L’essenziale “Uomini e topi” di John Steinbeck non ha fronzoli né divagazioni. I due protagonisti George e Lennie si sostengono e riempiono i rispettivi vuoti, fino al finale non banale ma quasi incomprensibile
Uomini e topi (139 pagine, 12 euro) di John Steinbeck, tradotto da Michele Mari, edito da Bompiani, è un testo essenziale. Costruito come una piece teatrale, non ha fronzoli nè inutili divagazioni. Se dovessi usare una metafora, penserei a un fiume che per buona parte del suo tragitto scorre lento e costante, ma poi, d’improvviso, le sue acque si ingrossano, diventano torbide e il suo fluire placido si trasforma in una piena. Così è questo libro.
L’amicizia di due braccianti
Nelle prime ottanta pagine non succede nulla. Le vicende di George e del suo amico Lennie non fanno palpitare il cuore. Sono solo due braccianti che cercano di raggranellare un discreta sommetta che gli consenta di mettersi in proprio per acquistare un po’ di terra e allevare qualche animale. Il loro è il sogno semplice e scontato di tantissimi altri lavoratori bisognosi di una speranza per tirare avanti e accettare una vita dura e spietata. A distinguerli dagli altri è piuttosto il loro inconsueto incastro: George è un tipetto furbo che sa come muoversi, mentre Lennie è solo un omone ritardato, che si comporta come un bambino e che vive facendo ciò che gli impartisce George, il suo unico e vero amico. Insieme si sostengono a vicenda, riempiendo i rispettivi vuoti e, in qualche modo, facendosi coraggio l’uno con l’altro.
Epilogo spiazzante, valore aggiunto
Interverrà un evento a interrompere bruscamente la loro amicizia e, in tutta franchezza, occorre riconoscere quanto l’epilogo del libro segua una logica non del tutto chiara. Forse è proprio questo l’elemento più spiazzante che conferisce all’opera di Steinbeck un valore aggiunto: una fine non banale, incomprensibile. Le pagine, come il fiume di cui si diceva, deviano il loro corso. Gli argini si spaccano e il lettore ne viene quasi sommerso, mentre una ultima domanda gli rimane appigliata in bocca: è l’affetto sincero che ha vinto, oppure no?
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