Magliocchetti: “La paura è il veleno della vita”

Intervista a Vittorio Magliocchetti, autore di “Alle porte dell’amore”, romanzo ambientato ai tempi della guerra in Kosovo: “Ognuno di noi vive la sua guerra, la sua battaglia, e mai dobbiamo permettere che ciò diventi capace di distoglierci da tutta la bellezza che ci circonda. Ho desiderato ardentemente di provocare un senso di sconcerto, malessere e desiderio di giustizia, schifo per la guerra e pietà per tutte le vittime”

Carissimo Vittorio Magliocchetti, ti ringraziamo per questa intervista. Ci auguriamo che attraverso di essa molti potenziali lettori possano sentirsi incuriositi e attirati da questa bella lettura che, pur consacrando il tuo inizio all’attività di scrittore, sembra però già il frutto di una consumata esperienza. È proprio vero che la penna è solo un modo tra i tanti di scrivere; i romanzi più belli sono quelli che scriviamo ogni giorno con la nostra vita. Questo, però, tu hai voluto scriverlo davvero. Cominciamo, dunque. In che modo, in che momento, hai sentito nascere dentro di te l’esigenza di metterti a scrivere?

«Non ricordo con esattezza il momento in cui ho avvertito l’esigenza di scrivere, ma ricordo bene che ho iniziato a farlo nell’età adolescenziale per poter “scaricare” pensieri, emozioni e delusioni che a quell’età possono essere dei veri e propri macigni pronti a schiacciarti. Era la mia alternativa, la mia paratia per dosare e convogliare quel flusso di emozioni che altrimenti mi avrebbero travolto senza lasciare scampo. Tutto ciò è stato quasi sempre accompagnato dalla musica, e credo che la scrittura sia nata in me come conseguenza di quest’ultima».

Consideri questo libro più il frutto di un desiderio o di un bisogno?

«Essenzialmente un bisogno. Non ho mai scritto questo romanzo per gli altri; forse l’ho scritto più per me stesso, anche se adesso, in questo senso, vi è stato un capovolgimento stupendo e inaspettato. Ciò che non era pensato per gli altri è divenuto, alla fine, proprietà altrui! Certo, sono passati forse troppi anni ma sono convinto che, senza rendermene conto, questo libro si è preso il suo giusto tempo. Era necessario per me scrivere questa storia, lo dovevo a me stesso ed oggi mi rendo conto che dovevo farlo anche per coloro che oggi hanno in mano questo romanzo e che desiderano fare un viaggio in Kosovo, magari per conoscere Isak e Lajza».

Questa è una pagina condivisa da lettori e scrittori. Quali sono state le tue emozioni, i tuoi sentimenti, su un versante come nell’altro?

«Appena ho iniziato a scrivere questa storia le idee erano chiare. Sapevo dentro di me cosa volevo dire, cosa volevo far emergere e cosa volevo “scaricare” dalla mia anima. I sentimenti e le emozioni provate sono state molteplici: tenerezza, impotenza, sconcerto, paura, rabbia e disperazione. Ma fra tutti questi sentimenti regna la speranza, che mai si spegne e che sempre ti spinge ad andare oltre».

Sei un nuovo scrittore, e dunque porti dentro un sentimento ancora incorrotto dalle inquietudini talvolta gravose dell’editoria. Ti sei sentito condizionato da qualcosa, da qualcuno?

«Come dicevo, non ho mai scritto questo romanzo per gli altri e questo mi ha permesso, senza ombra di dubbio, una scrittura libera, incondizionata dai gusti editoriali del momento. Non ho mai pensato di soddisfare degli ipotetici lettori, anche se a volte mi chiedevo quali sarebbero state le reazioni e le emozioni di coloro che si fossero trovati tra le mani questo romanzo».

In che modo hai riscoperto questo testo quando, una volta terminato, lo hai riletto dall’inizio alla fine? È vero che, dopo aver finito un romanzo, bisogna aspettare un po’ prima di rileggerlo? È vero che occorre rispettare i tempi della sedimentazione delle idee e dei sentimenti? E soprattutto, ti è capitato di avere l’impressione che a scriverlo sia stata una persona diversa da te?

