C’ è un mondo descritto con gli occhi di una bambina in “Planimetria di una famiglia felice” di Lia Piano. C’è una famiglia che non è normale, una domestica che parla clabrese stretto, il cane più mansueto del mondo, le memorie di un tempo spensierato in una Genova anni Settanta tutt’altro che spensierata…
Si può scrivere da adulti con la leggerezza incantata dell’infanzia? Se si può, Lia Piano ha trovato la ricetta e il romanzo edito da Bompiani che ne è uscito, Planimetria di una famiglia felice (160 pagine, 15 euro), è delizioso come una torta appena sfornata. Una dedica particolare, il disegno di una casa, e si entra dentro un mondo descritto con gli occhi di una bambina che assomiglia molto alla Lia Piano piccola, ma si muove in quell’universo parallelo fatto di parole e immaginazione che è la scrittura.
Noi non siamo «normali»
A Pippo, questo recita la dedica: a un cane, ma un cane speciale, unico come solo la casa di Genova dove la famiglia della protagonista arriva quando lei è piccola, deve ancora iniziare la scuola. Un padre che è un disegnatore e sognatore, una mamma che svolazza per la casa sui tacchi perdendo di continuo gli occhiali, un fratello adolescente, un altro un po’ più piccolo, balbuziente, e a completare il quadro una domestica che parla solo calabrese stretto, e che da sola vale la lettura. Ah, e poi altri cani, uno a testa, per non far litigare i ragazzi. Una famiglia che è tutto fuorché normale, ma non importa, perché è una famiglia felice.
Felice del resto è la scrittura di questa storia che ha gli occhi di una bambina e attraverso la prospettiva leggera e di volta in volta stupita, arrabbiata, offesa, racconta la casa e la sua famiglia con la spensieratezza dell’infanzia, senza secondi fini, senza malizie, solo con qualche broncio e piccola grande preoccupazione, come quella di scendere a scoprire una cripta nascosta senza farsi beccare dai genitori.
«Noi non siamo normali», penseranno un po’ tutti i personaggi del libro, tra incidenti domestici pazzeschi e persino un’invasione di galline, ma in fondo poco importa a un mondo che è perfetto così, nella sua bizzarria. Perché è una stranezza svagata, serena e felice, abbraccia la famiglia intera, cani e volatili inclusi. Come potrebbe non essere così in una grande casa antica attraversata dal vento di Genova dove si trova un mini-appartamento per criceti, con tanto di scale e passaggi da uno scaffale all’altro, e dove una visionaria mensola percorre muro per muro ogni stanza, assolvendo al compito di libreria, ma anche un po’ a quello di unire sulla linea delle storie un’intera famiglia, che stanza per stanza usa la mensola per i propri libri, dai romanzi e saggi degli adulti alle letture dei piccoli?
Nel giardino segreto di una casa felice
Ricordi stampati in testa, memorie vivide di un tempo spensierato, il tempo dell’infanzia, dei giochi e di quanto non si avevano ancora gli strumenti per capire tutto il mondo, eppure si capiva tutto lo stesso. E, magicamente, si riusciva a filtrare il mondo attraverso occhi vispi, curiosi e innocenti. Ecco quali sono le linee geometriche che disegnano la planimetria di questo romanzo di Lia Piano, e che permettono al lettore di entrare nel suo giardino segreto.
La protagonista e i fratelli hanno pochi amici, mal sopportati perché troppo “conformi” a un modo di vivere che dentro la magica casa sulle alture di Genova non troverebbe sede. Ad abitare ogni stanza è invece un incessante senso di stupore e divertimento, spensierato come le corse in giardino col cappello portabandiera e Pippo, il cane più mansueto del mondo che si lascia vestire, truccare, e che fedele e puntuale va a prendere i ragazzi a scuola come un vero maggiordomo.
Si sorride tanto, tra le pagine di Lia Piano, con sciarpe che scappano insieme al vento e discorsi a tavola che fanno girotondi per soccorrere la balbuzie, tra Genova che appare improvvisa dal mare e un sogno fatto di vele al vento e libertà. Perché se i genitori girovaghi e un po’ svagati sono reduci da viaggi in mezza Europa, se i ragazzi ne combinano di ogni cercando di orientarsi in un mondo che fuori da casa sembra piuttosto complicato, nel seminterrato c’è però un progetto solido che prende vita: una barca da costruire. Trinitrina, l’elogio alla famiglia e il titolo mancato del romanzo.
Trinitrina è pronta a salpare
Nel mondo incantato della villa la realtà esterna non ha diritto di residenza e, viceversa, «da fuori, casa nostra non si capiva». È però certo, da qualche riferimento inserito qua e là nella narrazione, che la Genova dello sfondo è quella della fine degli anni Settanta: il tramonto ha il colore della colata dell’Italsider, le Brigate Rosse si aggirano per la città, è stato approvato il referendum per il divorzio e Aldo Moro è stato rapito.
Anni movimentati, che tuttavia restano sullo sfondo, distanti da un universo di bambini e da una famiglia che sembra non curarsene, assorta com’è in una dimensione di fantasia e meraviglia che non vorrebbe finire mai, fragile e assoluta come solo l’infanzia e i suoi giochi, le sue fantasie, i suoi piccoli-grandi dilemmi. Ma il dilemma più grande, in senso concreto, sarà quello che riguarda Trinitrina, che anno dopo anno prende forma nel seminterrato, pronta a varcare la soglia di casa e scivolare giù nell’azzurro mare di Genova. Se non fosse che all’improvviso la planimetria va a cozzare con l’estrosità di ogni personaggio e… No, il finale non si svela: è troppo bello, merita di essere gustato!
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