Intervista alla giornalista Daniela Tornatore, che debutta nella narrativa con “L’ultimo ricordo”, protagonisti una coppia dal rapporto tormentato e una cronista: “Ci sono storie che meritano di essere raccontate tanto quanto si evita di farlo. Ho avuto moltissima paura a scrivere di Alzheimer. La musica ha avuto un grande ruolo nella costruzione del romanzo. Una trasposizione cinematografica? Se son rose, fioriranno”
Esce L’ultimo ricordo (144 pagine, 14 euro), romanzo di esordio di Daniela Tornatore, in libreria per i tipi di edizioni Leima. Al centro della storia, il rapporto tormentato e difficile tra Anna e Paolo, con il quale lei, tenace e sempre disperatamente innamorata, si lega a lui, cinico e risolutamente egoista.Con loro, ma in una dimensione molto meno sentimentale, c’è Angela, dapprima aspirante e poi attenta e caparbia giornalista, che, taccuino in mano, si spingerà in quel «luogo della memoria perduta» dove i destini dei tre protagonisti, inaspettatamente, si incroceranno. Abbiamo incontrato l’autrice.
Quello tra Anna e Paolo è un amore tormentato e difficile, ma, comunque, pur sempre amore. Perché, oggi, secondo te, ha ancora un senso inventare e proporre storie d’amore?
«Perché in un momento storico in cui emerge prepotentemente la violenza nei rapporti tra uomo e donna, vorrei ristabilire un certo ordine. Anzi, azzarderei una provocazione: e se proponessimo soltanto storie d’amore?»
Il tuo modo di scrivere e raccontare, sempre privo di filtri, pone il lettore a tu per tu con le vicende narrate. Sono sicuro che qualcuno, come me, avrà una voglia matta di rifilare almeno un pugno a Paolo. Perché hai deciso di creare la figura così profondamente negativa di un «irrisolto stronzo anaffettivo» che candidamente ammette «sono cinico, provo un gusto perverso nel vederla soffrire per me»?
«Perché gli uomini come Paolo esistono ed è arrivato il momento di rendersene conto. Non mi interessava raccontare una storia d’amore ordinaria, come tante ce ne sono. Io piuttosto volevo porre l’accento su quel tipo di rapporti che, per ovvi motivi di autocensura, nessuno ammetterebbe mai. Ci sono storie che meritano di essere raccontate tanto quanto si evita di farlo».
Nella società della prevaricazione e dell’egoismo, purtroppo a quanto pare dominante, Paolo sembrerebbe avere avuto la meglio perché di Anna si è preso proprio tutto, senza dare niente in cambio. Malgrado tutto, però – e qui, secondo me, sta la vera forza di una storia d’amore non banale – è Anna a vincere a mani basse, anche se la sua vittoria le è costata davvero tutto.
«Per le donne come Anna è soltanto una magra consolazione. Tuttavia ci piace pensare che sia così».
All’interno della narrazione, il lettore trova, opportunamente inseriti, alcuni riferimenti a brani musicali di grandi firme (Baglioni, Rossi, Ferradini, De Andrè, Bennato, De Gregori). Qual è il ruolo che la musica ha nella fase di costruzione del romanzo?
«Credo di poter dire che abbia avuto un ruolo determinante. Le canzoni, i testi dei grandi autori, sono spesso illuminanti. A volte offrono risposte che non sappiamo darci da soli»
Paolo, Anna ed Angela sono i tre protagonisti de L’ultimo ricordo, ma con loro c’è un convitato di pietra dalla presenza a dir poco inquietante, l’Alzheimer. Hai avuto paura nel trattare un argomento così sensibile?
«Moltissima. Tanto è vero che ho chiesto aiuto a un gruppo di medici specialisti. Ho dovuto studiare tanto, frequentare un centro diurno, per toccare con mano un problema devastante che coinvolge un numero enorme di persone».
Daniela, tu, prima di essere un’autrice, sei una giornalista. Hai parlato della tua professione in un precedente lavoro e, adesso, torni ad occupartene in questo tuo ultimo romanzo, perché Angela, figura chiave del racconto, appartiene proprio a questa “categoria allo sbando”. Quanto di te c’è in questa figura così centrale?
«Provo un grande senso del pudore a definirmi una scrittrice. Allora ho creato un personaggio dietro al quale nascondermi. Indossare i panni della giornalista, dopo trent’anni di attività, per me è meno difficile. Angela è il mio alter ego».
Hai riletto il tuo libro dopo la pubblicazione? Quali sono le tue sensazioni a lavoro ultimato?
«L’ho riletto non so più quante volte. Non mi sembra vero di averlo scritto, così ho ancora bisogno di immergermi in quelle pagine. Cerco conferme. Di tanto in tanto leggo qualche riga e penso: sì, l’ho scritto io».
Penso proprio che qualcuno, letto il libro, ti dirà che L’ultimo ricordo si presta benissimo a una trasposizione televisiva o cinematografica. Io, personalmente, sono d’accordo perché vedo nel tuo stile una forte influenza della fotografia, altra tua passione; si tratterebbe, in quel caso, di fare il percorso al contrario. Cosa pensi a riguardo?
«Non lo so, a me sembra un grande complimento già solo il fatto di sentire accostare il mio libro a un’opera teatrale o a un film. La mia dev’essere stata un’involontaria deformazione professionale. Ho sempre dovuto lavorare con le immagini e le parole, metterle insieme mi riesce naturale. Vedremo. Se son rose – e in questo libro ce ne sono tante – fioriranno».
Cosa diresti se ti dicessi che per il sottotitolo del tuo romanzo potremmo utilizzare la famosa frase di Ovidio «Sic ego nec sine te nec tecum vivere possum»?
«Né con te né senza di te. Mi pare appropriato».