Tra Francia e Sardegna (terra amata e maledetta, inquadrata nel ventennio fascista), a caccia di fantasmi del passato, si muove Andrea Corsini, protagonista del romanzo di Stefano Biolchini, “Virginia nel cassetto” . La prosa è elegante e appassionata, trasuda sentimento. Un mistero non molla il lettore…
Scrivere una storia è come affrontare un viaggio di cui non si conosce la destinazione. Spesso, è un ritorno alle origini che nasce da un’esigenza profonda, dal bisogno istintivo di salvarsi dalla torre di Babele in cui si è imprigionati. Perché scrivere vuol dire assaporare il gusto della libertà e scegliere il proprio destino, vuol dire demonizzare il dolore che logora nel profondo fino a consumare l’animo.
Il nuovo romanzo di Stefano Biolchini, giornalista cagliaritano de Il Sole 24 Ore, ruota attorno al potere salvifico della scrittura. Andrea Corsini, protagonista di Virginia nel cassetto (250 pagine, 18 euro), pubblicato dalla giovane e promettente casa editrice Caffèorchidea, è un uomo che deve fare i conti con i mostri che occupano la sua testa e con il fantasma del padre Eugenio, morto suicida. Sguazza nel dolore, creando un equilibrio precario che verte sul proprio malessere, senza ribellarsi.
Già dalle prime pagine, grazie a una prosa elegante e appassionata che trasuda sentimento, l’autore ci dà un assaggio della tensione emotiva che attraversa il libro, dalla prima all’ultima pagina. La scelta delle parole per descrivere le sensazioni e le emozioni di Andrea, costretto a riconoscere il corpo del padre, è attenta e accurata.
«…Profumata d’incenso, la bara era al mio fianco. Io neppure la vedevo: il morto putrefatto era ormai tutto nella mia testa.Quando il tuo fantasma mi avrebbe permesso di ricominciare»
La verità e un romanzo
Dopo l’evento che segnerà per sempre la sua vita, si reca in Francia, a Parigi, nel piccolo appartamento in cui amava rifugiarsi il padre nelle sue fughe dalla Sardegna e dalla famiglia. Inizia, così, un percorso di ricerca della verità, a lungo taciuta e nascosta, sulle antiche vicende della famiglia Corsini, nobili proprietari terrieri, che arriva fino a Virginia (sua prozia) e al segreto che ruota attorno alla sua esistenza. Di queste inizia a scrivere un romanzo che diventerà la sua ossessione.
Il bilocale parigino è il primo mostro che deve affrontare. Con le lettere, le foto e i racconti che l’appartamento nasconde e con le reminiscenze che riemergono da un recondito cassetto della memoria, Andrea deve fare i conti con le emozioni contrastanti che “la casetta del babbo” gli provoca: il disprezzo, la voglia di rivalsa e la rabbia lottano contro quel senso di familiarità che pervade mano a mano che i ricordi riaffiorano. È l’ultimo legame che resta con il padre che, anche a migliaia di chilometri di distanza, ha mantenuto l’attaccamento alla terra di origine, la Sardegna.
«Quello era il babbo che adoravo e che mi mancava fin dentro alle ossa, con le sue tenerezze distanti e con la sicurezza gelida e ferma che soltanto lui sapeva infondermi. Solo, e la solitudine non l’aveva mai amata, puntellava la casa d’avamposti della sua terra. Come una mappa del tesoro aveva disseminato la casa di ricordi sconosciuti e io li ritrovavo man mano Ero certo che lo aveva previsto»
La zia e lo scandalo
Un richiamo, forse, all’anamnesi della filosofia platonica, ovvero quel processo di reminiscenza che, stimolato dalla percezione degli oggetti sensibili, conduce l’uomo a riscoprire gradualmente nel proprio intelletto le idee eterne che dominano il mondo e permette all’anima di riconoscere le verità che sono da sempre presenti in lei. I ricordi di Andrea, disseminati lungo tutto il romanzo, non sono altro che un risveglio nella memoria dell’antica fierezza sarda, quell’attaccamento bello e malsano alla terra natia.
La foto di Virginia, la zia bandita dall’intera famiglia a causa di un grande scandalo, emerge dall’appartamento parigino e spalanca le porte ai mostri che abitano nella testa di Andrea. La voglia di scriverne, materializzandone l’immagine fino a renderla reale, diventa l’antidoto contro quei fantasmi e il tentativo di riconciliarsi con la sua infanzia e la sua terra. Un bisogno che diventa impellente quando, a causa della grave malattia della madre, è costretto a tornare in Sardegna per trascorrervi un lungo periodo e riallacciare i fili del legame indissolubile con quel mondo amato e maledetto.
