Nei nuovi racconti di Amy Hempel, che spesso si risolvono in un soffio, s’intrecciano ricordi, vuoti e paure. In “Nessuno è come qualcun altro” una delle virtuose della narrativa breve ha raccolte quindici short stories: protagoniste donne senza nome, o coppie, alle prese con una quotidianità solo apparentemente banale
Ogni parola al suo posto, inevitabilmente. Vanno così le cose quando c’è di mezzo Amy Hampel, americana, fuoriclasse del racconto breve, anche brevissimo. Bollata semplicisticamente come minimalista perché allieva del discusso Gordon Lish, ma che da tempo, almeno dalla sua terza raccolta (e ne ha scritte cinque in totale) non è incasellabile in formule e formulette, fa storia a sé, ci riesce, finisce per essere inimitabile. Nelle sue storie brevi si può trovare la potenza, il non detto, gli stravolgimenti mentali e spirituali che regalano opere ben più mastodontiche e questo dovrebbe già dire molto, specie ancora a chi non la conosce. Torna in libreria ancora grazie alla casa editrice Sem, che aveva rilanciato Ragioni per vivere, tutti i racconti (ne abbiamo scritto qui), quella che fino a qualche anno fa sembrava l’opera omnia ma, è chiaro adesso, era solo la raccolta dei suoi primi quattro libri. Dopo oltre dieci anni è arrivato un nuovo avviso ai naviganti.
Sottintesi e protagonisti evanescenti
La novità si intitola Nessuno è come qualcun altro (156 pagine, 17 euro), ed è un volume tradotto come il precedente da Silvia Pareschi, alle prese con una prosa misurata e densa, elegante, con uno stile non artificiosamente asciutto, evocativo, che si nutre di sottintesi. Hanno cuori malconci e sono spesso prede della solitudine gli evanescenti protagonisti – anche coppie – delle quindici short stories (che spesso si risolvono in un soffio) di Amy Hempel, che vanno incontro a rimpianti, paure, vuoti, ricordi e amare verità. Vivono principalmente nella zona orientale degli Usa, tra New York e la Florida, sono spesso donne, sono sempre senza nome, nel senso che, in fine dei conti, potrei essere io, oppure potresti essere tu, qualsiasi lettore trovi in tasca l’empatia per stare in linea d’onda con queste pagine in cui, chiaramente, non c’è spazio per la digressione. Se scocca la scintilla, si farà in fretta a collocare Amy Hempel fra le vette dei nostri giorni per quanto riguarda la narrativa breve.
Enigmi e abissi in poche frasi
Impastare letteratura con la vita quotidiana può essere foriero di mille equivoci. Esserne in grado, senza incorrere in qui pro quo, non è da tutti. Riuscirci anche in mezza pagina è un piccolo miracolo, che capita di frequente alla dea – Palahniuk dixit – Hempel. L’unico racconto (sessanta pagine scarse) che non ri risolve in poche battute è Cloudland, protagonista un’infermiera a domicilio, col suo passato che riaffiora dopo decenni, in particolare quello legato all’affido di una figlia partorita diciottenne: una donna tormentata e oscura come la Florida in cui vive, non quella delle coste, ma quella fredda e umida dell’interno. Non di soli tormenti vivono però le storie dell’autrice, c’è qualche spaccato cupamente ironico (si pensi a Greed, signora anche di una certa età, sposata con il «cornuto del secolo…», considerata «una libertina, non una puttana»), ambiguità, imprevedibili paradossi, quasi non sense, poche frasi appena che aprono a enigmi e abissi, a vite e mondi.
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