Malù, archeologa-detective de “L’ultima mano di Burraco”, riesce a ottenere un autografo dal papà di Montalbano. Il romanzo di Serena Venditto è un giallo che ha come vittima un docente universitario. L’autrice: “Camilleri ha reso centrale un genere considerato di serie B, dandogli un linguaggio peculiare”
Per l’autografo non c’è più tempo. Serena Venditto, giovane giallista, avrebbe voluto chiedere “una dedica, maestro?” incontrando Andrea Camilleri alcuni anni fa alla Fiera del Libro a Roma. Non ci saranno altre occasioni, tranne quelle offerte dal potere della fantasia. Dalla magia della scrittura: «Purtroppo – afferma l’autrice – quel giorno non era previsto il firmacopie, lui era già molto anziano. Così, ho inventato che l’impresa nell’incontro con il suo mito letterario sia riuscita a Malù, la protagonista del mio nuovo romanzo».
La dedica virtuale
S’intitola L’ultima mano di Burraco (224 pagine, 18,50 euro) ed è edita da Mondadori l’ultima, leggibilissima, fatica della scrittrice campana e questo è il racconto della sospirata dedica a Malù: «Il Camilleri autografato! Due ore di fila … Malù si era portata “La forma dell’acqua”, il suo preferito … Appena se l’era ritrovato davanti, gli aveva detto tra le lacrime: Maestro, le voglio bene. Grazie per tutto quello che ha fatto per me. E non solo il maestro le aveva scritto una dedica commovente, ma l’aveva anche abbracciata. Quella copia de “La forma dell’acqua” era adesso custodita dentro una scatola trasparente di plexiglas, una installazione a metà fra il reliquiario e l’edicola votiva”.
I figli spirituali
Nel Bel Paese, il nostro, almeno due generazioni di scrittori devono a Camilleri eterna gratitudine. Quasi fosse un papà di penna. Serena Venditto spiega perché: «Lui, con il suo Montalbano, ha rilanciato un genere che in Italia era considerato di serie B. Durante il fascismo, il giallo era stato messo a tacere. Poi, finita la guerra, ha fatto fatica a riaffermarsi rimanendo relegato alla condizione di lettura di consumo senza qualità. E questo nonostante il fatto che uno dei più grandi lavori della letteratura italiana del ‘900 sia un giallo storico, ovvero Il Nome della Rosa di Umberto Eco. Camilleri, quindi, è riuscito a restituire centralità a questo genere dandogli, peraltro, un linguaggio peculiare, riconoscibilissimo».
Il “camillerese”
Il linguaggio, appunto. L’ultima mano di burraco, come le altre opere di Serena Venditto, non è forgiata nel dialetto. Difficile, rischioso, avventurarsi nei sentieri di “papà”, anche se quei percorsi sono carichi di fascino e di suggestioni: «Camilleri – sottolinea la scrittrice – ha ripreso l’eredità di Gadda (autore di Quer Pasticciaccio brutto di via Merulana, ndr) e l’ha rielaborata a modo suo. L’ha fatto in modo assolutamente geniale con una lingua che, pur essendo il siciliano di sua nonna, è comprensibilissima. Lo è certamente per noi meridionali, eppure i suoi libri sono molto amati anche altrove. Anche all’estero. Perché leggere quelle pagine significa sentire i profumi e il calore di quelle terre, il rumore del mare, accarezzare il paesaggio siciliano».
Il libro
Malgrado l’omaggio al maestro e la presenza di un pianista giapponese – Kobe – che nel libro si sforza di parlare italiano ma fa ridere come Catarella, L’ultima mano di Burraco è un libro originalissimo ambientato in una Napoli multietnica e coloratissima. Qui si muove l’archeologa-detective Malù che assieme al suo sgangherato team, composto pure da un gatto, collabora con la Polizia nell’inchiesta su un omicidio. La vittima è Temistocle Serra, docente universitario di Teoria dei Giochi e delle Decisioni, che affida la soluzione del caso a una combinazione di carte. Tragico epilogo di una sfida familiare in un salotto della “Partenope-bene”