Con “Bianco” di Bret Easton Ellis emerge una voce irrinunciabile in un periodo storico in cui è in pericolo la libertà d’espressione. Si scaglia contro la “corporation”, contro il pensiero unico, consapevole che «sfidare qualsivoglia tabù sia la strada più onesta da percorrere in questo mondo»
Meglio non usare troppi giri di parole ed essere chiari sin dal principio: Bianco (280 pagine, 19 euro) di Bret Easton Ellis, tradotto da Giuseppe Culicchia, edito da Einaudi, è un libro soporifero, una lettura al rallentatore. E lo è per almeno tre quarti del suo contenuto che attinge molto dalla cultura esperienziale cinematografica dell’autore. Il percorso narrativo è difficile da seguire se non si ha una conoscenza diretta di quelle pellicole, ciononostante appare chiaro quasi da subito il concetto forte che aleggia in ogni pagina: mai come adesso la libertà di espressione è in pericolo.
Cultura dominante presa di petto
Senza ipocrisie, e con la disinvoltura spiccia che gli deriva dall’essere bianco, ricco e famoso, Easton Ellis prende di petto la cosiddetta corporation – termine che ritorna con insistenza in ogni capitolo -, ovvero quel pensiero unico, proprio di una certa elite, (politica, artistica, economica, ecc.), che oggi stabilisce senza possibilità di appello cosa sia giusto e cosa invece non lo sia. Chi non è allineato alla cultura dominante, al politicamente corretto, è fuori, è ostracizzato, diventa un reietto. È accaduto anche a lui, vittima a più riprese di minacce, accuse e tweet a base di hate speech, solo per aver espresso considerazioni impopolari o comunque intrise di ironia. Il femminismo, l’omossessualità, l’immigrazione, la politica, diventano tutti campi minati dove basta un piede in fallo, una parola considerata fuori posto, per scatenare l’odio aggressivo dei social.
Non è la fine del mondo
L’opinione altra non è contemplata: o si accetta la visione progressista e socialmente accettata o si diventa collaboratori di un pernicioso sistema culturale fascista. Il risultato è che la maggior parte delle persone preferisce silenziarsi, autocensurarsi o amalgamarsi al branco. La riflessione sviluppata nel testo risente in gran parte degli echi delle ultime elezioni presidenziali vinte da “The Donald” Trump, la zazzera più irriverente del pianeta, contro cui si è scagliata a testa bassa la Sinistra a stelle e strisce con anatemi ora grotteschi, ora repressivi, persino contrari allo stesso spirito americano. Da questa isteria collettiva che ha portato molti americani (ma non solo!) a preconizzare la fine del mondo, Easton Ellis prende le distanze, evidenziando le contraddizioni e le illogicità di un sistema di pensiero che rinnega se stesso diventando, per paradosso, il suo esatto opposto.
In un’epoca che si crede libera…
Restio ad ammansirsi e ad accettare l’opinione corrente, Easton Ellis rivendica con fierezza la sua condizione di uomo libero, di intellettuale coerente, di scrittore onesto, ritenendo che «… la nostra vita sia fondamentalmente dura, una lotta per chiunque a vari livelli, e che fare dell’umorismo feroce e protestare contro le sue assurde sovrastrutture e rompere le convenzioni e comportarsi male e sfidare qualsivoglia tabù sia la strada più onesta da percorrere in questo mondo». In un’epoca che si crede libera, ma che in realtà non lo è, il compito dello scrittore è appunto quello di irridere questa torba di baciapile che vorrebbero dettare la linea, impedendo il contraddittorio. Da questo punto di vista Bret Easton Ellis ci è riuscito benissimo, fino a prova contraria.
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