“Outsiders 2” di Alfredo Accatino è un deciso invito a non considerare l’arte come un mero simulacro, ma a guardarla come ciò che veramente è: espressione dell’anima umana. Si raccontano cinquanta storie dei sacrifici di artisti sconosciuti, i loro miracoli comunicativi, le loro silenziose ascese sui diversi golgota della storia umana
Che il sequel di un’opera prima sia in genere di minore portata rispetto a quella che l’ha preceduta, è una regola quasi sempre aurea nel mondo della cinematografia. Si riscontrano in effetti pochissime eccezioni. Nell’universo dell’editoria invece questa stessa regola rappresenta senz’altro un pregiudizio. Ciò non significa, ipso facto, che il secondo libro di un autore debba essere necessariamente migliore del precedente; anche in questo caso si tratterebbe di un pregiudizio. Nel mondo dei libri, semplicemente, non esistono regole di questo genere. Nessuna costante matematica o statistica potrebbe determinare l’esito qualitativo di un secondo libro rispetto al primo; e se una scoria di determinismo sopravvive, essa rimane semmai relegata al multiverso del marketing: il vitello d’oro che indossa i panni del “dio editoriale” cercando di incatenare nell’ombra la vera Divinità: quella che ispira gli autori e che li elegge al vero successo, anche quando questo non dovesse mai affacciarsi allo scaffale di una libreria.
Comunicazione immediata
Ma non è il caso di Alfredo Accattino, che dagli scaffali delle librerie si è già affacciato molte volte, e il cui nome è certamente conosciuto sia tra coloro che lo seguono come event organizer, e che quindi non saranno rimasti indifferenti alla sua impostazione professionale decisamente direzionata a trasformare in arte ciò che potrebbe essere solo pubblicità, sia pure tra quelli che un giorno si sono trovati un suo libro tra le mani. Opere capaci di una comunicazione immediata, quelle di Accatino; opere che oltrepassano senza troppe difficoltà l’ostacolo della distanza tra l’autore e il lettore. E questo è possibile a chi ha già metabolizzato l’abitudine di avere a che fare con tanta gente a cui vuoi presentare qualcosa che lasci il segno. Se poi c’è anche il talento naturale, beh, allora…
Un insospettabile spazio culturale
In questo senso, i libri di Accatino centrano come primo bersaglio proprio quello della comunicazione, risultando già da una prima lettura, anche per coloro che hanno cominciato a leggere da poco, immediatamente fluidi e precisi nella consegna dei loro elementi fondamentali. Così, ad esempio, leggi Gli insulti hanno fatto la storia (2005; Piemme), e ti accorgi di non aver bisogno di grandi retroterra ermeneutici: le parolacce ci attirano ed è tutto un fiato di divertenti scoperte! Ma il loro significato storico e linguistico ci arrivano di conseguenza, subito dopo; ecco: credi di leggere semplice intrattenimento e invece stai aumentando gli spazi interiori, stai dando accesso a un insospettabile spazio culturale. Oppure, leggi ancora Imbecilli (2011; Salani) e vieni rapito da una voce che ti sembra già di conoscere, perché somiglia a quella del gossip; ma poi ti rendi conto che è un testo di fenomenologia sociologica! E magari non se n’era accorto neanche l’autore! Poco male. Che ci importa delle sue intenzioni?
Domanda legittima, quest’ultima, non fosse altro che per il fatto che a noi lettori l’effetto ci commuove più delle sue cause. E quindi non passiamo molto tempo a filosofeggiare sulle intenzioni, perché preferiamo imboccare emozioni.
Il motore
Poi però viene il momento in cui, necessariamente, se hai già sfogliato più volte un autore, devi chiederti per forza quale sia l’atto puro del suo motore artistico, tutt’altro che immobile. E te lo chiedi perché, arrivato a un certo punto, il nome dell’autore smette di essere una obbligatoria glossa da copertina, e ridiviene se stesso: un’identità precisa. C’è l’attimo in cui un lettore, coscienzioso o quantomeno affezionato, comincia a sentir vibrare dentro di sé una strana forma di curiosità, tutta diretta alle cose che hanno a che fare con la vita propria del suo autore; insomma, una necessità identitaria che ha come scopo ultimo quello di farti capire quale sia la causa prima di quel testo; non solo cioè da dove arrivi, ma da chi!
