La dorsale appenninica dei piccoli borghi è una cicatrice amata dal poeta Franco Arminio e dall’ex leader dei CCCP, Giovanni Lindo Ferretti. Si muovono tra bellezze e incongruenze, ne “L’Italia profonda”, e vedono vita e salvezza dove altri vedono solo disperazione e solitudine
Partiamo dal nocciolo della questione, l’anima di questo pamphlet edito da Gog, L’Italia profonda (96 pagine, 9 euro), è bicefala: una poetica e l’altra filosofica. Facile individuare le sorgenti di queste due nature, la prima è riconducibile senza se e senza ma a Franco Arminio, il poeta-paesologo; la seconda a Giovanni Lindo Ferretti, ex front-man dei CCCP. Diversi per storia e provenienza, uguali invece – o quantomeno simili – nell’amore viscerale per il b-side dell’Italia, quella dorsale appenninica, cicatrice della penisola italica, sulla quale sono ospitati mille campanili, piccoli borghi, soffi di vita sempre più gracili.
Testimonianza ruvida di un’epoca
È L’Italia profonda, quella che non si racconta, quella che non si conosce, quella di cui in molti casi ci si vergogna. È l’Italia che langue, che neanche più resiste, quell’Italia che parla a noi e di noi, nonostante la nostra ostinazione a non volerla (più) ascoltare. È la testimonianza gretta e ruvida di un’epoca, di una cultura, di un mondo che i due autori tratteggiano con rispetto, con garbo, sottolineandone le incongruenze, le aberrazioni, ma rilanciandone, nel contempo, anche l’incredibile bellezza e quasi la potenza salvificanascosta in questi luoghi estranei ai classici circuiti. Del turismo e dell’anima. Tra le case che si sbriciolano, tra le strade aggredite dalle erbacce, dietro la morte che alberga in ogni vicolo, Arminio e Ferretti squadernano la loro impresa titanica che li spinge a vedere vita e salvezza là dove gli altri percepiscono semplicemente disperazione e solitudine.
Incanto quasi puerile
È uno sforzo ciclopico che si nutre del potere della pietra e del silenzio, ma anche di quella magia incontaminata che solo la semplicità e la schiettezza di certe realtà possono far conoscere. A questi angoli “ sfiatati e stanchi”, Arminio e Ferretti guardano con incanto quasi puerile e con atteggiamento profetico arrivano a innalzare la loro ode: “ Onore a chi sa gioire, onore a chi fa dentro un piccolo paese una grande vita, onore ai rivoluzionari senza cedimenti: sono loro che ci salveranno, quelli che non descrivono la luce, ma la danno”.
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