Le donne? Non solo madri. Gli uomini? Non necessariamente virili. L’incendiaria scrittrice francese Virginie Despentes firma un saggio senza censure che sfida il politicamente corretto: “King Kong theory”
Non è mai stata esente da polemiche Virginie Despentes, scrittrice e attivista francese, in prima linea nelle lotte per la riscrittura del concetto di femminilità e dell’identità sessuale. Fin dall’uscita nel 1993 del suo primo romanzo, Scopami (Einaudi) a oggi, con il suo rinnovato urlo dal titolo King Kong theory (117 pagine, 15 euro) uscito nel 2006, pubblicato quest’anno in Italia da Fandango, con la traduzione di Maurizia Balmelli, il manifesto del nuovo femminismo affronta le tematiche tabù della prostituzione, della pornografia, dello stupro. Lo fa, come al solito, senza censure attraverso il racconto delle esperienze personali e sfidando il politicamente corretto.
Maternità e virilità
All’analisi biopolitica delle donne investite dal ruolo di madri come principio naturale a fisiologico per il quale sono state generate risponde: «Investire la madre di tutte le virtù significa preparare il corpo collettivo alla regressione fascista. Il potere concesso da uno stato malato è necessariamente sospetto». Gli uomini rivendicano il loro dominio sulle donne che sempre più spesso, a loro volta, reclamano il diritto di essere altro, oltre che madri, dimostrandosi capaci di ricoprire compiti fino ad oggi appartenuti – di diritto – all’esclusivo universo maschile, in ambito lavorativo, culturale e sociale. Atteggiamento che, secondo gli standard di lettura antropologica maschilista, con un alfabeto maschio e maschilista, viene commentato come inconcepibile. Immagine questa che, di contro, verrebbe sottratta a quella rappresentativa dell’uomo. «Assegnare virilità al corpo femminile è mutilante tanto quanto quella tradizionale». Se agli uomini è stato assegnato il compito di dimostrarsi virili, esporre un coraggio anche quando non si abbia alcuna volontà e valorizzare una forza a prescindere dalla propensione caratteriale dunque, in cosa consiste la virilità? Come si traduce, concretamente, questo termine? «Tacere la sensibilità, vergognarsi della delicatezza e della vulnerabilità. Imbavagliare la sensualità».
Strategia della miopia
I prototipi standard distribuiscono la società secondo una bipartizione cosmogonica degli uomini – maschi coraggiosi, indipendenti, forti e senza lacrime; donne madri, vulnerabili, casalinghe, gracili e dall’umore incerto. Nella sua dirompente analisi sociale e culturale, la Despentes inoltre analizza il sentimento della vergogna come strumento che induce alla passività il soggetto che la subisce. E, se lo stupro per le donne rappresenta il santo Graal delle azioni subite per il quale condannarsi, etichettarsi come infette, allo stesso modo per gli uomini lo è ammettere la propria omosessualità. In entrambi i casi, l’atteggiamento comporta l’alienazione sociale del soggetto, l’allontanamento dalla società. Despentes chiama questo atteggiamento sociale come “strategia della miopia” indotta e voluta da un sistema di controllo che in un primo momento induce la vittima a reagire, sdrammatizzando i termini con cui ci si riferisce all’atto dello stupro, per esempio, che liquiderà la violenza subita con la parola aggressione, o mantenendo segreta l’identità sessuale.
La vita addomesticata
La società necessita di patologizzare la diversità o la violenza attraverso l’irreggimentazione, l’esclusione, l’abiezione. Il termine aggressione nel caso dello stupro, come scrive l’attivista francese, produce però confusione e questo perché «dello stupro non bisogna parlare, si deve essere terrorizzati». Se al contrario si decidesse di denunciare e ammettere quindi, di essere state stuprate, alla violenza subita si aggiungeranno il sentimento della vergogna e della mortificazione: come? Sciupandosi, ingrassando, sentendosi merce avariata. «Una donna stuprata è un furto con scasso». Ugualmente accade con l’ammissione della propria omosessualità. La società del politicamente corretto deve saper distinguere il buono dal cattivo, il giusto dall’errato. L’omosessuale, dall’uomo vero; la donna madre, dall’antimadre. Dunque, espropriati dei propri corpi, annullata qualsiasi tipo di autodeterminazione, secondo un’idea di politicamente corretto la vita degli individui deve essere addomesticata, ricondotta ad una vocazione patriarcale, forgiata in modo da essere funzionale ad un disegno sociale familista, eterosessuale, autoctono, con funzione produttiva e riproduttiva.
Contro Sarkozy
Tuttavia se lo stupro e l’omosessualità sono da “condannare”, i corpi in vendita in cambio di opportunità lavorative, le immagini di un’intimità esibita, provocazioni e allusioni sessuali sui tabloid pubblicitari, potrebbero non esserlo perché, secondo la Despentes, i termini con cui se ne parla e la letteratura di contorno a favore, non alludono all’idea che si ha della prostituta sui marciapiedi, ergo non è prostituzione, ma lavoro. Un tema sul quale aveva già discusso anche la giornalista Annalisa Chirico nel saggio dal titolo Siamo tutti puttane in cui sdogana un moralismo ipocrita e la doppia vita della morale pubblica e privata. La Despentes inoltre condannando le leggi Sarkozy in Francia, denuncia l’atteggiamento umiliante nei confronti della donna perché respingendo le prostitute fuori dalla città e relegandole nelle periferie, si mortifica l’essere umano. La prostituzione non deve essere esibita «Perché la prostituzione non deve banalizzarsi, né essere praticata in condizioni confortevoli». Un gesto simbolico traducibile nel più semplice “se non si vede, non esiste”, «la sessualità deve uscire fisicamente dall’ambito del visibile, del cosciente, del giudizio». Ancora una volta quindi la “strategia della miopia”: tenere fuori dal visibile. E tramite il corpo della donna, strumento fondamentale per l’elaborazione politica della mistica virile, il governo decide di spostare oltre i confini cittadini e dei benpensanti, il desiderio bruto degli uomini e i corpi lussuriosi delle antimadri.
Rabbia e qualunquismo
L’urlo della Despentes nel saggio King Kong Theory giunge violento in tutte le pagine. Tuttavia, se da una parte risulta interessante e stimolante, tanto da indurre il lettore a riflessioni su questioni attuali, politiche, sociali e culturali, dall’altro la scrittrice pecca di rabbia e qualunquismo, perché se è vero che una società liberale non sopravvive senza regole e leggi che dovrebbero includere le scelte e le libertà di ogni individuo, è anche vero che non tutti seguono le leggi avventate e istintive della giungla come i gorilla, e in questo urlo che investe tutto e tutti, sembra che la Despentes abbia voluto épater le bourgeois.