La poetica di Patrignanelli? Marginalità e caso

Con una prosa sorvegliata e sicura, Serena Patrignanelli ci consegna una storia in cui piccoli agenti – i ragazzini di un quartiere – si fanno portavoce di sentimenti e ragionamenti ben più grandi di loro. Il suo “La fine dell’estate” è un microcosmo letterario dove tutto acquista un valore inossidabile. Chi lo legge potrà provare l’ebbrezza di specchiarsi, guardandosi attraverso il filtro di eroi ed antieroi imberbi…

La fine dell’estate (352 pagine, 18 euro) è un romanzo insolito, perché riesce a raccontare un’intera storia servendosi di pochissimi personaggi adulti e calandosi completamente nell’immaginario fatto di immediatezza e fugacità che caratterizza di solito i bambini e i ragazzi agli albori dell’adolescenza. Senza voler somigliare ad alcuni dei classici più conosciuti tra quelli che fanno dell’infanzia il loro paradigma – come Peter Pan, Il signore delle mosche, o ancora il più recente L’isola dei liombruni (che hanno tutti in comune il fatto di gravitare attorno all’archetipo dell’isola) – La fine dell’estate di Serena Patrignanelli (pubblicato da NN Editore e menzione speciale del Premio Calvino nel 2017) ha la capacità non indifferente di creare un universo a sè stante e perfettamente autonomo, con le sue coordinate, i suoi miti e i suoi pericoli, senza che per questo si debbano dare ai luoghi nomi più precisi di “il Quartiere”, “il pratone”, “la marrana”, “la Principale”, “la Quercia”, “l’acquedotto”.

Autogestione giovanile

In quest’area dai confini sfumati tra il reale e il non definito, che ricorda un po’ quelle mappe dei pirati bidimensionali ma dove ogni segno e ogni simbolo vogliono dire proprio quella cosa, la banda di ragazzini del Quartiere affronta la guerra a modo suo, abituandosi prima all’interruzione della scuola, poi alla partenza dei padri e degli uomini adulti, chiamati alle armi, e in seguito alla graduale chiusura di tutti i negozi, alla sparizione della benzina, e pian piano anche di quasi tutti i generi alimentari. In una estate che si dilata a dismisura, resa irripetibile dal clima di precarietà creato dagli aerei militari che sorvolano la zona e dallo svuotarsi implacabile di abitazione dopo abitazione, strada dopo strada, il controllo esercitato da madri, zie e vicine di casa diventa sempre più blando, sempre più flebile, sino a lasciare il campo a una specie di autogestione giovanile.

Ai margini dell’abitato

Emergono i caratteri complementari dei due migliori amici Augusto e Pietro, cui fanno da contraltare i due personaggi femminili Virginia (in qualità di ombra) e Semiramide (in qualità di luce). Ci sono poi Michele, il capobranco dei ragazzini, e Giulietto, il gregario del gruppo.

Degli adulti appaiono e scompaiono il grottesco Ottavio, che si è nascosto in un’officina abbandonata per non dover andare al fronte, e Cleopatra e Sorchelettrica, due delle “bucione”, donne che come tante altre si mantengono vendendo il loro amore a uomini occasionali e che vivono nelle baracche di mattoni laggiù, in fondo al pratone, «ai margini dell’abitato: un’area selvaggia chiusa tra le ultime case e le mura dell’acquedotto. Vicino alla strada l’erba era più bassa, nappola, trifogli, cespugli rosa di acetosella, ma verso l’acquedotto si faceva più alta, c’erano macchie gialle di ferula, forasacchi e distese di spighe spontanee che si attorcigliavano alle caviglie, e che più avanti ancora si mescolavano in grovigli confusi, dove si nascondevano l’edera e l’ortica».

Una carcassa d’auto e un mistero

Il ragazzino Augusto, pacato, lento, riflessivo, profondo, e il suo grande amico Pietro, brillante e fortunato, trovano nascosta dalle erbe la carcassa di una macchina, una Millecento: se riusciranno a ripararla alla vecchia officina, potranno utilizzarla per trasportare in giro le cose che servono, portare cibo e beni primari avanti e indietro al mercato nero, guadagnare accompagnando le persone dove desiderano, e poi sopratutto potranno partirsene, viaggiare, andare via.

Attorno a questo ritrovamento gira tutta una storia familiare di cui il lettore e i due ragazzini intravedono faticosamente i dettagli, un mistero un po’ tremendo e molto umano che lega tra di loro alcuni dei personaggi principali e che Augusto e Pietro, un passo alla volta, si accingono a sciogliere.

Un profondo senso di rispondenza

Come ulteriore elemento di movimentazione del meccanismo narrativo, si inserisce l’arrivo al Quartiere della ragazzina Semiramide con la sua sorellina minore, ospitate in casa della zia essendo rimaste senza padre. Semiramide è enigmatica, lunare, acuta, rassicurante e saggia come un adulto, e molto desiderabile. Sa sempre cosa si deve fare e per certi versi somiglia ad Augusto, il quale sente infatti nascere un profondo senso di rispondenza: «Augusto guardò la foto, poi guardò Semiramide, e gli sembrò di vedere cose nuove del suo volto, cose che prima non era stato in grado di vedere. Lei gli passò la terza foto, poi la quarta, la quinta, e così via: le immagini di Semiramide si moltiplicavano, al passato e al futuro, Semiramide bambina che imita un passo di danza, Semiramide come sarebbe diventata da grande, com’era la madre nei ritratti d’estate, con le braccia scoperte, Semiramide al presente, che gli passava le foto e gli stava accanto».

È possibile che l’effetto che la ragazzina provoca si infili nell’amicizia tra Augusto e Pietro? Semiramide nasconde un segreto e una personalità più sfaccettata di quanto non immagini il limpido Augusto: ha in sé lo stesso magnetismo, la stessa punta di follia di Pietro, un impulso libertario che trascende il dovere.

Poetica dell’indeterminatezza

Con una prosa sorvegliata e sicura, che sembra monocorde ma che è in realtà in grado di assorbire le molte sfumature del reale, Serena Patrignanelli ci consegna una storia emblematica, autodeterminata, in cui piccoli agenti si fanno portavoce di sentimenti e ragionamenti ben più grandi di loro. Un romanzo che gioca sul felice contrasto tra il sapore mitico di un dove e un quando non specificati e la netta percezione, da parte del lettore, che la narrazione sappia benissimo dove sta andando. La fine dell’estate (ne abbiamo scritto anche qui) è un microcosmo letterario coeso e senza troppi chiaroscuri, ma dove tutto acquista un valore inossidabile, e dove un lettore adulto potrà provare l’ebbrezza di specchiarsi, guardandosi attraverso il filtro di eroi ed antieroi ancora imberbi, per discendere su un terreno che fa della marginalità, dell’indeterminatezza e del caso la sua poetica.

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