Sono tornati in libreria due romanzi – “Il Sempione strizza l’occhio al Frejus” e “Le donne di Messina” – dello scrittore siracusano, tra i protagonisti del travaglio culturale italiano del XX secolo. Il curatore Giuseppe Lupo: “Vittorini non è datato, è anomalo e impegnato. C’era una progettualità civile dietro i suoi interventi. Oggi non c’è in giro nessuno come lui”
Elio Vittorini è morto, viva Elio Vittorini. Era un re lo scrittore siracusano, scomparso a Milano, a 58 anni non compiuti, potente deus ex machina editoriale, responsabile di collane e riviste, traduttore, protagonista del travaglio culturale italiano del XX secolo, eppure negli ultimi decenni avvolto dalla memoria corta del mondo delle lettere, ridimensionato. I suoi eredi hanno avviato un fruttuoso progetto con la casa editrice Bompiani, che rilancia le nuove edizioni tascabili di due suoi romanzi, Il Sempione strizza l’occhio al Frejus (125 pagine, 10 euro) e Le donne di Messina (366 pagine, 14 euro). Entrambi sono curati e introdotti, con sguardo originale, dal lucano Giuseppe Lupo, docente universitario, saggista e romanziere, che si è già occupato della curatela di altri libri di Vittorini, a cui ha dedicato un volume monografico.
Qualcosa di ambiguo e indecifrabile
«Se e cosa Vittorini ha da dire oggi? Tanto. Si continua a pubblicare – sottolinea Lupo – e a studiare. Il segreto, per far rivivere certi autori, è cercare nuove e inconsuete chiavi di lettura. Ci dice ancora molto perché, fra i pochissimi del Novecento italiano, ha voluto capire quella cosa ambigua e indecifrabile che è la modernità. Con essa i nostri scrittori hanno avuto rapporti controversi, entusiasmo da parte di pochi, penso ai futuristi, avversione e rifiuto dai più, che magari rimpiangevano natura e civiltà contadina. Vittorini non stava da una parte e dall’altra, ha cercato di capire, fin da giovane, abbandonando la Sicilia, ai suoi occhi una civiltà pre-moderna, e arrivando a Milano, punta estrema delle manifestazioni che potevano dirgli cosa fosse la modernità. È il più antisiciliano degli scrittori siciliani, ma la sua testimonianza non è datata, i suoi sono libri interessanti, anomali». A questa schiera appartengono Il Sempione strizza l’occhio al Frejus e Le donne di Messina, che riletti a oltre settant’anni dalla prima apparizione potrebbero sorprendere vecchi e nuovi lettori.
La dimensione civile oltre le storie
«Chi, come Vittorini – osserva Lupo – s’era formato nella redazione di Solaria, affrontava le grandi questioni, più che andar dietro a trame narrativamente forti. La sua prosa è lirica, introspettiva, abbastanza americana, impregnata dalle sue traduzioni di Steinbeck, Hemingway e Faulkner. Non è fine a se stessa, ha una chiave etica. Per lui la letteratura non era raccontare storie, aveva una dimensione civile, era un termometro delle trasformazioni, doveva aiutare a capire un’epoca». Esemplare, in tal senso, «Il Sempione strizza l’occhio al Frejus» – protagonista una famiglia nella periferia milanese del secondo dopoguerra – dove la civiltà pre-moderna dei padri si confronta con quella dei figli. «Vittorini – fa notare il curatore del volume – inquadra bene il confine tra mondo agricolo e industriale». Romanzo nel romanzo è il ravvedimento che portò Vittorini a rimettere mano a Le donne di Messina, edito nel 1949, rivisto e ripubblicato nel 1964. «Il libro – commenta Giuseppe Lupo – nasce dall’idea che gli uomini possano trovare la via della felicità isolati e autosufficienti, in un villaggio appenninico. Nel lungo dopoguerra la modernità irrompe prepotentemente e Vittorini cambia idea, intervenendo sul testo. Quella separazione dal resto della società, legata a un’economia agricola e di sussistenza, porta alla povertà, alla mancanza di confronto con la storia. Più che scappare in campagna, è necessario fare i conti con la città».
Nessun erede
Difficile, oggi, inquadrare successori di Vittorini. «Non ne vedo – riflette Lupo – non ci sono organizzatori culturali a trecentosessanta gradi. Raffaele Crovi, suo allievo al Menabò, aveva un approccio vittoriniano, non nei libri scritti, ma nel lavoro editoriale. Adesso non manca l’impegno civile. Penso a Michela Murgia, Alessandro Leogrande, Angelo Ferracuti, autori impegnati, le cui denunce sono però legate a cronaca e contingenza dei fatti, non vedo una progettualità complessiva». Non ci sono nuovi Vittorini, e allora sarà il caso di dar fiducia… all’originale. (Questo articolo è stato precedentemente pubblicato sul Giornale di Sicilia)
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