Cinque riflessioni sul tempo – tortuoso, perduto e ritrovato – in forma di racconti per Claudio Magris nel suo libro “Tempo curvo a Krems”. Lo scrittore triestino mette da parte le architetture complesse e scandisce frasi ponderate ed efficaci, delineando personaggi anziani che, in fondo, non guardano al passato e nemmeno al futuro
Il tempo, tortuoso, perduto, ritrovato, fra terza età e bilanci. Ecco di cosa scrive, anche stavolta con la misura di un classico, Claudio Magris, che ha ottant’anni anagraficamente e si è concesso un regalo, sfoderando un libro di rara freschezza, di totale equilibrio fra forma e contenuto, Tempo curvo a Krems (96 pagine, 15 euro), per la casa editrice Garzanti che da sempre pubblica le sue principali opere. Cinque racconti per altrettanti protagonisti anziani, sopravvissuti, che galleggiano su suggestioni pennellate con grazia. A quattro anni dal poderoso romanzo Non luogo a procedere, Magris dimostra come aveva fatto in precedenza e con altrettanta maestria, come si possa stupire non solo con architetture complesse, ma in forme decisamente più dense e asciutte.
Parole essenziali, niente effetti speciali
Cinque uomini protagonisti sulle soglie dell’ultimo tratto dell’esistenza scandiscono questo finissimo libro di racconti: nella storia eponima (dove, a differenza delle altre, non c’è un narratore onniscente, ma una voce che narra in prima persona) un anziano brillante studioso, dopo una conferenza su Kafka, a Krems, verosimile assopito borgo danubiano, vagheggia una passione liceale per una ragazza, l’evanescente e irragiungibile Nori; e poi un impacciato scrittore di origine ebraica ospite di un premio letterario vissuto in modo insofferente; un industriale vedovo che veste i panni di portinaio in uno stabile di sua proprietà; Salman, un maestro di musica “fotografato” nel momento dell’incontro con un ex allievo, Vilardi, che ha raggiunto la fama come violinista, un reduce della prima guerra mondiale, già studente irredentista, che non riconosce episodi della sua esperienza nel corso delle riprese di una serie televisiva dedicata a quel periodo. Il tempo di queste storie sembra galleggiare fra passato e futuro, finendo per essere un continuo presente, in cui tutto è simultaneo, dilatandosi nell’attuale. Per ottenere questo effetto Magris non si serve di chissà quale artificio o di chissà quali meccanismi, non ha bisogno di giochi di prestigio, gli basta scandire frasi senza effetti speciali, con parole ponderate, efficaci, colme di significato nella loro essenzialità.
L’età che intacca corpo e spirito
Non cede a mestizie Magris, pur se i suoi protagonisti fanno i conti con cicatrici e con l’avanzare degli anni che in egual misura intacca corpo e spirito. Non è questo il punto. Non vuol cedere nemmeno al tempo, forse, come si legge nel racconto di apertura, Il custode, vuol sottrarsi a esso: «Il mondo continuava – si legge – a fluire generoso verso di lui e non certo a mani vuote, ma poco a poco egli aveva cominciato a sentire il desiderio di arginarlo, di deviare se possibile quel fiume e di erigere qualche barricata contro la vita che avanzava». Rievocazioni e riflessioni (anche complesse, tra fisica e filosofia), prendono forma sullo sfondo dei luoghi dell’anima di Magris, Trieste («città trafficante, meticcia e patriottica»), il Carso e la Mitteleuropa.
Il tempo è un mistero, il destino è sospeso
Se, per brevi attimi, emerge la malinconia, è moderata. Il fascino di una prosa suadente che distilla eleganza è, invece, perentorio, come perentoria è la commistione fra passo saggistico e creativo. La misura dei sentimenti e dello stile è espressa con grande naturalezza dallo scrittore triestino. E il tempo è un mistero, nessuna delle figure che prendono vita nei racconti di Magris china davvero il capo dinanzi al passato o al futuro. Difficile dire se il loro sguardo crepuscolare sia più rivolto a ieri o a domani. Non c’è inizio, non c’è fine. Il destino è sospeso, l’esistenza un continuo divenire, alla ricerca di un senso.
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