Intervista a Giuseppe Lupo, in libreria con “Breve storia del mio silenzio” e protagonista, anche con un dialogo su Adriano Olivetti, del Pazza Idea Festival, a Cagliari: “Ho raccontato la modernità che si è manifestata attraverso la cultura, cioè l’acquisizione di un immaginario che diventa una specie di vocazione per la vita. Il romanzo è anche un omaggio a Cesare De Michelis. Olivetti? Non so se i tanti che oggi se ne fanno scudo hanno il suo coraggio”
Da poco tornato in libreria, con il romanzo Breve storia del mio silenzio (208 pagine, 16 euro) per Marsilio, e anche per questo coinvolto tra i protagonisti, a Cagliari, del Pazza Idea Festival, Giuseppe Lupo è anche un acuto osservatore e studioso della vicenda umana, professionale e intellettuale di Adriano Olivetti, e ha scritto il saggio La letteratura al tempo di Adriano Olivetti, raccontando un’esperienza unica, quella che vide, tra gli anni Cinquanta e Sessanta, molti intellettuali dell’epoca al fianco di Olivetti, come dipendenti o scrittori delle edizioni Comunità: i metodi di produzione di massa, la cultura tecnico-scientifica e quella umanistica e l’uomo si potevano coniugare; e nacque, anche, la grande letteratura industriale italiana. L’ultima pubblicazione di narrativa – la prima per Lupo dopo la scomparsa dell’amico-editore Cesare De Michelis – e la sua conoscenza della figura e del tempo di Adriano Olivetti, hanno condotto lo scrittore e docente universitario lucano, tra i protagonisti di due appuntamenti con il pubblico in Sardegna. Un’ottima occasione per rivolgergli qualche quesito.
Lupo, in Breve storia del mio silenzio un ragazzo del sud che ama la pioggia e le giornate uggiose. Siamo lontani da qualsiasi stereotipo; è la storia di un riscatto parallela all’irrompere della modernità?
«Con Gli anni del nostro incanto ho raccontato la modernità che si era manifestata in Italia attraverso i frigoriferi, i televisori, le automobili e gli altri oggetti del benessere. In Breve storia del mio silenzio ho raccontato la modernità che si è manifestata attraverso la cultura, cioè l’acquisizione di un immaginario che diventa una specie di vocazione per la vita. La pioggia ha il valore simbolico delle parole e della scrittura».
Il protagonista del suo nuovo romanzo smette di parlare in concomitanza con la nascita della sorella. Le parole, però, in altre forme, sono molto presenti nella sua infanzia e oltre; è anche un romanzo sulla forza delle parole?
Perché la decisione di scrivere di un trauma infantile che in qualche modo si trasforma in risorsa?
Breve storia del mio silenzio, quanto e come si ricollega al precedente romanzo, Gli anni del nostro incanto? Il romanzo precedente era nato anche dalle suggestioni di una foto molto simbolica del Corriere della Sera, stavolta in copertina c’è una sua immagine da bimbo, una foto privatissima…
Il Sud dell’infanzia e poi Milano. I poli della sua narrativa tornano, inevitabilmente? Leggeremo mai un romanzo di Giuseppe Lupo ambientato in Giappone o in futuro immaginario?
A Cagliari, nell’ambito del Festival “Pazza Idea”, ricorderà la figura di Adriano Olivetti, imprenditore, politico, intellettuale che si muove a distanze siderali dalla maggior parte degli omologhi di oggi. Che ne è di quell’Italia del sogno, della bellezza, a dir poco rivoluzionaria?
«Del lascito di Adriano Olivetti oggi in Italia si fa un gran parlare, lo si cita continuamente, si ricorre a lui con estrema facilità da parte di imprenditori e politici, ma c’è un problema di fondo: pochi hanno letto le sue opere e quindi tutto è un rumorio da “sentito dire”. Per ripercorrere il sentiero di Adriano Olivetti, ammesso che ci fossero le condizioni di mercato, ci vuole coraggio e soprattutto la fiducia nell’uomo. Non so quanti fra quelli che se ne fanno scudo abbiano lo stesso coraggio».
Quanto le manca Cesare De Michelis, anima di Marsilio?