Un pranzo che salta per un piccolo incidente, un vedovo che si ritrova ancora più solo, un incontro che dà senso a quel giorno. E quel ricordo che serve alla figlia dell’uomo, per riannodare i fili di una vita. “Una domenica” è un romanzo di rara sensibilità e delicatezza scritto da Fabio Geda
Una domenica, una come tante: un uomo solo, è vedovo da pochi mesi, i figli sono tutti lontano ma oggi una dei tre, con le nipotine, verrà a pranzo. Tempo di darsi da fare e preparare un menù che rispecchia lo stile piemontese: siamo a Torino, e il romanzo di Fabio Geda edito da Einaudi, Una domenica (192 pagine, 16 euro), si svolge pressoché tutto intorno alla grande casa di famiglia di Lungo Po Antonelli. Una storia delicata, pacata come una domenica che, dopo l’attesa del pranzo e l’impegno in cucina, si rivelerà densa di solitudine e, per contro, possibilità. Accade un incidente, una delle nipoti si fa male e il pranzo salta. Cosa farsene, ora, di quelle golose cipolle ripiene, del budino di Seirass, delle tagliatelle di borragine che così tanta fatica sono costante al protagonista?
Riempire una domenica
È un innesco in fondo semplice: un imprevisto, piani che saltano, giornate improvvisamente vuote da riempire. Perché questo romanzo di Geda ha al centro, tra le diverse tematiche, quella della vecchiaia e della solitudine. Le dita del protagonista sfiorano malinconiche e tremanti il quaderno di ricette della moglie, morta poco tempo prima: una presenza ancora viva tra le pagine, capace di cucinare mentre lui, ingegnere, ha passato la vita all’estero, a costruire ponti, grandi infrastrutture. Schiacciato dalla consapevolezza del tempo ormai alle spalle, del vuoto di una casa dove tutte le porte restano aperte perché nessuno spazio resti isolato, il protagonista prova a ripartire conscio di aver dato, nel corso della vita «più attenzione alle cose urgenti che a quelle importanti». Si vede goffo mentre cucina, ma si emoziona, si sente ancora vivo nel ricordo della moglie e della famiglia unita. Ecco dunque perché l’imprevisto che fa saltare il pranzo lo schiaccia contro un’inattesa solitudine, che tuttavia potrebbe non restare tale.
Il bisogno di condividere
È una domenica particolare sul Lungo Po Antonelli, una domenica di «luce strana, pulviscolare», dove «dalle palazzine traspirava una lentezza che sapeva di castagne». I passi della malinconica solitudine, misti alla preoccupazione per la salute della nipote, portano il protagonista allo skate-park, un luogo che ama e che si rivelerà foriero di incontri. Perché è qui che si può costruire un ponte, è qui che si trova e ritrova un comune bisogno di specchiarsi in un altro essere umano per condividere qualcosa, fossero anche solo due chiacchiere, un coniuge che non c’è più, la solitudine di una domenica e un pranzo preparato con amore che nessun altro mangerebbe. Gaston è il ragazzino che gioca sullo skate, Elena la sua giovane madre. Con discrezione tutta sabauda, è con lei che il protagonista inizia una conversazione che lo poterà, sorprendentemente anche per lui stesso, a invitare i due a pranzo. Un’azione quasi irrazionale, istintiva, dettata da « una comune voglia di racconto, di spartizione». La domenica si riaccende, c’è di nuovo, e ancora, qualcosa da vivere, da raccontare. Le vite si snocciolano, i dolori, le mancanze, le solitudini escono allo scoperto tra un caffè e una delicata allusione.
Il segreto nel racconto
La caratteristica di questa storia di Geda è di essere narrata da lontano, anni dopo gli eventi, e da un occhio esterno, quello di Giulia, una dei tre figli, che scopriamo essere, per motivi ancora sconosciuti, distante dal padre, sia fisicamente che nei rapporti familiari. Giulia è attrice e drammaturga, innamorata del teatro è la più sensibile dei figli, quella nelle cui corde di artista vibrano parole, storie, ricordi, in una costante tensione verso le persone, le relazioni che le legano. Giulia costruisce storie a partire dai frammenti, come quella, incanta per la delicatezza e l’emozione, che raccoglie al tavolino di un bar di Roma in una vecchia fotografia in bianco e nero. È impegnata a ricostruire anche la sua, o meglio quella della sua famiglia, nel legame profondo con la madre, persa tragicamente, e in quello vacillante con il padre, logorato dai non detti e dall’incomprensione.
Giulia non riesce a osservare il mondo se non in forma narrativa, in dialoghi, ed ecco allora la sua cura, il suo ponte: ricostruire quella domenica, una come tante ma in fondo diversa dalle altre, con quella parentesi in cui, senza bene sapere come, Elena e Gaston si ritrovano in Lungo Po Antonelli a pranzare con quello che fino a poco prima era uno sconosciuto.
Un buon ponte, per andare oltre
Alternando riflessioni di Giulia e racconti di quella domenica speciale, emerge una vita sommersa e segreta di una famiglia apparentemente serena, come tante. I non detti, le solitudini che già prima della vecchiaia abitavano quegli spazi, il rapporto lavorato, maturo e adulto dei genitori. È la scoperta dei lettori, il viaggio a ritroso nei nodi segreti di una famiglia qualunque. Ma è anche l’elaborazione del lutto della stessa Giulia, che alla fine, con la sua attenzione speciale alle persone, troverà un ponte per perdonare e passare oltre, mediando il fiume delle sue emozioni contraddittorie con il racconto. Proprio come fa Geda in una storia e nei suoi personaggi, raccontati con profonda sensibilità e delicatezza rara: «svelare attraverso le parole ciò che mi sono persa confusa dal rumore del presente e impastoiata nelle emozioni – scoprirà Giulia – ecco cosa amo del mio lavoro. Non potrei più farne a meno».
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