Willis, anatomia dell’amore e maestri d’eccezione

I racconti di Deborah Willis raccolti ne “Il buio e altre storie d’amore” risentono della lezione di Alice Munro e George Saunders. Poco male, la sua farina è di ottima qualità. E, senza cedere alla svenevolezza, esplora con fantasia – e donando libertà alle sue figure femminili – una vasta gamma di opzioni del sentimento e dell’eros

Grazie di cuore alle Edizioni Del Vecchio per aver portato in Italia Il Buio e altre storie d’amore (304 pagine, 18 euro), della canadese Deborah Willis, tradotto da Paola Del Zoppo, Costanza Fusini e Michela Sgammini.
Tra le forme che la prosa può assumere, quella breve resta la più immaginifica, la più sorprendente, la più affascinate. Eppure, le statistiche rivelano che in Italia i racconti sono sempre in debito di lettori e di case editrici disposte – tiranna l’inflessibilità delle leggi di mercato – ad assumersi il rischio di pubblicarne. Doveroso, dunque, prima ancora di elogiare il contenuto del libro, omaggiare l’audacia delle Edizioni Del Vecchio, affiancate nell’impresa dalla citata squadra di traduttori. Anzi, c’è ancora una lacuna da colmare a conclusione di questa premessa ed è relativa alla vita dell’autrice. Fornirne qualche dettaglio in un abbozzo di biografia non potrà che giovare, infatti, alla comprensione e al godimento dei testi.

Avvincente e originale

Deborah Willis è nata a Calgary, in Alberta nel 1982. Ha studiato all’Università di Vittoria. Prima di dedicarsi unicamente alla scrittura, possibilità offertale dall’inserimento consecutivo in due programmi di “writer in residence”, uno presso la Joy Kogawa House di Vancouver, l’altro all’Università di Calgary, è stata istruttrice di equitazione, giornalista e, per ben sette anni, libraia presso la prestigiosa Munro’s Books, una delle più belle al mondo a giudizio del National Geographic. Attualmente è di nuovo writer in Residence presso la MacEwan University di Edmonton.
Svanire, la sua prima raccolta, pubblicata in Italia nel 2012 dall’Editore Del Vecchio, tradotta da Anna Baldini e Paola Del Zoppo, si guadagnò il titolo di miglior libro del 2009 dal the Globe and Mail, oltre che la candidatura al BC Book Prize.
Tra i suoi autori di riferimento, nell’arco del settennato in cui ha lavorato al libro, Alice Munro, Flannery O’Connor e Richard Ford.
Il Buio e altre storie d’amore, raffinato risultato di otto anni di fatiche, è una eccellente prova di scrittura distillata in 13 storie, alcune apprezzabili per l’emotività, altre per l’ironia, altre per la stravaganza, ma tutte avvincenti tanto per l’originalità della trama quanto per l’armoniosità dello stile.

Come un concept album sull’amore

Rispetto a Svanire, qualcosa è indubbiamente cambiato nelle modalità progettuali di Willis. Se, infatti, in quella prima raccolta divisa idealmente in due parti, si contrappongono, con una certa nettezza, racconti che stanno in piedi da soli e altri connessi da un unico, seppur flebile, filo tematico, ne Il Buio e altre storie d’amore, l’autrice estrae dalla faretra una sola freccia, quella contrassegnata dalla parola amore e la scocca in modo che trapassi le storie, le infilzi ad una ad una, inchiodandole così, ben aderenti l’una all’altra, al bersaglio. In altre parole, se fosse un disco, questo di Willis sarebbe un concept album le cui tracce mulinellano intorno all’anello base della catena sentimentale.
«Che cos’è l’amore?» si chiede ripetutamente Leanna, la protagonista de L’Arca, il decimo episodio. «Quando avevo sedici anni, era una canzone europop. What is love? Baby don’t hurt me, don’t hurt me no more».

Né sentimentalismo né prevedibilità

L’amore è ciascuna delle tredici guise che assume in ognuna delle narrazioni: un’intensa amicizia tra due ragazzine durante un campo estivo, la condiscendenza di un giovanotto verso la partecipazione della sua compagna ad un reality show che mette in palio un posto nella prima missione, ovviamente senza ritorno, su Marte, l’adozione di un corvo come animale domestico da parte di un individuo segnato dalla solitudine, l’abnegazione con cui un bimbo si arrende alle strambe manifestazioni d’affetto del suo papà disfunzionale. «Il libro ruota intorno ai legami e a come ci annodano gli uni agli altri e infine al mondo».
Nonostante l’ingrediente primario evochi sentimentalismo o svenevolezza, e paventi lo spettro della prevedibilità, la visione d’insieme di Deborah Willis si sviluppa senza cedere ad alcuno dei vizi nominati. Il suo piano di attingere alle forme altre in cui il sentimento per antonomasia può essere frammentato, le apre la strada ad una vasta gamma di opzioni, consentendole di esibire la sua grande fantasia. Sfodera così vicende in cui l’amore dismette il blasone, precipitando nei meandri dell’eros o in cui alle donne è consentito spingersi oltre i limiti di castigatezza imposti dal «canone letterario inglese». Encomiabile, infatti, la libertà che dona alle figure femminili, lasciando che agiscano senza freni o che addirittura sfoghino con naturalezza i desideri carnali, inclusi quelli un tempo definiti saffici.

Ironia e distacco

Questa la materia che troverà il lettore nelle pagine de Il Buio e altre storie d’amore. Quanto allo stile, l’arguta ironia, il ben ponderato distacco di alcune voci narranti e la maniera di tratteggiare gli sfondi paesaggistici lasciano intravedere, lievissima filigrana, l’influenza della Munro, anche in questo caso, dichiarata musa ispiratrice. La parte onirica e straniante, ovvero quella in cui i plot si fanno più azzardati, sempre per ammissione dell’autrice, risente dell’influsso di George Saunders. Poco male. Tutti abbiamo buoni maestri che ci aiutano a forgiare il talento, agendo su di noi come i miglior lieviti sull’impasto del pane. Per quanto possano essere imprescindibili sostegni, tuttavia, sarà sempre la qualità della farina nel sacco del panettiere a fare la differenza. Quella della Willis è decisamente di prima scelta.

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