«Una volta finito ho avvertito un senso di pace: avevo scritto ciò che sentivo di dover scrivere! Ovviamente dopo qualche settimana l’ho riletto tutto d’un fiato e non posso negare di essermi emozionato, soprattutto   in alcuni punti cruciali del racconto. Era come se la storia scritta da me… parlasse a me stesso! Ciò che avevo scritto mi rivelava cose nuove, e alcune frasi sembravano mai sentite, al punto da dubitare che fossi stato io a scriverle. Sarebbe saggio per uno scrittore attendere un po’ prima di rileggere un proprio scritto… ma questo vale per gli scrittori veri e non per me. L’attesa non mi appartiene, o almeno non in questo campo. Cerco di non lasciar passare l’onda delle emozioni: tutto deve rientrare in quel vortice prima che la razionalità diventi giudice inappellabile piegando alla sua volontà i miei sentimenti.Riguardo alle idee, forse le mie le ho lasciate sedimentare fin troppo, ma era necessario. Se vuoi guardare nel fondo della tua anima devi attendere che il torbido stagni, soprattutto se la storia che stai per scrivere è frutto di tante verità».

Mi permetto di insistere su un aspetto. Come hai immaginato il tuo libro tra le mani di un ipotetico lettore? Quali sono i sentimenti che, secondo te, quelle pagine gli avrebbero suscitato?

«Una volta pubblicato ho pensato all’impatto che avrebbe avuto sui lettori e in quel momento mi sono sentito disorientato. Lo immaginavo banale per alcuni, troppo crudo per altri e ad un tratto tutto mi sembrava inadeguato. Eppure, dal momento in cui ho deciso di pubblicare il mio romanzo, ho iniziato a sperare che giungesse ai cuori di tanti, che smuovesse qualcosa in ognuno. Ma nessun libro è per tutti, questo l’ho compreso».

Dicevi che questo romanzo non lo hai mai pensato per gli altri, allora quando hai capito che forse era il caso di provvedere seriamente alla pubblicazione? E adesso che hai consegnato questo romanzo ai lettori quali sono le tue aspettative e quali le reazioni più importanti? Cosa hai compreso oggi che fino a ieri ti era nascosto?

«Fino a quando il commento positivo era circoscritto a mia moglie e a quei pochi amici che venivano a conoscenza del manoscritto, in me vi era sempre il dubbio che tali commenti fossero condizionati dall’amore e dall’affetto. Quando invece, per varie situazioni, il giudizio positivo arrivava da persone che non mi conoscevano, allora sì che ho iniziato a pormi delle domande. Determinanti sono stati coloro che l’hanno letto nel 2018, donandomi una spinta che mai avrei avuto senza di loro. Scherzando, ma non troppo, dico che alcuni miei amici credono in questo romanzo più di me. C’è sempre bisogno di qualcuno che ti guardi negli occhi e ti dica: “Ciò che hai fatto vale, ciò che hai fatto può far bene, può far riflettere… Adesso che il mio romanzo è veramente nelle mani di tutti coloro che vorranno leggere questa storia mi emoziona pensare di averne perso il controllo. Perdere il controllo vuol dire non essere più il padrone assoluto, vuol dire non poter più decidere chi può leggerlo e chi no, selezionando inconsciamente i giudizi, ma rimanere a guardare che quella piccola barchetta di carta che hai posato con cura sul ruscello del tuo paese arrivi nel mare dei cuori di coloro che lo leggeranno, e per quanto tu possa rimanere con gli occhi incollati su di essa arriverà il momento in cui la perderai di vista per sempre. Le aspettative sono poche e spero che rimangano tali per evitare delusioni, ma di certo spero con il cuore che la storia di Isak e Lajza diventi sempre più spunto di riflessione. Ognuno di noi vive la sua guerra, la sua battaglia, e mai dobbiamo permettere che ciò diventi capace di distoglierci da tutta la bellezza che ci circonda. Non possiamo permettere di lasciarci schiacciare dalle difficoltà, offuscando l’amore che vive in noi. Ci sono priorità nella vita che permangono tali a qualunque costo, anche se tutto sembra inutile, anche se tutto sembra contro. L’amore è quel motore che ci spinge oltre, che ci permette di compiere ciò che mai avremmo pensato di poter fare. Non serve nascondersi dietro inutili scuse: se ami lo fai! Tutto dipende da noi. A distanza di circa sei mesi dalla pubblicazione ho iniziato a comprendere il senso di questo romanzo grazie ai tantissimi commenti ricevuti, molti dei quali ricevuti in privato perché vere e proprie intime testimonianze. Leggendo alcuni di essi, e ripensando al percorso fatto da questo romanzo, non ho potuto fare a meno di emozionarmi. Oggi comprendo che, pur non rendendomene conto, ho scritto questo romanzo per dire cose che altrimenti… non avrei mai potuto dire; come ad esempio che anche l’uomo più crudele che possa esistere, in un dato momento, è capace di un atto d’amore. Troppe volte ci soffermiamo a guardare le poche cose brutte della nostra vita perdendo di vista le tantissime meraviglie che ci circondano. Ho capito che c’è bisogno di speranza e di coraggio. Se questo romanzo è servito a qualcuno, facendogli cambiare la visuale della propria vita e facendogli comprendere che tutto è un dono… se è riuscito ad infondere speranza e coraggio anche solo ad una persona, allora, non è vano. Ripenso ai tanti anni di questa storia chiusa in un cassetto, alle mie paure e alle mie insicurezze e mi dico che la paura spegne gli uomini. È assurdo pensare a quante cose rinunciamo per paura di sbagliare, di non piacere, di essere giudicati e criticati. La paura è il veleno della vita”.

