L’ultimo romanzo della siciliana Giuseppina Torregrossa “Il sanguinaccio dell’Immacolata” mostra la banalità del male con leggerezza e con l’efficacia del giallo: “Alla radice di una storia c’è sempre un elemento del reale che ha colpito nel profondo l’autore e che risuona come inventato nella fantasia del lettore”
Giuseppina Torregrossa ha scritto con Il sanguinaccio dell’Immacolata (235 pagine, 18,50 euro) edito da Mondadori, uno di quei libri che colpiscono allo stomaco la mafia. Perché con la leggerezza e l’efficacia del giallo svela il … disonore degli “uomini d’onore”, mostrando la banalità del male. L’autrice, una ginecologa palermitana che ha lungamente lavorato a Roma, parla così della terza inchiesta della sua creatura letteraria, la vicequestora Marò Pajno, già protagonista di Panza e prisenza (2012) e Il basilico di Palazzo Galletti (2018).
Una terra bellissima – «da lontano la città sembrava uscita dritta dalle mani di Dio» – oscurata dai miasmi della mafia. È la foto che lei “scatta” nel suo nuovo romanzo. Palermo, la Sicilia, saranno mai libere di risplendere?
«Non saprei rispondere. Falcone diceva che la mafia era umana e perciò destinata a finire come tutte le cose umane. Io ho la sensazione che ci troviamo di fronte a una sorta di piaga biblica che distrugge le risorse migliori di una società. Per un mafioso arrestato ce n’è subito un altro pronto a prendere il suo posto. Certo è che liberarci della mafia è difficile, e a tale scopo sarà necessario impegnarci con tutte le nostre forze, non lasciando nulla al caso».
La vittima è donna, come Saveria Russo. La speranza è donna, come Marò Pajno e “zà Sarina”. L’altra metà del cielo, invece, che fa? Guarda?
«C’è un questore piacione, un ex fidanzato depresso, un padre affettuoso, un marito inconsistente, un cugino affascinante, un rapinatore improvvisato…ma nulla è come appare».
L’inchiesta per omicidio conduce a una verità amara, terribile. Poco o nulla romanzata. Da queste parti, purtroppo, la realtà supera sempre la fantasia?
«Come faccio a rispondere senza rivelare il finale? Posso solo dire che gli scrittori sono sempre ispirati dalla realtà, che la creatività interviene nel modo di raccontare, nella scelta delle parole, nel sentimento che accompagna i singoli personaggi. Alla radice di una storia c’è sempre un elemento del reale che ha colpito nel profondo l’autore e che risuona come inventato nella fantasia del lettore».
La vicequestora Pajno ha problemi di linea. Non solo lei, in effetti. Il suo libro, però, propone ricette di “sancielu duci alla trapanese”, cucciddatu”, “cuccìa” e “cannola”. Una provocazione?
«Le ricette sono un marcatempo. L’indagine è breve, copre un periodo di tre settimane a ridosso delle feste natalizie. Ho inserito le ricette per scandire il passaggio del tempo e dare al lettore un ulteriore elemento per orientarsi nella lettura».
Manca l’antipasto. Un assaggio della sua prossima fatica letteraria?
«Posso dire poco. Solo che si tratta di un tema a me molto caro».