In “A volte ritorno” di John Niven bisogna immaginarsi un Gesù che torna sulla Terra, più disinvolto e fuori dagli schemi; occorre dimenticare gli insegnamenti del catechismo. Un romanzo che mette il dito nelle piaghe del mondo, ma senza paternalismi o moralismi
Ci vuole fegato a scrivere un libro che parla di un ritorno del Cristo sulla terra. Ci vuole una bella dose di idiozia. E tanta, tanta ironia. Che a Niven, obiettivamente non manca. Molta della sua produzione letteraria ne è impregnata, questo è un suo innegabile tratto distintivo. Perché allora non imbastire una storia surreale, dove – ma che lo dico a fare? – ritroviamo tutte le dinamiche, i dialoghi, i personaggi tanto cari alla narrazione dell’autore scozzese. La forza di A volte ritorno (388 pagine, 13 euro), che assomiglia a un lotto volante, talvolta brillante, altre volte invece banale, non è tanto nel racconto in sé – nell’impalcatura di fondo il collegamento a Lui è tornato di Timur Vermes è quasi automatico -, quanto piuttosto nella figura del Nazareno. E nella scarnificazione del suo messaggio.
«Fate i bravi»
Dimentichiamoci – nel romanzo di Niven, edito da Einaudi, con la traduzione di Marco Rossari – il Gesù insegnato a catechismo, quello che porge l’altra guancia e fa miracoli a manetta. Il Messia che ci dipinge il buon Niven è di un’altra pasta: biondo come Cobain, carismatico come Jim Morrison, pacifista come Lennon. È un Cristo che non disdegna la ganja, che se capita si spara in vena un po’ di eroina. Che rimorchia donnine, che suona la chitarra manco fosse Hendrix. Insomma, il personaggio in questione, assolutamente fuori dagli schemi classici, è più vicino a un fricchettone degli anni ’60 che non al Salvatore misericordioso che ciascuno di noi ben conosce. In un mondo che collassa sotto il peso delle guerre e dei fondamentalismi religiosi, degli omicidi e della sete di potere, un Dio stralunato e festaiolo decide di rimandare il proprio figlio sulla terra per riportare un po’ di ordine e per rispolverare il suo unico e vero insegnamento: «Fate i bravi». Sì perché questo è il solo messaggio evangelico, altro che le sciocchezze dei dieci comandamenti furbescamente inventati da quell’arrogante di Mosè (Dio dixit). Come già duemila anni fa, anche questa volta, però, l’accoglienza non sarà delle migliori.
Il verbo dell’amore in tv
Rispetto all’America del XXI secolo, Sodoma e Gomorra sono posti da educande. L’Occidente è diventato un palcoscenico torbido di soldi e ambizioni, dove il paziente Gesù proverà a diffondere il verbo dell’amore, «per dare speranza a chi dispera». Ma senza moltiplicazioni dei pani e dei pesci e senza parabole, al massimo qualche assolo di chitarra e un paio di pacche sulle spalle, il tutto sotto i riflettori pruriginosi di un importante programma televisivo americano che lo trasformerà in una star.
Scalcagnati compagni di merende
La fama sarà allora il volano per riproporre, in chiave più contemporanea e compassata, una sorta di nuovo “Discorso della Montagna”, il cui nocciolo di fondo sarà quello del vivi e lascia vivere. Nient’altro. La sua evangelizzazione parte e finisce qui. Insieme a lui una compagnia di emarginati – una ex prostituta, ad esempio, persino un veterano della guerra del Vietnam. Con questi e altri scalcagnati compagni di merende, i nuovi Apostoli tra cui un novello Giuda, il Nazareno si rivelerà al mondo, ma il mondo, come sempre, risponderà con un sonoro calcio nel culo e un poderoso “vaffanculo, bello!”.
E se fosse vero?
Se qualcuno si aspetta un meta-messaggio rimarrà deluso. Non c’è una particolare dietrologia in quest’opera che pure mette il dito in tante piaghe del mondo moderno. Senza paternalismi e/o moralismi, però. Alla fine sembra quasi che la salvezza cui tutti si aspira sia proprio lì, dietro l’angolo, a portata di mano, purché si decida di vivere senza rompere troppo le scatole al prossimo. Affiora qualche leggerezza di troppo nella trattazione di alcuni temi, ma alla fine non si rimane delusi – il bene vince sempre, Satana se lo prende in quel posto! – e addirittura viene da domandarsi se in questa disincantata e atipica descrizione del Creatore, in fondo in fondo, non ci sia anche un briciolo di verità.
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