Ecco allora Outsiders 2 (240 pagine, 29 euro), pubblicato da Giunti, un libro che, ancora una volta, ci mette nella condizione di leggere innanzitutto un’intenzione prima che una narrazione! Perché “ancora una volta”? Perché questo libro è il seguito di Outsiders, dello stesso autore, pubblicato due anni prima. Ed è la prova che certi sequel non sono né migliori né peggiori; sono solo ciò che deve venir “dopo” un provvidenziale “prima”.
Agiografie di talenti
Si tratta, almeno così ci piace definirla, di una inconsueta e magnifica forma di “agiografia”. Solo che qui non si parla di santi in senso stretto, ma di artisti. A voi trovare la differenza, noi ci abbiamo quasi rinunciato.
Vi si raccontano i sacrifici di artisti sconosciuti (almeno fino a quando Accatino non te li mostra in modo così bello e appassionato), i loro miracoli comunicativi, le loro silenziose ascese sui diversi golgota della storia umana, che hanno assunto i nomi dell’indifferenza, dell’emarginazione sociale, del disadattamento e talvolta persino della sociopatia. Santi scomodi, sotto molti aspetti, perché pur disorientando in modo scandaloso il super-io sociale, di fatto hanno lasciato in giro stigmate di bellezza! E qualcuno le ha raccolte e le ha trasformate in storie accattivanti, che non hanno avuto bisogno di accrescimenti retorici o scenografici, perché hanno già una loro immediata grandezza da comunicare. La grandezza di ciò che è sconosciuto. Il Mysterion, di cui l’Arte è segno preferenziale.
Strade senza fine
Con Outsiders, Accatino aveva inaugurato il genere, attirando subito su quelle pagine moltitudini di sguardi prima incuriositi, e poi riconoscenti. Con Outsiders 2 l’autore non insiste (perché non ve n’è bisogno) ma “persiste”! Cioè, percorre una strada non ancora finita, e tutto ci lascia supporre che potrebbe percorrerla ancora. Anche perché, di strade come queste, difficilmente riesci a scorgere la fine. L’arte cammina con l’uomo da sempre, e per sempre lo farà, facendosi compagna delle sue miserie come delle sue esaltazioni; vivendo con lui una relazione simbiotica in cui entrambi hanno bisogno della controparte per continuare a vivere. L’insistenza può darsi dei limiti, delle condizioni, perché risente di una circostanza. La persistenza difficilmente se ne dà, perché è radicata nell’anima, perché esprime le necessità dello spirito. E se lo spirito ti impone di dover raccontare, di dover aprire delle immagini di vita in cui nomi sconosciuti comincino ad assumere un volto, una giustizia di riconoscimento e di storia, allora la persistenza diventa un dovere che Accatino ha certamente voluto onorare.
Le minorità che fanno la storia
Il libro consta di cinquanta capitoli, con altrettante presentazioni di artisti che i nostri manuali di Storia dell’Arte ci hanno negato, forse perché li consideravano autori “minori”. E questo aggettivo è ancora una volta l’occasione di un pregiudizio. La storia ci ha insegnato che a “fare la storia” sono state molto spesso le minorità, il cui grido, proprio perché fatto di poche e roche voci, ha sentito la necessità di urlare più forte. Eppure, nonostante questo, ciò che è “minore” continua a rimanere adombrato dall’incuranza, quasi che la forza di una “parola” (o il decoro di una “identità”) debba necessariamente dipendere dal numero delle voci che la pronunciano.
In Outsiders 2, ancora una volta, la bibbia degli elementi non presenta distinzioni tra profeti maggiori e minori. Vi è la profezia dell’arte e le sue tante voci, i suoi molteplici agganci alle diverse sensibilità e storie personali. Senza il profeta “minore” Osea non ci sarebbe stata l’Apocalisse! Così, senza Sebastiano Carta, o Aloise Corbaz, o Robert Lenkiewicz, o altri quarantasette illustri sconosciuti, senza queste “minorità”, semplicemente non ci sarebbe l’Arte, quella con la A maiuscola, che non vive di cataloghi e di eventi, ma di passioni, di vite e di morti, e che fa sue tutte le storie del mondo, con la stessa imparzialità di Dio.
