Sei vite colte nell’estate del 1983, tre donne e tre uomini che stanno per diventare genitori, nessuno dei quali è davvero pronto al cambiamento. Sono i protagonisti di “Lontano dagli occhi” di Paolo Di Paolo, che finisce per riservarsi un cameo speciale…
«Nessuno è mai davvero pronto, nessuno ha il libretto di istruzioni»: è la frase ricorrente tra genitori, quelli che si apprestano a diventare nonni, e ci sono già passati, quelli che hanno appena accolto tra le braccia un neonato ancora sconosciuto, un alieno generato dai loro corpi e già nuova vita, nuova storia. Di genitori, e del difficoltoso e mai lineare percorso che porta a diventare padri e madri racconta Lontano dagli occhi (189 pagine, 16 euro), il nuovo romanzo di Paolo Di Paolo pubblicato da Feltrinelli che, mosso da una curiosità tutta da scrittore, si interroga sulle pieghe dei destini e sulla complessità di emozioni, incertezze e inadeguatezze tutte umane che investe chi risponde suo malgrado all’appello di una gravidanza che genererà una nuova vita.
Tre donne, tre storie
Luciana, Valentina, Cecilia: tre donne molto diverse tra loro, tre storie come altre infinite, ciascuna con le sue vicende, i suoi contesti, le sue ragioni e le sue domande e paure. È così che Di Paolo entra nel tema del romanzo, presentandoci la storia di una giovane adulta, di un’adolescente e di una ventenne punk che non si conoscono e non hanno nulla a che fare tra loro, ma sono accomunate da una gravidanza non cercata, che apre spirali di dubbi, genera interrogativi pressanti e alimenta ipotesi, necessità di scelte, prese di coscienza.
Sono tre traiettorie come tante altre, tre percorsi su cui si sofferma la penna dell’autore per mostrarci connessioni casuali e snodi imprevisti che si intrecciano mettendo al palo tutte e tre le protagoniste, nel confronto serrato con un corpo che sta cambiando per ospitare una nuova vita. Non a caso Luciana, giornalista in una redazione che sta per chiudere, Valentina, che ancora va a scuola e Cecilia, che vive in una comune, sono colte tra il settimo e il nono mese, tra l’aprile e il giugno della loro gravidanza ormai avviata verso l’unica destinazione possibile, quella della nascita.
Nell’attesa del momento subiscono gli sbalzi di pressione tra le possibilità che l’evento darà loro e la paura, tra la forza che cercano di maturare e il peso schiacciante di una situazione non prevista e ormai irreversibile. Insieme a loro, tre uomini che si apprestano a essere padri, e che potranno o meno scegliere di esserlo: l’Irlandese, Ermes, Gaetano, poetastro il primo, adolescente in crisi il secondo, commesso fallito il terzo. Sei vite colte in un’estate in cui il piede è sospeso prima del passo che traghetterà quello spazio di attesa, di attraversamento, di trasformazione, in una pagina nuova.
Roma, il 1983 e quel clima sospeso
È l’estate del 1983 a Roma, rima tra la sospensione delle tre storie narrate e il clima di attesa in un’Italia dei primi Ottanta, ritratta alle soglie delle elezioni, mentre al cinema è appena uscito E.T. di Spielberg, Giulio Andreotti festeggia i 40 anni di vita politica, alla radio passa Tropicana. Un clima sospeso come il cielo di Roma in una giornata di giugno, «un’immensa promessa a vuoto, fatta a tutti e a nessuno».
Non è un racconto degli anni Ottanta, ma un racconto calato in un periodo particolare, uno sfondo ricostruito attraverso suggerimenti, dettagli e cronache che risuonano di titoli di giornale dell’epoca, dallo sfregiatore seriale Jack Lametta al rapimento di Emanuela Orlandi. Ed è anche il 1983 simbolico, anno di nascita dell’autore che, come si vedrà, si riserva un cameo speciale in questo romanzo.
Tra l’attesa e il mondo
«Un uomo che sta per diventare padre non lo riconosci da niente»: con delicatezza e discrezione, senza mai puntare il dito, il narratore Di Paolo osserva ed entra dentro i tormenti dell’attesa, tra i rimpianti di un passato e le incognite del futuro che, è inesorabile – lo confermano le pance, i corpi che cambiano – arriverà. E scombinerà tutto quel poco che sembrava procedere lungo una direzione più o meno stabile.
L’attesa è confronto con il proprio buio, le paure, il coraggio di scegliere. Non è infatti scontato ci si senta padri, madri, mogli e mariti, e Di Paolo mette il lettore davanti al quesito: quali sono i livelli di adesione al ruolo ideale che l’immaginazione crea? Quali le gradazioni di coraggio? Quali gli scarti?
