“Memorie di una donna medico” è il libro mitico dell’egiziana Nawal Al-Sadawi, 86 anni, tra le più influenti scrittrici femministe del mondo arabo. Il diario di una sposa bambina, mutilata ai genitali, disprezzata, considerata una merce, che si riscatta studiando e infine esercitando la professione di medico. Una lezione, tra dolore, speranza e rabbia
«Sono entrata in conflitto con la mia femminilità molto presto, prima ancora di diventare donna, prima ancora di scoprire qualcosa su di me, sul mio sesso e sulle mie origini; quando ancora non conoscevo il nome della cavità che mi aveva contenuta prima che fossi espulsa in questo immenso mondo».
Un incipit fulminante. Poche frasi capaci di spalancare il sipario sul mondo arabo e riaprire la ferita di rabbia e dolore di un universo, quello femminile, mutilato dalle politiche maschiliste e misogine di cui fa parte Nawal Al-Sadawi. Memorie di una donna medico (106 pagine, 14 euro), tradotto da Stefania Dell’Anna, edito da Fandango Libri, è il diario personale di Nawal Al-Sadawi, Diary of a Child Called Souad, scritto a soli 13 anni quando ancora non possedeva gli strumenti per considerare quel carnet di pensieri intimi, riflessioni di una condizione ostile alla sua natura di donna e a una società avversa all’idea di emancipazione o, ancor meno, di diritti e libertà della donna.
Il cambiamento sulla propria pelle
Nawal Al-Sadawi oggi, alla veneranda età di 86 anni, è considerata fra le più influenti scrittrici femministe del mondo arabo. Ha pubblicato più di 50 libri, tradotti in più di 20 lingue diverse; ancora troppo pochi quelli tradotti in italiano. Nata in un paesino rurale a nord del Cairo e secondogenita di nove figli, Nawal ha pagato sulla propria pelle l’idea di cambiamento e lotta di cui si è fatta portavoce, prima per sé stessa, poi per le donne del suo popolo. E, forse, non solo per quelle.
Cresciuta in una tipica famiglia egiziana, musulmana e iper-conservatrice, una giovane Nawal vive le prime discriminazioni all’interno del suo nucleo familiare, quelle che le proibiscono atteggiamenti e autonomia delle scelte, quelle che le impartiscono regole e la spingono a considerarsi prima che individuo (conclusione alla quale giungerà da sola), un essere atto a procreare, una moglie; contrariamente a quelle libertà elargite al fratello, il quale diventa per lei, fin da subito, lo specchio di una diversità esistenziale tangibile con cui confrontarsi e convivere.
Odiare d’essere donna
L’impossibilità di comprendere i motivi di tali differenze di approcci, educativi e linguistici, tra lei e il fratello la inducono a odiare la propria natura di donna: le donne non possono far rumore mentre mangiano, gli uomini invece sì; le donne non devono portare i capelli sciolti sulle spalle; alle donne è vietato mostrare il proprio corpo, tuniche lunghe e spalle coperte, dunque. Le donne sono costrette a sanguinare ogni trenta giorni perché impuro è il loro corpo. Alle donne è proibito provare piacere durante l’atto sessuale. Per la donna infatti, fare l’amore equivale a compiere un peccato. La donna deve restare a casa a badare ai figli e al marito.
Nawal a soli dieci anni viene promessa in sposa a un uomo molto più grande di lei e, come racconta nel suo libro, a quella stessa età le vengono mutilati i genitali sotto lo sguardo straziato della madre. Comprende che le proibizioni vissute nella sua famiglia riflettono il pensiero di un popolo che considera la donna una merce di scambio tra famiglie, un mezzo. La donna è un fardello di pelle senza nervi che appartiene alla sfera pubblica, all’uomo. Vergine e sposa: così deve essere il destino della figlia femmina.
Il seme della disobbedienza
Il seme della disubbidienza a quelle regole imposte inizialmente diventa per Nawal Al-Sadawi motivo di odio verso se stessa: «Ho pianto per la mia femminilità prima ancora di conoscerla», poi di slancio coraggioso alla conquista di una emancipazione che le viene negata. Studierà per diventare medico, un lavoro svolto principalmente da uomini per dimostrare che anche le donne possono farlo. Riscatto sociale e personale diventano i parametri per intraprendere un cammino di lotta e perdono, una ricerca di amore. Assoluzione per tutti gli orrori patiti dalle donne? Forse è possibile, non senza lottare. Dunque, quel destino che sembrava segnato e che un tempo ruotava intorno alla parola Hchouma – vergogna – si trasforma per Nawal Al-Sadawi in una storia differente, di lotta ma anche di speranza.
Perché il corpo femminile non sia un’onta
La speranza diventa un mezzo di potere, un atto politico. Dedicherà la sua vita cercando di spezzare quella congiunzione fra sessualità femminile e politica maschilista, sessualità e religione, aborto, abusi all’infanzia, mutilazioni fisiche, psicologiche che le donne sono costrette a subire. Lottare affinché niente di ciò che ha vissuto posso accadere, ancora. Si batterà affinché il corpo della donna non venga considerato un’onta, un Hchouma, qualcosa per cui provare vergogna; affinché la donna non debba sentirsi sbagliata, umiliata, costretta ad accettare, obbligata a non opporsi, ridotta a non pensare. Nawal Al-Sadawi divorzierà dai suoi due mariti che non accettavano la sua carriera di medico e disprezzavano l’idea che una donna potesse ambire a posizioni diverse da quelle di moglie. Memorie di una donna medico di Nawal Al-Sadawi con una scrittura incalzante trascina il lettore in questa corrente dal letto roccioso. È un libro che apre a riflessioni di rabbia e speranza e induce a pensare che in qualunque Paese non liberato dal fondamentalismo religioso, dallo sfruttamento di classe, dai retaggi osceni, dalle visioni limitate e per lo più accusatorie, le donne non sono libere esattamente come gli uomini e finché la cultura non sarà liberata, il pensiero sarà schiavo.
È possibile acquistare questo volume in libreria o a questo link