L’umanità prima della figura
Animato da un’attenzione morale che dovrebbe far riflettere, anche sul senso di ciò che per noi tante volte continua ad essere l’arte (alibi a ciò che ci piace guardare, difesa da ciò che non vorremmo mai sapere), Accatino persiste dunque nel suo tentativo di farci appassionare all’umanità prima e alla figura dopo. L’implicito messaggio della sua raccolta potrebbe essere questo: un deciso invito a non considerare l’arte come un mero simulacro, ma a guardarla come ciò che veramente è, espressione dell’anima umana. E se non abbiamo intenzione di conoscere le anime e le persone che con queste anime hanno vissuto, amato, sofferto e scommesso, allora non sarà mai vera l’arte cui sceglieremo di appassionarci. Sarà magari solo uno dei tanti altari su cui finiremo per celebrare noi stessi: una forma di vanità, tanto più peccaminosa quanto sacro è l’oggetto che utilizzeremo per il culto della nostra privata compiacenza, privata come una mostra.
Un quadro ti osserva, ti scruta, ti conosce, mentre ti illudi di essere tu a guardarlo. Perché dietro una tela, come pure sul riflesso di un foglio di marmo o tra i capoversi di un romanzo, vi è così tanto accumulo di esperienze e di vite passate, che quell’opera diventa quasi qualcosa di vivo, diviene l’eco della sua stessa storia e di molte altre, e non puoi far finta che non ci sia.
Così, preso a braccetto il nobile intento della verità, devi traghettarti dal macabro al drammatico, dal poetico al grottesco, fino a che non raccoglierai tutti i pezzi e capirai cosa può venir fuori «dalle infinite varianti dei possibili disastri cui la vita è in grado di sottoporci» (così dice l’autore nella sua splendida prefazione).
Storie toccanti
Storie toccanti, come quella di Pan Yuliang, che riscattando il nudo femminile attraverso i suoi disegni, ridisegna i contorni della sua propria dignità! O di Arturo Nathan, costretto ai vincoli della follia da un mondo più folle di lui, e che tuttavia non riesce ad arrestare la libertà delle sue opere.
Insomma, cinquanta nomi a cui l’Autore, dice, scherzando amaramente con il peso dei significati, ha dato «il permesso di soggiorno», per un fine che egli si limita a descrivere come umano e culturale (i due aggettivi non potrebbero stare troppo lontani l’uno dall’altro), senza aggiungere nient’altro, senza precisare altre ragioni, per «motivi che non ho intenzione di condividere con voi».
In questo forse abbiamo commesso una colpa. Ci siamo spinti forse troppo avanti nel tentativo di recensire un libro insieme alla sua “intenzione”, pur sapendo che l’autore era spinto da motivi irrivelabili. Ma un libro è sempre un’opera d’arte, anche quando parla dell’arte degli altri. E un’opera d’arte è sempre un mistero, e non vi è mistero che non reclami uno sguardo capace di interrogarlo, di svelarlo o risolverlo, almeno in parte. Così, mentre Accatino si è lasciato coinvolgere da cinquanta misteri che ha tentato di rivelare a tutti noi, noi abbiamo provato a rivelare lui, descrivendo un’intenzione che in ogni caso si sarebbe rivelata da sola, perché traspare da ogni pagina.
E nel flusso dei ringraziamenti che egli esprime a tutti coloro i quali l’hanno aiutato a ritrovare e ricostruire queste storie, noi aggiungiamo il nostro grazie per la storia che ha scritto lui, e che le raccoglie tutte, e che è un libro solo perché è fatto di parole e di pagine, ma nella sua essenza è una meravigliosa opera di amore nei confronti dell’arte, della conoscenza, e dell’uomo. Tutto l’uomo. Anche quello che non vorresti mai riconoscere come tale, perché in fondo sai di essere come lui.
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