Vittorio, hai una famiglia meravigliosa. E si comprende l’amore per la tua vita proprio da come, nel libro, descrivi la vita degli altri. Quanto c’è della tua vita, dei sentimenti condivisi dalle persone che ami, in questo libro? Che percentuale troviamo di Vittorio Magliocchetti, delle sue esperienze vitali, tra le pagine di questo romanzo?

«Sì, ho una famiglia meravigliosa e sono grato a Dio per tutto quello che ho. Ogni giorno vivo sapendo che tutto è un dono e nulla è dovuto. È necessario restare in ascolto per comprendere chi ci sta vicino, in che direzione vogliamo muoverci e soprattutto dove vogliamo arrivare. Ovviamente, pur non essendo un romanzo autobiografico, c’è una parte di me che ama la vita anche quando diventa “scomoda”. All’interno di alcune pagine, infatti, rivedo il mio bisogno di giustizia e di verità, la necessità di credere fino alla fine anche quando tutti dicono che sia inutile. In alcuni personaggi rivedo certe persone che hanno attraversato la mia vita, ma non dirò quali. L’unico che desidero omaggiare pubblicamente è mio nonno, di cui porto lo stesso nome. Ricordo benissimo i suoi racconti di vita e di una guerra vissuta. Tra le pagine di questo romanzo troverete certamente spezzoni delle mie esperienze e del mio modo di vedere la vita. Inevitabilmente lo scrittore entra nel romanzo, giocando a nascondino tra le trame della sua creazione».

Ti faccio adesso qualche domanda più vicina al testo. Ma non ci avvicineremo troppo. Rispetteremo tutte le distanze dell’attesa. Che rapporto personale hai sviluppato con i personaggi principali?

«Direi molto intimo. Come dicevo, in alcuni rivedo persone a me care e, alla fine, anche quelli che ho inventato mi sono entrati dentro come se li avessi conosciuti davvero; e forse è stato così, anche se non ricordo i loro volti. Incrociamo migliaia di persone di cui non ricordiamo nulla ma ognuno lascia una piccola spennellata del proprio colore, più o meno chiara o scura, ma fondamentale perché alla fine il tuo disegno di vita sia meravigliosamente definito e realistico».

Quanto somiglia, lui, all’uomo che tu sei? E quanto somiglia, lei, alla donna che tu hai accanto?

«Forse sarebbe meglio dire quanto io desideri assomigliare a Isak. La risposta è: tanto! Nel mio cuore ci sono tutti i suoi sentimenti ma non posso dire di averli sempre tirati fuori. Mia moglie possiede certamente la dolcezza e la determinazione di Lajza e il suo essere pronta a fare qualsiasi cosa per amore. Lei me lo ha dimostrato e continua farlo ogni giorno avendo lasciato tutto per seguirmi».

Vittorio, tu conosci i luoghi che racconti. Ritorneresti in quei posti? Cammineresti per le stesse strade? Cosa provi per quella terra?

«Ci tornerei di corsa. Un pezzo del mio cuore è rimasto lì. Ripenso spesso a quei luoghi, alle vicende vissute e soprattutto ripenso spesso ai tanti bambini che ho incrociato donando un pezzo di pane, dei biscotti o semplicemente un po’ d’acqua. Ricordo i loro sorrisi di gratitudine, le risate e l’italiano impastato a parole d’inglese. Ricordo la loro voglia di vivere e di fare quanto era in loro potere per vivere la loro infanzia come se la guerra non appartenesse loro. Quando mi capita di rivedere le foto di quella missione mi fermo a guardare quei volti e penso: “Chissà se tra questi bambini, adesso grandi, è rimasto vivo il ricordo di un soldato italiano con gli occhi azzurri che li accoglieva in qualunque circostanza con il sorriso, e se quel sorriso è stato seme di bene che è germogliato nei loro cuori estirpando l’ombra dell’odio”»

Nella tua storia, concetti come “bene” e “male” non sono mai scontati. Li affronti con grande senso della realtà. Quanto è importante la libertà umana nella tua storia, e quanto invece il destino, cioè tutte quelle cose che non possiamo evitare? Chi vince, tra ciò che è determinato dalla storia, dalle ingiustizie, dalle miserie umane, e ciò che invece abbiamo il potere di determinare?

