“Diar’io” è un testo non del tutto classificabile, scritto da Carlo De Rossi. Tra virtuosismi e apparente leggerezza spazio alle passioni, ai sacrifici, all’amore. Nella consapevolezza che, per star bene, non bisogna inventarsi nulla di speciale…
Non è un libro. Non in senso stretto, quantomeno. Non è una raccolta di aforismi. C’è una densità di parole che supera lo steccato della breve frase. Non è neppure un diario, non nel senso ordinario del termine. Il titolo ci aiuta forse a classificarlo: Diar’io, edito da Pathos Edizioni. Qualcosa a cavallo tra il racconto sviluppato cronologicamente e un “io” che pulsa in ogni pagina. Dentro questo succoso testo, abbacinante in alcuni fraseggi dove si colgono dei virtuosismi letterari di particolare ricercatezza, Carlo De Rossi – l’autore – tratta con una leggerezza solo apparente temi di consistente grammatura.
Lavoro e famiglia
Al centro c’è l’uomo che ricerca se stesso in un mondo rutilante, frenetico e febbrile. C’è il lavoro con le sue grinfie e i suoi odiosi compromessi che si accettano fino a un certo punto, poi vince la dignità sulla sopraffazione, l’eroismo sull’umiliazione («Preferisco finire sotto ai ponti piuttosto che accettare situazioni di comodo che hanno le caratteristiche di una schiavitù camuffata»). C’è la famiglia che ti ricorda i tuoi obblighi e le tue responsabilità, ma per la quale val bene qualunque cosa, pur di vederla felice, pur di sapere che sta bene.
Teatro e amore
C’è il teatro con il suo istrionismo, la scrittura con il suo manto salvifico («scrivo per curarmi, per anestetizzare i miei pensieri»), i tarocchi che leggono il futuro, ma non blindano il presente. Ci sono le passioni, insomma, quelle che nonostante tutto si perseguono. C’è l’amore, la speranza, la paura, il sacrificio. Un coagulo di sensazioni che spingono in alto la lettura e incentivano riflessioni, solleticano prospettive e alimentano visioni. Il mondo, con il suo timbro gutturale fa allora meno paura. Non c’è bisogno di inventarsi poi nulla di speciale per stare bene. D’altronde De Rossi sembra sussurrarcelo all’orecchio: «Faccio il dito medio alla pensione futura. Faccio il dito medio alle uscitei fuori porta. Intanto vinco io, anche stando fermo». Voilà, il gioco è fatto…