Intervista a Claudia Durastanti su “La straniera”, tra i libri rivelazione e più amati del 2019. Un’occasione per parlare di una delle sue patrie, la Basilicata, della prossima traduzione negli Stati Uniti di questo suo ultimo libro, del premio Strega e dello sfaldamento dell’io, una forma narrativa ammirata in grandi scrittrici come Rachel Cusk e Olga Tokarczuk, e messa in pratica nelle pagine di questa sua recente opera
«Elsa Morante sosteneva che ognuno di noi non inventa niente, scrive un’autobiografia con stupore, scandalo e negazione. Ecco queste cose fanno parte del percorso che mi hanno permesso di arrivare alla forma con cui ho scritto questo libro». Il volume in questione è La straniera, pubblicato da La Nave di Teseo, il suo libro più italiano e più lucano, dopo storie di fiction molto americane, scritto da Durastanti – nata negli Stati Uniti, cresciuta in gioventù in Lucania e poi trasferitasi a Londra, dove risiede – con cui è arrivata in finale al premio Strega («Impossibile partecipare senza incoscienza e autoironia»). La forma del libro – che sarà tradotto negli Usa e che Durastanti non ha mai pensato di tradurre da sé – oscilla fra il racconto autobiografico e la saggistica ed è, per stessa definizione della scrittrice, non una resa dei conti, ma «una gioia del rimosso» che le deriva dall’aver voluto, con un linguaggio accessibile, raccontare la Basilicata («un romanzo ottocentesco non ancora tradotto») che aveva vissuto e che non aveva trovato in nessun volume. Questa ambizione di «reinventare un immaginario» è andata di pari passo con una sfida nella sfida, l’interesse per l’uso di un io decentrato rispetto a se stesso, «Volevo prendere la mia persona – racconta Claudia Durastanti, in questa videointervista – e sfaldarla, una cosa che fanno bene autrici come Rachel Cusk e Olga Tokarczuk (Nobel per la Letteratura del 2018, ndr)».