Con “La lavoratrice” la spagnola Elvira Navarro insegue fino in fondo alcune delle domande essenziali della nostra contemporaneità e punta l’attenzione sulla precarietà, sull’instabilità mentale e sul rapporto tra individuo e una metropoli ipertrofica, tentacolare, notturna, in un romanzo specchio dei tempi
«Dopo lo stage misi insieme tre contratti a tempo determinato, e poi tutto precipitò.»
Non è il vero incipit, eppure raccoglie e concentra l’atmosfera del libro sottolineandone il tema centrale, cioè il lavoro e come esso si riverbera sulla persona. Ci rivela anche che a parlare è un “io”, un narratore in prima persona. E, senza lasciare spazio alla sorpresa, questa frase ci dice anche come va a finire: «tutto precipitò».
Si può costruire un romanzo sulla quieta e lucida attestazione del disfacimento?
Un dialogo a due voci sovrapposte
La lavoratrice (qui è possibile leggere le prime pagine), prima opera tradotta in Italia (da Sara Papini) di Elvira Navarro, scrittrice tra le avanguardie letterarie del suo Paese, la Spagna, è un’operazione narrativa audace: nel nostro Paese la pubblica la casa editrice LiberAria. Giocando sull’alternanza di due soli personaggi, entrambi femminili, l’autrice crea un dialogo a due voci che pur essendo distinte arrivano a sovrapporsi e confondersi, complici la convivenza coatta delle protagoniste e la scrittura creativa.
Elisa, giovane redattrice editoriale che è in realtà anche autrice – ha scritto un solo romanzo, e un racconto apparso su una rivista letteraria – viene a contatto con le stranezze di Susana, più grande di lei e di carattere inverso, accettandola in casa come coinquilina per ovviare alle difficoltà economiche che le impediscono di potersi permettere un appartamento da sola.
Sono proprio la stranezza di Susana, il suo essere completamente fuori dagli schemi, le storie folli che racconta e quel che al contrario non vuole rivelare a riaccendere in Elisa l’impulso della scrittura: trasporre in forma narrativa la vicenda grottesca degli amori malati di Susana diventa per Elisa una forte impellenza.
Quel senso di dissonanza
Il racconto che ne risulta, per il gioco di tessitura narrativa di cui Navarro è capace, è quello che apre La lavoratrice: una parentesi disomogenea rispetto al resto del romanzo, in grado di creare immediatamente quel senso di dissonanza, di esasperazione e di straniamento che trova il suo momento più alto nelle pagine dedicate a Madrid e nei passaggi in cui Elisa e Susana si confrontano con i loro problemi psicologici.
«Me ne andai invece al ponte del Viaducto e da lì osservai i colori del tramonto, con i pipistrelli che sbattevano le ali intorno ai lampioni. Trascorsi così tutto il mese di luglio. Non avevano ancora messo le protezioni anti suicidio e la gente si buttava», dice Susana nel racconto di Elisa, rispetto al periodo peggiore della sua depressione. E poi: «A quel tempo ero già passata dal risperidone al litio: la mia classificazione era cambiata da schizofrenica a bipolare. Il litio ha meno effetti collaterali e mi permetteva di seguire una conversazione».
Susana «Non era come l’avevo desiderata, piccolina e rotonda simile a una madre spagnola, ma un tipo nordico: alta, bionda, equina, con la pelle di un colore che ricordava quello della seta grezza». È più in là con gli anni di quel che sembra – ne ha 44 –, a Utrecht ha lavorato come assistente in un asilo, cameriera, insegnante privata di spagnolo, custode, baby-sitter e sguattera in cucina. È ossessionata dal mondo della cultura e dagli argomenti culturali, e ha un fidanzato a distanza che tiene sempre in linea su Skype e che la guarda come un feticcio dall’angolo sinistro dello schermo del Notebook.
Oltre a ciò si tiene impegnata ritagliando compulsivamente da riviste figurine di edifici, alberi, persone, automobili, tutti minuscoli, che cataloga e incolla in un visionario e meticoloso progetto di rimappatura della città, di cui stravolge prospettive e skyline seguendo una personale distorta geografia.
Un paradosso con numerosi controsensi
Per Elisa, che è una ragazza di cultura e di buoni studi che la vita ha portato in una direzione un po’ diversa di quella che immaginava, Susana rappresenta un fastidio, un’invasione di spazio, ma anche uno strano soggetto da studiare: per assurdo e nonostante tutti i suoi evidenti problemi, Susana col suo lavoro da centralinista di call center «riceveva puntualmente lo stipendio, e a partire dalle cinque del pomeriggio non doveva più occuparsi di nulla, mentre io combattevo con le bozze dei libri fino alle otto, e vivevo in attesa che mi pagassero».
