Domande inevase e dubbi, i genitori secondo Di Paolo

Tre donne aspettano un bambino senza gioia: per loro all’attesa del futuro si sostituisce l’impazienza del presente. Le loro controparti maschili sono ombre che vagano nel buio. Coppie che si sfiorano senza interagire mai davvero. Spiazza e confonde “Lontano dagli occhi”, il più recente romanzo di Paolo Di Paolo

Storia tripolare. Luciana, Valentina, Cecilia. Tre donne, romane, cittadine dei primi anni ’80. Nel loro mondo si festeggia la vittoria italiana ai Mondiali. Il paese si interroga sulla scomparsa di Emanuela Orlandi. In spiaggia i ragazzi ballano Vamos a la playa. Ma loro no, hanno altro a cui pensare. Non festeggiano, non ballano. Perchè aspettano un bambino. E questa cosa non le fa stare bene. Strano, vero? Di solito la gravidanza è il preludio di una vita felice, di una vita mano nella mano con la persona amata. Di solito, ma non sempre. Il loro stato interessante porta con sè un tripudio di domande inevase e uno sconquasso di situazioni poco chiare, tormentate, quasi inaccettabili. La generatività di cui sono portatrici non promette nulla di buono.

Mancanza di serenità e fragilità

In questo suo ultimo romanzo – Lontano dagli occhi (189 pagine, 16 euro) edito da Felitrinelli – Paolo Di Paolo gioca proprio su questa incongruenza. All’attesa del futuro si sostituisce l’impazienza del presente, alla speranza per il domani si affianca prepotente il dubbio dell’oggi. Nessuna delle tre donne affronta questa esperienza con la serenità che ci si aspetterebbe. Luciana rincorre un compagno che di lei non ne vuole sapere; Valentina è osteggiata dalla famiglia per quella gravidanza irresponsabile; Cecilia non sa neppure lei cosa deve fare di quelle cellule che le si coagulano in grembo. Alla fragilità di queste tre protagoniste fa il paio quella delle loro controparti maschili: Ettore, Ermes e Gaetano sono ombre che vagano nel buio, lampi nella nebbia, anime chiamate ad affrontare situazioni più grandi di loro.

Un epilogo misterioso

Nel corso del racconto, che talvolta ha passaggi lenti, anche per il limitato utilizzo di dialoghi in favore di construtti sintattici in alcuni casi un po’ macchinosi, le vicende dei personaggi si sfiorano, si incrociano, ma senza mai interagire veramente. Come scrive Di Paolo «essere vivi, comunque, è questo, una sequenza di gesti animali – sconnessi, patetici, sublimi». In questa descrizione si condensa il senso medesimo del libro che spiazza e confonde con un epilogo magistrale e sibillino, oserei dire misterioso: com’è del resto la natura della vita, un interminabile postulato di domande a cui spesso mancano le risposte adeguate per poterla comprendere.

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