«Durante il corso della mia vita ho mutato diverse volte i miei concetti di “bene” e di “male”, di “destino” o “casualità” ma credo che oggi sia riuscito, per quanto mi riguarda, a definirli. Vedendo di cosa è capace l’uomo comprendo quanto sia lontano dal concetto di libertà. Non si può ricercare la libertà se essa viene negata ad un altro uomo. Dobbiamo credere che questo concetto si allontani da noi ogni volta che usiamo prepotenza verso qualcuno che riconosciamo più debole. Eppure sono sicuro che nessuno di noi si riconosca prepotente. I conflitti nascono sempre da una prepotenza. Parlando di “destino” tocchiamo un argomento difficile e complesso che mi ha appassionato da ragazzo. Sinceramente mi ha sempre dato fastidio sentire espressioni tipo: “Doveva andare così” oppure “Tutto è scritto”, come se noi fossimo dei burattini inermi che subiscono gli eventi. Piuttosto credo che l’essere umano abbia un potere decisionale enorme ma che spesso non sappiamo gestire. Isak si ritrova catapultato in un mondo in cui deve adattarsi, in cui deve reinventarsi e scegliere drammaticamente in che modo esercitare la sua libertà! Altro che… destino!»

Nel tuo romanzo non concedi sconti al lettore. Che prezzo ha avuto per te descrivere certe cose che a noi lettori sono costate care? In cosa c’hai guadagnato? In cosa c’hai perso?

«Quando ti trovi a raccontare qualcosa che va oltre la conoscenza della maggioranza della gente, ti poni mille interrogativi su quanto sia giusto descrivere alcune scene. Mi sono chiesto spesso se fosse necessario essere così descrittivo oppure, davanti a certe vicende, fosse più corretto lasciare intendere e proseguire la storia. La guerra non fa sconti a nessuno! Questa è la verità. La verità sta nel fatto che in alcune parti del mio libro ho desiderato ardentemente di provocare un senso di sconcerto e confusione, malessere e desiderio di giustizia. Chiunque avesse letto questa storia, alla fine avrebbe dovuto provare schifo per la guerra e pietà per tutte le vittime generate da una così grande follia».

Voglio confidarti qualcosa. La fine del tuo libro mi ha fatto sentire rispettato nella mia dignità di lettore. Mi sono accorto che hai avuto grande fiducia e stima in coloro che avrebbero letto le tue pagine, rendendoli partecipi della tua onestà narrativa. Ma questa è una mia impressione. La tua qual è? Cos’hai provato tu, scrivendo quel finale di cui non parleremo?

«È molto difficile parlare del finale senza svelare alcune cose ma ci proverò. Credo fermamente di aver scritto ciò che dovevo scrivere per completare un disegno che, a molti, potrebbe restare incomprensibile mentre per altri necessario. Ci troviamo di fronte a qualcosa che va oltre le nostre percezioni, le nostre sensazioni o il nostro modo di concepire tutto secondo degli schemi ben precisi. In questi ultimi giorni ho maturato un pensiero: la speranza non si spegne mai per chi ama. Isak incarna proprio questo pensiero, ed è meraviglioso perché infonde in me la necessità di crederci sempre, anche quando tutto sembra dirci il contrario!»

Un’ultima domanda. Hai altri progetti? Hai ancora qualcosa da voler raccontare? E soprattutto, hai bisogno di raccontare a te stesso un’altra storia così bella? Pensi ti servirebbe?

«Mi avessi fatto questa domanda qualche mese fa ti avrei risposto con un secco “no”, ma dice James Russel: “solo gli stupidi e i morti non cambiano idea”. Dopo la pubblicazione ho ricevuto e sto ancora ricevendo tanti commenti di apprezzamento, soprattutto sugli spunti di riflessione che attraverso questa storia sono riuscito a donare ai lettori. Alcuni commenti li ho conservati perché veramente meravigliosi, perché mi hanno donato la consapevolezza che quando si ha da raccontare qualcosa è necessario farlo; forse non piacerà a tutti ma, come ti dicevo pocanzi, se quel tuo racconto, quella tua esperienza può servire anche ad una sola persona, allora ne è valsa la pena. Ovviamente adesso la risposta è “sì”, ma solo quando avrò qualcosa che valga la pena raccontare. Dio mi scansi dalla voglia di scrivere così, tanto per farlo. Arriverà quel tempo, e allora sono certo che lo farò!»

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