«In verità era da sempre che inseguivo Virginia, vago simulacro sacrificale delle alterne vicissitudini dell’intera famiglia, e ora che il babbo con c’era più, solo lei sembrava in grado di riavvolgere il rocchetto dei molti fili che si dipanavano in un assurdo disordine»
Il velo e il caos
Togliere il velo al fantasma di Virginia, raccontare la sua vita, descrivere i suoi sogni, le angosce e le sue scelte, per Andrea vuol dire creare ossimori dove il cinismo e la passione diventano il nuovo collante per riparare l’irreparabile, per mettere ordine nel caos di emozioni e sensazioni, quella voragine senza fine, sterminata e nera. La scoperta del segreto tenuto nascosto a lungo dalla famiglia Corsini è affidato a Viola, sorella di Virginia, residente in una casa per anziani sarda, che Andrea va spesso a trovare. Ad infittire la trama del racconto, però, intervengono altri personaggi: Michelangelo, figlio di Virginia, racconta la fuga della madre dalla sua terra (scapperà dalla Sardegna per rifugiarsi in Francia), dalla famiglia e dal suo passato.
Inizia un vero e proprio racconto “a puntate” che ripercorre la storia della prozia, una storia di coraggio e ribellione che non può restare chiusa in mezzo alla polvere. Chi legge Virginia nel cassetto non può che restare incollato a tale racconto, lasciandosi catturare dal mistero che ruota attorno a un personaggio che diventa la chiave di lettura per l’interpretazione del testo letterario. La scrittura matura di Biolchini, tipica di chi ha una profonda conoscenza del significato delle parole, si riassume in un tono di voce perfettamente adeguato ai personaggi.
Ciò che emerge è uno spaccato del mondo sardo durante il ventennio fascista, dell’orgoglio dei Corsini, avidi possessori terrieri, e degli scontri generazionali. L’autore riprende l’atavico significato dell’onore, quella spasmodica cura e conservazione della propria integrità e onestà che si cuce addosso come una seconda pelle, così preminente da accettare persino una condanna a morte pur di non lederlo. In parte si ritrovano tutti gli stereotipi che da sempre accompagnano il popolo sardo: la cocciutaggine e la testardaggine, l’ostinazione e il legame alla terra d’origine.
Risposte all’irrequietezza
La vera protagonista del romanzo diventa Virginia, così simile al padre Eugenio: entrambi si sentivano inadeguati all’interno di quella famiglia, il cui retaggio aveva per loro il peso di un masso sovrastante. Scrivere della prozia, quindi, risponde al bisogno di slegarsi dai lacci che il padre ha stretto intorno all’esistenza del figlio. Solo scandagliando l’animo di Virginia e spiegando il suo vissuto, Andrea può capire il gesto estremo del padre. Cerca altri volti, indaga su altre vite per guardarsi dentro e cercare risposte all’irrequietezza che non lo abbandona mai. Guardare altri volti per ritrovarsi.
«Che sarà di Virginia? […] Eravamo così simili noi due…in fuga e ossessionati dal senso di colpa. Lei però il coraggio lo aveva avuto, eccome!»
Andrea scrive il suo romanzo per ricercare un modo diverso di raccontare una verità celata per molto tempo e che ha avuto ripercussioni sulla sua vita, ma alla fine, dovrà scontrarsi contro l’idea romantica che i libri siano l’unica salvezza. Affronta il mare aperto, senza essere certo del porto in cui approderà e di arrivare a destinazione.
Quelle pagine di Vittorini
Può la letteratura, a distanza di anni, redimere le sofferenze vissute da chi ci ha preceduto? Per avere una risposta, bisogna arrivare alle commoventi ultime pagine di Virginia nel cassetto.
Il libro di Biolchini mi ha ricordato un saggio di Vittorini sul ruolo della letteratura, tratto dalla rivista Il Politecnico, il settimanale di cultura contemporanea che fondò nel secondo dopoguerra. L’autore di Conversazione in Sicilia parlava di una letteratura capace di curare l’uomo dalle sofferenze, perché non c’è dolore che la letteratura non abbia già da tempo insegnato ad accettare e lenire. Una rievocazione del tema vittoriano della salvezza del genere umano perduto e dell’interesse per i destini e i significati, non solo per le storie degli uomini.
Ogni lettore cerca un senso in ciò che legge, quel senso che spesso manca alla realtà: in Virginia nel cassetto potrà trovare una leva emozionale che lo smuova.
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che dire se non un grazie per la approfondita analisi…saluti
Stefano Biolchini