Un romanzo contro ogni fondamentalismo, “La casa della moschea” di Kader Abdolah. Da gustare nella sua versione cartacea, pubblicata da Iperborea, o in quella audio di Emons, di cui anticipiamo un brano, che è possibile ascoltare
Nel 2017, all’indomani della strage sul Ponte di Westminster, un quotidiano titolò: “L’Islam ci rifà la festa”. Per chi ignora quanto vario, contrastato e conflittuale sia il mondo musulmano e l’interpretazione di quella religione, per chi volesse finalmente scoprire quanto sia insulso (eufemismo…) generalizzare scambiando qualche manipolo di fondamentalisti per “l’Islam”, un consiglio di lettura: il romanzo – non recentissimo – dell’iraniano Kader Abdolah La casa della moschea (512 pagine, 18,50 euro) edito da Iperborea. O il meno impegnativo ascolto dell’audiolibro, ora nel catalogo-novità della Emons (durata 13h 51min, 15,90 euro in cd o 9,54 in download) che s’è affidata all’interpretazione dell’attore napoletano Lino Musella.
Lo scià, gli ayatollah
All’ombra della “casa” si consuma nella città di Senjan una saga familiare che attraversa il sanguinoso passaggio dell’Iran dal regime filoccidentale dello scià Reza Pahlavi a quello teocratico dell’ayatollah Ruhollah Khomeini. Di terrore in terrore. Il protagonista principale, il mercante di tappeti Aga Jan, vive intanto con devozione e sofferenza la sua fede mite nel Corano. Un testimone dello scontro tra moderati e integralisti che non appartiene soltanto a quella religione, peraltro segnata da una secolare faida tra sciiti e sunniti. Nella seconda metà del “secolo breve”, dunque, la Storia di una rivoluzione e di un Paese si compie pretendendo, ancora una volta, uno spaventoso tributo di vite umane. Quattro mura contengono un mondo intero: «Il dolore avvolgeva la casa come un chador nero – sono alcune righe del romanzo – Nessuno parlava, nessuno piangeva, nessuno rompeva il silenzio, ma c’era qualcuno che salmodiava incessantemente”.
Il coraggio della testimonianza
Kader Abdolah è lo pseudonimo di Hossein Farahani, intellettuale persiano costretto all’esilio da rifugiato politico nei Paesi Bassi per la sua narrazione della ferocia del sistema. Scià o ayatollah, poco importa. La denuncia politica, comunque, rappresenta una missione collaterale per Abdolah che affida a “La casa della moschea” un altro scopo: «Ho scritto questo libro per l’Europa – spiega nella prefazione – Ho scostato il velo per mostrare l’Islam come modo di vivere. Un Islam moderato, domestico, non quello radicale». Nella postfazione al libro edito da Iperborea, invece, la traduttrice e docente universitaria Elisabetta Svaluto Moreolo sottolinea “l’urgenza di Abdolah di rendere testimonianza a sé stesso e allo spirito di Aga Jan, che vive in lui, della propria storia e di quella dell’Iran, così indissolubilmente legate”. «Scegliendo di narrare le vicende politiche e religiose del suo Paese – aggiunge la studiosa – riesce magistralmente nel suo obiettivo… in un’opera di grande respiro, un’autentica epopea individuale e corale. È il nitore dei ricordi e della scrittura che li traduce sapientemente in racconto a permettere al lettore di muoversi tra le mura di una casa in parte sospesa nel tempo, in parte calata nella storia».
Ascolta un brano da La casa della moschea nella versione di Lino Musella