“Giovanissimi”, secondo romanzo del napoletano Alessio Forgione, ovvero una trama esemplare, alla quale la spigolosità con cui si narrano l’amicizia imperfetta, l’amore acerbo, la sorprendente scoperta del sesso, conferisce la dimensione confidenziale dei romanzi destinati a durare
In chiusura del pezzo su Napoli mon amour, che si può leggere qui, mi ero congedata da Alessio Forgione così: «I Magnificat possono rivelarsi più infidi delle stroncature, soprattutto per un esordiente. Comprenderà quindi, l’autore, le ragioni per cui ho preferito l’aggettivo ottimo in luogo del più insidioso eccellente».
Poco più di una pacca affettuosa sulla spalla, a metà tra il complimento, l’incoraggiamento e il rito scaramantico. Una chiosa formulata bonariamente e con le migliori intenzioni: hai emesso il tuo primo, apprezzatissimo vagito, converrai con me che il difficile viene ora. Il suono che hai cacciato deve evolversi in una tua propria voce, assumere la consistenza di parola, la forza di una lingua e continuare in crescendo. Il fiato c’è. La giusta intonazione pure. Teniamo le dita incrociate per via di quella storia della ubris e dell’invidia degli Dei.
Maturità e punti di forza
Sono cosciente che, confermando un’ identica valutazione per Giovanissimi (219 pagine, 16 euro), seconda prova dello scrittore napoletano, ancora NN editore, mi tengo ugualmente stretta di manica.
Ottimo è, tutto sommato, un giudizio striminzito per un romanzo che trasuda maturità. In Giovanissimi l’autore ha dimostrato, infatti, di poter fare a meno delle tappe evolutive codificate per l’apprendimento del mestiere, essendo egli riuscito ad accorparle, quelle tappe, senza neppure necessità di saltarle, correndo e contemporaneamente cantando a pieni polmoni, fin da subito, e in modo decisamente molto spedito per la sua età editoriale/letteraria. Malgrado ciò, io continuerò a conservare le proverbiali lodi sperticate per la prossima volta o quella successiva ancora, onde neutralizzare la tracotanza e l’invidia deorum di cui sopra, perennemente in agguato.
Se non rischiassi di annoiare, ripeterei ogni altra parola che scrissi su Napoli mon amour qui, a proposito di Giovanissimi, non certamente per pigrizia nell’argomentare, né perché il romanzo sia un mero clone del primo e dunque manchi di pregi propri.
Piuttosto è che i punti di forza sottolineati la prima volta, ovvero le soluzioni scelte per neutralizzare efficacemente i rischi assunti, funzionano egregiamente anche in questo caso.
Forgione ha bissato l’obiettivo di un libro appassionante e dal grande carattere, rimanendo fedele a sé stesso e contemporaneamente trovando, in questa dimensione, spazi di originalità.
Un quindicenne e il sogno del calcio
Marocco ha quindici anni. Vive con il padre a Soccavo, periferia occidentale di Napoli. Studente demotivato, rinunciatario, rassegnato, sogna di diventare un calciatore professionista. Sfoga sul campo di pallone le frustrazioni di un’adolescenza alla quale è giunto già malconcio, ferito a morte dal precoce abbandono della madre, che si è volatilizzata senza mai più dare segni di sé. Mentre il residuo ricordo di lei progressivamente sbiadisce, egli tenta di lenirne l’assenza, rattoppare il desiderio di tenerezza e di protezione che gli tiene aperto un buco in pieno petto, ciondolando per il quartiere con Lunno, amico fraterno grazie alla cui intermediazione troverà l’amore.
Con la Napoli selvatica della sua zona d’origine e una giovinezza riottosa e fragile, Alessio Forgione è riuscito, in Giovanissimi, a impastare una trama esemplare, alla quale la spigolosità – tratto tipico dello scrittore – con cui si narrano l’amicizia imperfetta, l’amore acerbo, la sorprendente scoperta del sesso, conferisce la dimensione confidenziale dei romanzi destinati a durare.
Mi è piaciuta la saggezza con cui l’autore ha equilibrato i due principali soggetti: il quindicenne Marocco, e Soccavo. Entrambi, il ragazzo e l’elemento geografico, sono attori paritetici, agenti e reciprocamente agiti, in un rapporto di scambievole dipendenza. La periferia, delinquente, violenta, scostumata e irriverente, costringe Marocco, che la imita in quei tratti, ad assomigliarle. Marocco, indolente, talvolta insipiente e arrogante, a sua volta l’influenza, caricandola delle proprie cattive attitudini, in virtù del fatto che sono le persone, tutto sommato, a fare i posti.
Trama impetuosa e reticente
Mi è piaciuta la costruzione della trama, che procede come l’adolescenza: impetuosa e reticente, costantemente in tensione.
La scrittura di Alessio Forgione gli assomiglia, esteticamente intendo. Segaligno, pelato, non c’è una foto in cui rida. La sua narrazione sembra essere uno specchio che lo replica con una certa fedeltà. Procede secca, senza orpelli, dura. Eppure negli occhi dello scrittore si intravede una faglia, un’avvisaglia di sorriso. Suppongo sia la gioia procurata dal mestiere di scrivere, che buca la scorza coriacea. Un elan vital che, dopo esser passata nelle pagine, aver legato tra loro le parole animandole, raggiunge infine il lettore, al quale regala scampoli di genuine emozioni.
Ciascuno darà un nome e una forma alle proprie: piacere puro del leggere, scoperta, rispecchiamento, paracadute per affrontare il crinale scivoloso della disillusione quotidiana.
Per me si tratta della felicità semplice di ritornare nel mio quartiere. Sebbene il romanzo ne metta il luce aspetti poco lusinghieri, per i quali c’è da prendersi scuorno, sento comunque una sorta di orgoglio per come l’autore, tramite la voce malinconica, graffiante e amara di Marocco, l’ha resa. Con la sua bellezza sporca, l’ha affrancata dalla decadenza, dallo scarrupamento, l’ha nobilitata, seppure per il brevissimo attimo della narrazione, come solo la letteratura sa fare. E di questo non posso che ringraziarlo.
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