Se lo domanda Gaetano che «non è sicuro di essere diventato l’uomo che voleva essere. Data una serie di eventi nella vita trascorsa fino a qui, il risultato è questo. Tutto è andato come doveva andare?». Luciana, dopo aver partorito, sconquassata da un gesto che ha coscientemente percepito come “osceno” sa bene che «riabituarsi al mondo non sarà facile», e che «nessuno può aiutarla», deve trovare la forza da sé, ricostruire una storia da abitare dopo la metamorfosi che, da figlia, l’ha battezzata madre.
Quale parte spetta a un genitore? I personaggi di Lontano dagli occhi ancora non lo sanno, ed è nel limbo dell’indagine, della tensione, del tormento dubbioso che sono colti in tutta la loro debordante, sensibilissima, fragile e commuovente umanità.
L’ansia della trasformazione
Ponte tra la vita che era prima e quella, ancora ignota, che verrà dopo: l’attesa. Una dimensione apparentemente calma, passiva, in cui non solo il corpo si trasforma ma i nodi degli irrisolti si raccolgono nel pettine che porterà alla nascita. «Vorrei sapere se, quando e come ciascuno di loro ha maturato coscienza della trasformazione. C’è stato forse un contatto, un’ansia diversa, qualcosa come un click, una notte insonne?» si domanda il narratore.
Nessuno, a dispetto della stereotipata pacca sulla spalla tra futuri genitori, è davvero pronto al cambiamento. È un confronto serrato con il destino che riguarda la coscienza intima e profonda di ciascun personaggio. Valentina, che forse vorrebbe tenere il bambino, provarci e crescere, Gaetano che non è padre ma un po’ lo diventa, Ermes che cuoce nel dubbio e telefona da una cabina a gettoni, e Luciana che, sfinita dopo il parto, non ha ancora capito se, delusa dall’Irlandese che non c’è, ce la farà da sola.
Ma tornare indietro non si può: un linea separa il prima e un dopo senza libretto di istruzioni. Nel mezzo c’è una «devastante metamorfosi» rischiosa, che non lascia indifferenti e che segna una svolta tra i tanti “se” possibili di una vita.
Qualcosa che mi riguarda
È nato: «Potrebbe essere chiunque». C’è un figlio, il suo destino lo attende, una pratica burocratica lo sancisce, un corpicino umano lo testimonia in prima persona, «dorme con le braccia incrociate, le mani sul viso, come per proteggersi. Si sveglia, si agita, piange, col pianto sveglia i coetanei nelle culle accanto. Gli organi vitali sono come stipati in una scatolina – un respiro più forte o un’apnea hanno, in piccolo, la potenza di un movimento cosmico».
Allo stesso modo, potrebbero essere chiunque la madre o il padre del nuovo nato. Un piccolo che si affaccia alla vita senza averlo voluto. Non sa nulla, vive di puro istinto, pronto o meno che sia, a breve si tufferà nelle braccia dell’umanità imperfetta e titubante che lo ha generato e che, chissà, lo rifiuterà o lo accoglierà: «è costretto a fidarsi, non ha altra scelta»
Azzardo e gioco letterario: Di Paolo esce dalle tre storie singole che ha intrecciato e in chiusura entra a gamba tesa nel romanzo, nella “vita 2” che lo vede personaggio della storia stessa, perché è altrettanto azzardo e gioco provare la vertiginosa sensazione di voler ricostruire quel che c’è stato prima di noi, le vite dei genitori e il loro procedere più o meno casuale verso la svolta, quella venuta al mondo determinante per il dopo. Un inanellamento di “se”, bivii risolti i quali la strada è battuta: il bambino ora è qui, poco importa soffermarsi sull’interrogativo all’origine della vita stessa, c’è un fagotto appena affacciatosi al mondo che chiede di essere accudito.
«Le parole fanno esistere»
Ed è qui che si incontrano la storia di ogni nato e le storie letterarie: sulla pagina, dove si fa tangibile l’esistenza garantita dalle parole. Raccontare è sfiorare “se”, intuire e fantasticare su incroci, possibilità, esistenze ipotetiche, scolpire un percorso, creare una storia, darle vita. Una “vita 2”, tra la “vita 1” e il «lago oscuro» del destino e dei suoi ghirigori. Mentre tuttavia la vita, quella vera, va avanti, inciampa, impara a camminare, passo dopo passo si fa autonoma, fino a guardarsi indietro e rivedere i genitori, così imperfetti e pieni di paura, affacciandosi a sua volta titubante a un domani in cui potrebbe diventare genitore, dare alla luce una nuova vita.
C’è tutta la delicatezza della possibilità, in questo romanzo di Di Paolo, la curiosità di voltare le spalle al cammino e soffermarsi sulla pagina a ricercare cosa lo ha avviato, quale è stato il punto di attraversamento, quella trasformazione in cui qualcuno ha deciso, si è fatto coraggio oppure no, e qualcosa di nuovo è iniziato. «Nove mesi e un attimo. Nove mesi e un giorno, molto vicino al cuore, nei suoi effettivi pressi. Una vita intera, lontano dagli occhi».
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