Elisa rappresenta un po’ un paradosso, accoglie in sé numerosi controsensi. È una ragazza che si aspettava molto dal proprio futuro, a cui si è preparata con master e soggiorni all’estero. Ha scritto un libro, che poteva essere un inizio di un percorso ma non lo è stato. Lavora come redattrice in un grosso gruppo editoriale madrileno, nel settore culturale che per molti è simbolo di “riuscita“, ma incappa nella crisi. All’inizio, quando le cose vanno bene, è in ufficio, è competitiva con i compagni di scrivania, e vedrebbe come un sollievo il correggere da casa. Poi viene retrocessa a collaboratrice esterna, con conseguente riduzione di stipendio, ritardi nei pagamenti e problemi ad arrivare a fine mese.
«I professori dell’università e i saggisti, e anche alcuni scrittori di narrativa, erano abituati al fatto che altri svolgessero il lavoro sporco, e la casa editrice aveva deciso che quel lavoro spettasse al correttore esterno, le cui ore nessuno contabilizzava, nemmeno il correttore stesso»
Nel vortice dell’alienazione
Il lavoro massacrante e ripetitivo sprofonda Elisa nel vortice dell’alienazione, dal quale a seconda dello stato psicologico in cui è si lascia trascinare o tenta di emergere, combattendolo con peregrinazioni notturne nella smisurata periferia di Madrid o con lo sport: «Quell’overdose di caffeina e nicotina non giovava alla mia crescente debolezza psicologica e qualche sera, per contrastare l’eccitazione, andavo a correre. Quando optavo per lo sport indossavo una tuta che mi stava grande e correvo per un’ora».
La lingua di Navarro è precisa e geometrica, senza fronzoli, ma sa regalare squarci descrittivi quasi visionari, che hanno il potere di restituire immagini prima innominabili, in passaggi come ad esempio «La città rimaneva più o meno uguale, col suo aspetto di caos ordinato, di ecatombe tollerata», oppure «Quella vista mi faceva venir voglia di cercare in Internet i quadri di Antonio López, quei quadri con la loro esattezza delirante, di caglio gettato sull’esistenza».
Narratori inaffidabili
Il libro si regge sui narratori inaffidabili, motivo per cui è difficile affezionarsi, ma credo sia in ogni caso più facile identificarsi con Elisa e con la mentalità di Elisa, perchè nonostante gli attacchi d’ansia e i problemi depressivi dà l’impressione di una persona intelligente, in grado di capire e di esprimersi, con un mondo interiore e una rete di riferimenti culturali che spaziano dalla letteratura, all’arte, all’urbanistica. Quando Elisa è lucida è determinata, sembra sapere quanto vale. Susana invece è inconcludente, aliena, più ossessiva, più fragile, morbosa, più statica, già sconfitta.
Pur consapevole di tutti questi difetti Elisa sente come una spinta verso Susana, e la esprime prima decidendo di raccontarne la storia, poi letteralmente costringendola a dare valore alle sue stesse mappe, le opere-collage che Susana compone incollando figurine ritagliate: Elisa, in un impeto di iperattività, la spinge e la accompagna in un giro di tutte le gallerie d’arte di Madrid perché qualcuno riconosca l’originalità delle sue mappe, e le organizza addirittura un’esposizione.
Cerchio chiuso provvisoriamente
Per questo atto disinteressato, oltre ai motivi sopra elencati, per il personaggio di Elisa è facile nutrire una sorta di rispetto, riconfermato anche dalla scena in cui Elisa affronta, in una specie di giorno del giudizio, la sua capa negli uffici del gruppo editoriale.
Dopo aver confuso le idee del lettore e averne ridefinito il concetto stesso di percezione, dopo averlo accompagnato lungo il duetto di voci così simili da disorientare, La lavoratrice chiude provvisoriamente il cerchio, spiegando infine il motivo del disturbante racconto in apertura. Poi spiazza di nuovo, e non risponde all’ultimo quesito: la scrittura può essere considerata una “cura“ per la depressione/alienazione, o il decorso stesso di queste condizioni esistenziali è pura materia narrabile?
È possibile acquistare questo volume in libreria o a questo link