposandone il portato simbolico su un piano squisitamente letterario. Non è un romanzo storico, Città sommersa di Marta Barone, pur raccontando fatti documentati. È un romanzo di ricerca: è l’esplorazione della figura del padre, il costante relazionarne i frammenti al sé; è una narratrice che è parte stessa del romanzo, suo fondamentale personaggio in divenire, nella limpida coscienza di essere protagonista di uno scavo, un’immersione in cui è possibile calarsi grazie alla scrittura.