Diario intimo di due donne, “Case vuote” di Brenda Navarro è un romanzo su due donne che condividono il dolore di una maternità negata, la soggezione a una violenza indotta, la sofferenza per la scomparsa di Daniel, un figlio non voluto
Daniel un giorno, semplicemente, scompare. Al parco, una donna con l’ombrello rosso, approfitta della distrazione di sua madre, lo afferra e fugge via. La presenza e assenza del bambino, genera nelle due donne, protagoniste di Case vuote (173 pagine, 15 euro) di Brenda Navarro, uscito ora per Giulio Perrone editore, un senso di rifiuto. Maternità è quell’aspetto della donna che tutti noi riteniamo il più naturale, fino a quando scopriamo sulla nostra pelle che non è così. La gravidanza, il parto, la crescita di un figlio. Naturale, ma non per tutti. Questo è ciò che Brenda Navarro sottende nel raccontarci la storia di due donne che intorno alla propria maternità consumano la loro personale tragedia.
La scomparsa e l’ombrello rosso
Quando Daniel scompare, sua madre si convince ancora di più che aver messo al mondo il bambino sia stato un terribile errore. Non riconosce suo figlio, non comunica non lui, non sente quell’affetto, anche questo naturale, non si perdona di aver portato a termine la gravidanza. Daniel è stato un errore e niente le farà cambiare idea. E ora che Daniel non c’è più il suo corpo dilata quel vuoto: «Daniel l’epicentro del terremoto e io la maceria».
Dall’altra parte della città, la donna con l’ombrello rosso desidera fino allo sfinimento un figlio. Per questo è disposta a subire e accettare la violenza e le angherie del suo compagno che non perde occasione per deriderla, picchiarla, oltraggiarla. Riesce a mandar giù il proprio mondo orribile solo grazie alla speranza di avere una figlio. E avere un figlio diventa un’ossessione, fino a quando un bambino con i capelli biondi si materializzerà davanti ai suoi occhi e lei deciderà di diventare la madre di questo bambino.
Nella scrittura di Brenda Navarro il corpo è centrale. Il corpo che ognuno di noi possiede è uno scudo, è uno specchio, è un canale di attraversamento, perchè tutto, che ci piaccia o no, passa attraverso il corpo. E il corpo scalfito, deturpato, assassinato, ferito ma allo stesso tempo tenace e beffardo è il nostro corpo. Attraverso il corpo è passato tutto, è attraverso di esso che i dolori accentuano il nostro straniamento, è attraverso il corpo che sentiamo i nostri desideri, le pulsioni e anche i nostri rifiuti. Questo è ciò che accade alle protagoniste di Case vuote di Navarro: «È questo quello che ci tocca: essere le case vuote pronte ad accogliere la vita o la morte ma che, alla fine dei conti, sempre vuote rimangono».
Frida e il Messico
Quel delitto del corpo mi ha fatto tornare in mente Frida Kahlo. Il 4 luglio 1932, a Detroit, Frida ebbe un aborto. A causa dell’incidente avuto con il tram fu impossibile, per l’artista messicana, portare a termine le sue gravidanze, fu un duro colpo proprio per lei che un bambino lo desiderò tanto. Il dolore che si nasconde dietro all’aborto e che Frida seppe dipingere nelle sue opere, lo sento intensamente affine a Case vuote di Brenda Navarro. La speranza di poter dare alla luce un figlio, per Frida, non venne mai meno. Questo accade anche alla donna con l’ombrello rosso, anche se, nel suo caso, l’impossibilità di essere madre si trasforma in un’allucinazione senza risveglio. Il Messico che si intravede nel romanzo di Brenda Navarro, mi ha ricordato per certi aspetti quella capacità tutta messicana di camminare a braccetto con la morte, la Pelona che Frida ha spesso ritratto insieme a lei nelle sue opere, e che in Case vuote accentua il suo tono noir. Brenda Navarro non ci risparmia il sopruso cui deve soccombere il corpo, quell’aborto che interrompe tutto e spinge all’alienazione, a quella disperazione, a quel tentativo di voler essere madri a tutti i costi condannandoci ad un’infelicità cronica. Ci vedo Frida per l’intensità e la spietatezza con cui Navarro legge la maternità e la intravedo ancora in copertina (nell’edizione italiana), in quel vestito “appeso là” (che non era rosso ma verde), ma quello di cui è investito l’abito della copertina, è il rosso color sangue che Frida ha sparso ovunque, ad esempio, nel dipinto del 1935, «Qualche piccolo colpo di pugnale», che mi riporta ancora una volta al racconto di Navarro, alla violenza che si scaglia sulle donne per opera di uomini bruti e ignoranti.
Famiglie disabitate
Che cosa significa essere madri? Ci si può sentire inadeguate? È ammesso agli occhi di tutti? «Ero sola, nessuno a rassicurarmi che si può sbagliare», dice una delle protagoniste. Le case che restano vuote sono il riflesso di famiglie disabitate, senza capire fino in fondo qual è l’istante in cui abbiamo perso la nostra innocenza: «Una casa cos’è, di cosa è fatta? Quando iniziamo ad essere genitori e figli? É successo forse quando Nagore mi ha abbracciato e ha appoggiato la testa sulla mia pancia che le ha risposto con dei colpetti come quelli di chi bussa per farsi aprire la porta? O quando Daniel è sgusciato fuori così esausto che hanno dovuto dargli l’ossigeno e non ho potuto tenerlo in braccio prima di una settimana? Quando inizia ad essere casa e di cosa è fatta?».
Rabbia e istinti primordiali
Il corpo diventa un canale di irrigazione, un terreno su cui coltivare i propri desideri e sovvertire un ordine prestabilito; è un esercizio con il quale prendere confidenza, senza temere gli specchi in cui ci vediamo riflesse: “Consapevole che il mio corpo fosse il riflesso del mio stato d’animo, mi aspettavo di veder affiorare da un momento all’altro le piaghe, ma evitavo di constatarlo con i miei stessi occhi, rifuggo ancora adesso gli specchi, non mi piace vedere chi sono”. Case vuote è uno spaccato di maternità sincero: intorno a Daniel matura una rabbia che fagocita istinti primordiali. Le case vuote sono i nostri uteri sfitti, ciò che resta con o senza un figlio, secondo Navarro. Due donne che condividono il dolore di una maternità negata, la soggezione ad una violenza indotta, la sofferenza per la scomparsa di un figlio non voluto. Brenda Navarro ci ha rese partecipi di un diario intimo di due donne, fatto di pagine comuni, che ci costringe a guardare in faccia anche la scomodità di un pensiero: «Ho sempre saputo che non ero io ad abitare il mio corpo, ridotto ormai a un involucro, una specie di cortile deserto in cui si sente solo l’eco dei rumori della città».
È possibile acquistare questo volume in libreria o a questo link