I “sette libri per l’inverno” di… Emanuela Canepa

Un superclassico, tre libri di autori italiani e altrettanti di scrittori stranieri. Sono i libri consigliati da Emanuela Canepa, che nel 2020 tornerà in libreria, sempre con Einaudi Stile Libero, che pubblicherà il suo secondo romanzo, “Insegnami la tempesta”, dopo il successo del debutto “L’animale femmina” (di cui abbiamo scritto qui e qui)

“Persuasione” di Jane Austen

Jane Austen è il classico a cui non posso rinunciare. Potrei citare uno qualsiasi dei sei romanzi, ma preferisco nominare solo Persuasione, forse fra i meno noti, perché è il meno scintillante e il più dolente.  Nel finale il capitano Wentworth si lascia andare a un’apologia della fermezza dell’amore maschile che ho sempre trovato molto commovente. Perché uomini di questo tipo sono rari, ed è frequente che siano fraintesi. Tutto il romanzo è un paradigma molto efficace dei rischi che corriamo quando, per paura o per timore di fallire, scegliamo di delegare la nostra felicità agli altri.

Salvare le ossa di Jesmyn Ward (NN)

Negli ultimi due anni tre romanzi di NN mi hanno lasciato un’impressione profonda. La prima, e credo più duratura, è quella impressa da Jesmyn Ward con Salvare le ossa, che fa parte della Trilogia di Bois Savage di cui è uscito in Italia anche il secondo volume (non l’ho ancora letto, ma non ho alcun motivo per credere che sia meno bello del primo). È raro imbattersi in una scrittura capace di essere al tempo stesso scarna ed epica, magniloquente ed essenziale. Ward racconta la potenza del mito, incarnato nel perimetro della baracca di una famiglia poverissima della Louisiana. Nello spazio del romanzo, ognuno di loro cresce fino ad assumere la grandezza di un archetipo.

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“La volontà del male” di Dan Chaon (NN)

Potrebbe passare per un libro di genere, diciamo un noir.  Ma dopo averlo letto capisci che nessun genere è in grado di circoscriverne il senso. Sulla carta non era il tipo di romanzo fatto per piacermi, perché non è la lingua il suo punto di forza. Ma il potere ipnotico della storia, e il talento da prestigiatore dell’autore che ti sottrae l’evidenza dei fatti dopo avertela mostrata, e rovescia l’ordine e il senso degli eventi ad ogni pagina, mi hanno trasmesso un senso di instabilità fisica, come se la terra tremasse leggermente sotto i miei piedi durante la lettura. Il finale è un’esplosione interna senza pietà per nessuno. Il male è ovunque, consustanziale all’uomo, consustanziale alla natura. Inutile invocare qualsiasi forma di redenzione. Un libro che fa del male fisico.

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“La memoria della cenere” di Chiara Marchelli (NN)

Chiara Marchelli ha una scrittura raffinatissima che mi ricorda certe autrici francesi contemporanee, fra tutte la de Vigan e la de Kerengal. Mi ha colpito moltissimo la sua devozione alla storia, un talento che, specie in Italia, non è molto frequente quando si accompagna a un registro che sa toccare punte così liriche. Nel suo caso invece ci sono entrambe le cose: una storia che cresce e una lingua incisiva che la sostiene. Un romanzo seducente all’ombra di un vulcano che esplode.

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“Lincoln nel Bardo” di George Saunders (Feltrinelli)

Un’idea geniale: un cimitero di anime che migrano verso altri stati di coscienza. Il talento dell’autore sta nell’averle rappresentate al tempo stesso ancora avvinghiate alle singole individualità terrene appena smarrite – vicende personali, amori, delusioni – ma anche fuse in una cosa sola, una sola volontà. Un intero cimitero che agisce di concerto per uno scopo più alto, tentando di addolcire il transito dello spirito di un bambino che è la creatura più innocente fra tutti gli abitanti del Bardo, e facendosi carico del dolore irreparabile del padre che non trova consolazione.

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“L’ora del mondo” di Matteo Meschiari (Hacca)

Faccio fatica a spiegare con chiarezza perché questo romanzo abbia esercitato su di me tanta impressione. È un distillato di senso che usa una lingua sapienziale, e che scarnifica la verità liberandola da ogni superfetazione. Osa solo la parola che incide in profondità, quella che ha il potere di cambiare le cose. È un romanzo, ma funziona come un incantesimo.

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“L’impero della polvere” di Francesca Manfredi (La Nave di Teseo)

Francesca Manfredi è una giovane scrittrice ardimentosa. C’è carnalità nella sua storia di familiare di sole donne, non tanto nel senso dell’erotismo quanto in quello della sostanza, delle cose che per essere capite si devono sperimentare con il corpo. Ma c’è anche un senso del destino che si fa costante pietra d’inciampo, e una ferocia, specie nella figura della nonna, che mi ha ricordato certe figure archetipiche della nostra letteratura, come La Lupa. Donne decise a non assoggettarsi a niente e a nessuno. Non al caso, non al disordine, non alla costante mutevolezza della realtà. E quando questo non è più possibile, disposte a giocarsi tutto, anche la vita.

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