Innocenza e cinismo si mescolano in un cocktail di rara efficacia nel secondo romanzo di Lorenza Pieri, “Il giardino dei mostri”. Nella Capalbio tra anni Ottanta e Novanta due famiglie fanno affari, si tradiscono e non si salva quasi nessuno…
Ci sono mostri e mostri. Ci sono quelli interiori, ci sono quelli presunti, spesso deboli e meschini, delle ideologie politiche italiane – di quasi tutti i tempi – e poi ci sono quelli che hanno ispirato il secondo romanzo di Lorenza Pieri, autrice che si era rivelata felicemente con Isole Minori, pubblicato da e/o, e che è tornata in libreria con un volume edito dalla stessa sigla, Il giardino dei mostri (315 pagine, 18 euro), libro che conferma le doti e il valore della scrittrice.
Sculture e tarocchi
La fonte di ispirazione di Lorenza Pieri – italiana che vive negli Stati Uniti – è il Giardino dei Tarocchi, opera grandiosa realizzata da una poliedrica artista, la femminista Niki de Saint Phalle, nei pressi di Capalbio: una ventina di sculture monumentali (con cemento, ceramica colorata e vetro) sugli arcani dei Tarocchi .L’artista francese e la sua pazza storia d’amore con Jean Tinguely sono una delle corde che pizzica la chitarra di questo romanzo. Ma c’è tanto altro. Le pagine ci portano nella Maremma tra gli anni Ottanta e i Novanta, terra che si riscopre ambita, alla moda, ricca. E va in scena una sorta di scontro di civiltà fra i forestieri cittadini e i locali campagnoli, incarnati rispettivamente dai Sanfilippi e dai Biagini, famiglie che faranno affari assieme, soci nella gestione di uno stabilimento balneare e di un agriturismo, un vecchio casale ristrutturato, destinato a un pubblico di avventori facoltosi. Famiglie tra le quali scorreranno amori, gelosie, tradimenti, ipocrisie, rivalse, in mezzo a cui non sembra salvarsi quasi nessuno.
Qualcuno si salva
Mentre tutt’attorno evapora, qualsiasi certezza, chi si salva è probabilmente Annamarì, la figlia adolescente di Sauro Biagini, il Re contadino e gran seduttore (che ha una moglie bellissima, MIriam e un altro figlio, Saverio), che diventa socio dello spregiudicato politico di sinistra, Filippo Sanfilippo, non esitando a sedurre la di lui moglie, Giulia, docente universitaria. Un’adolescente insicura, Annamarì, anche sentimentalmente, ma autentica e che – innamorata dell’arte, l’arte come fondamento della vita e passione bruciante è centrale in questa storia – trova la propria strada incrociando l’eccentrica scultrice, una delle maggiori del secolo scorso. Innocenza e cinismo non sono contrapposti e nemmeno incarnati da qualcuno, ma si mescolano in un cocktail di rara efficacia.
Quel piccolo incanto
Quel piccolo incanto che prendeva il lettore di Isole minori, il primo romanzo di Lorenza Pieri, si rinnova anche con Il giardino dei mostri. Molto del merito va a una lingua incontaminata e classica (visto che l’autrice vive negli Stati Uniti avrà meno occasioni di contatto con le derive con cui quotidianamente la lingua italiana fa i conti…) e a un occhio che sa essere contemporaneamente coinvolto e distaccato, pietoso e spietato. È così che le vicende narrate pullulano simultaneamente di bellezza – a cominciare dalle ventidue sculture su una collina – e corruzione, sentimenti tenui e sfrontatezza. L’umanità, quella di chi domina e di chi vuol dominare, non ci fa una bellissima figura (anche se la letteratura non deve farsi scrupoli del genere): sembrano prevalere e prendersi la scena sempre i manipolatori, gli opportunisti, i traditori e i menzogneri. Sforzarsi di trovare ciò che è autentico e buono può essere un ottimo esercizio di sopravvivenza, di resistenza alla vita.
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