In libreria un classico della letteratura lettone, “Il pozzo” di Regina Ezera: un medico e l’incontro con tre donne. La scoperta di una scrittrice dalla scrittura raffinata e fluida, che finì i suoi giorni in povertà e «tormentata dal bisogno dell’alcol»
Quando Regīna Šamreto scelse come proprio pseudonimo Ezera (che significa lago), sapeva di aver «sempre desiderato abitare nelle vicinanze di un bosco e dove c’è dell’acqua». L’acqua è l’elemento che avvolge ogni cosa nel suo romanzo Il pozzo (352 pagine, 18 euro), edito da Iperborea, diventato un classico della letteratura lettone, l’acqua che «con la sua fluidità rende fluidi e sfumati i contorni, le gradazioni della luce, i rapporti fra le persone e ciò che accade dentro di loro», come scrive la traduttrice, Margherita Carbonaro, nella postfazione. Lungo le rive di un lago, la cui «distesa d’acqua sembrava sconfinata», trascorre le vacanze estive, Rūdolfs, un medico proveniente da Riga. Con l’intenzione di chiedere in prestito una piccola imbarcazione, l’uomo giunge a Casa Tomarini, un’antica dimora affacciata sulle sponde della Biscia, così viene soprannominato il lago, rifacendosi alla «mitologia e tradizione popolare baltica in cui la biscia è un animale sacro, intermediario fra i mondo dei vivi e dei morti», spiega Carbonaro.
Una dimora che sembra abbandonata
Anche se Casa Tomarini sembra abbandonata, qui vi trova Laura, una giovane donna dall’aspetto “grigio”: “la camicetta sbiadita, i pantaloni di tela consunti con i bottoni automatici, i piedi nudi impolverati. Solo i capelli, piuttosto lunghi e legati sulla nuca con un elastico nero, mandavano una viva luce rossastra che contrastava con tutto il resto”. Rūdolfs scoprirà che Casa Tomarini custodisce un pozzo «sul fondo un piccolo cerchio grigio luccicava come una moneta, e un alito fresco e umido gli salì incontro. Pozzi così profondi rispondono alla voce umana con un’eco nera». La casa che si affaccia sul lago e che si specchia nella città che sta esattamente dall’altra parte, è abitata da tre donne, Laura, Alvīne sua suocera e Vija la cognata e dai due bambini di Laura. Tre donne molto diverse da loro, Alvīne è una donna d’altri tempi, rimasta vedova, che ricopre quasi il ruolo di custode del tempo, ora privata anche del suo unico figlio, al quale sente di “aver fatto solo del bene”, incarcerato a causa dell’omicidio di un uomo, avvenuto accidentalmente durante una battuta di caccia e di cui è stato ritenuto colpevole. Uscito nel 1972, Il pozzo, è diventato un classico della letteratura lettone, nello stesso anno viene conferito, all’autrice, il premio statale della Repubblica socialista di Lettonia e nel 1976 girano un film dal titolo Ezera sonate, La sonata del lago, ispirato al romanzo che diventa esso stesso un classico della cinematografia lettone.
Uno sguardo dentro l’altro
C’è la luce che proviene da una finestra di Casa Tomarini, che spesso la sera resta accesa, è la stanza di Laura, quella che Rūdolfs, dalla piccola imbarcazione sul lago, osserva come se fosse lo sguardo della donna a entrare nel suo. Tutto intorno si diffonde una fitta nebbia «compagna quasi immancabile delle notti di fine estate» che lentamente stende «un pallido velo davanti alla riva” e come avviene la sera si sente il rumore delle anatre selvatiche che chiacchierano nel canneto». Laura si perde a osservare il lago, muta e silenziosa lascia i pensieri vagare nel tempo. Si interroga Laura su ciò che ne è stato della sua vita, chiusa in quella casa, imbrigliata nelle faccende domestiche sotto lo sguardo algido e insofferente della suocera, si interroga sui sentimenti che prova per suo marito Ričs, ora che non è lì con loro.
S’infiamma l’aria del lago
Ai caldi raggi del sole che fanno capolino durante le giornate a Casa Tomarini, si oppongono sferzanti piogge e i rumori che diventano i suoni ritmici di questo romanzo. Tuttavia l’isolamento di Laura, l’incertezza dei tempi, la precarietà dei sentimenti faranno sì che Laura e Rūdolfs si avvicinino più di quanto avrebbero immaginato. È la storia di un amore impossibile, così ha definito il suo romanzo Regīna Ezera, la donna che disse di non essere mai «riuscita ad afferrare la cosa essenziale che trasforma in arte il materiale della vita», definita la grande dame della prosa lettone da Nora Ikstena. Il forte affetto che si innesca tra i figli di Laura, soprattutto il piccolo Maris, e Rūdolfs, creerà occasioni di incontro per la coppia e innescherà una complicità fra i due adulti che sfocerà in sguardi e nel veloce sfioramento delle dita, che finiranno per infiammare l’aria del lago. Regīna Ezera, quando scrive Il pozzo aveva una quarantina d’anni, due divorzi alle spalle e un incendio che distrusse l’abitazione acquistata in campagna, quella di vicino al bosco e al fiume Daugava, i suoi manoscritti e l’opera che stava scrivendo, la fece ricostruire perchè non avrebbe saputo dove vivere se non in quel luogo. Scriverà gran parte della sua produzione letteraria in epoca sovietica, tesserata nelle fila del partito comunista, finirà i suoi giorni in povertà e «tormentata dal bisogno dell’alcol». La sua scrittura, fluida e raffinata inseguirà i sentimenti umani, indagherà ciò che nascondiamo dentro noi stessi, le delusioni e l’impossibilità di cambiare il proprio destino. Il pozzo custodisce nelle sue acque limpide quel sogno invaso dalla nostalgia, interrotto nel momento che separa il giorno dalla notte.