Ne “Il confine” Don Winslow continua la saga di Arturo Art Keller: contesti ricchissimi e miserrimi, un brulicare di punti di vista e di contrastanti impatti emozionali, narrati con dura maestria. Per comprendere qualcosa di spacciatori e tossici, di cartelli della droga, di armi e del denaro sporco nei santuari della finanza
Messico e Usa, tutti gli 81 stati (circa). Aprile 2017. A Washington Arturo Art Keller ha appena testimoniato vicende illegali e legali di quarantadue anni di narcotraffico fra Stati Uniti americani e Stati Uniti messicani di fronte al sottocomitato del Senato, presieduto dal vecchio amico Ben O’ Brien, per indagare sul vischioso affare Towergate che coinvolge pure il nuovo presidente americano. Ha raccontato e provato proprio tutto, ragioni e strategie della cosiddetta guerra alla droga, i propri crimini e i propri errori, la vicenda che compromette Ben, l’altra che mette di mezzo il presidente. Finisce esausto, dopo ore. Schiva tutti i microfoni e fa una passeggiata con Marisol lungo il National Mall, nel parco accanto al memoriale dedicato ai veterani del Vietnam, come lui. Un cecchino è in attesa per ucciderlo, prescelto da potenti americani e formalmente ingaggiato dai residui narcotrafficanti messicani. Lui vorrebbe finalmente tornare a casa ma la guerra lo ha seguito e ha ancora bisogno del suo sangue.
Dopo i primi due capitoli
Art SonoSempreSolo Keller era nato nel 1950, intelligente cattolico cresciuto in un barrio californiano, padre bianco, madre messicana bella come il figlio, zazzera scura, naso prominente, Operazione Condor in Vietnam, poi agente DEA, una moglie alta magra occhi verdi bionda progressista, due bravi figli, dai quali si è presto allontanato per dedicare vita e carriera a combattere la droga. Il primo capitolo (1975-2004) lo abbiamo letto nel 2005 grazie a Il potere del cane, il secondo (2004-2012) nel 2015 grazie a Il cartello, il terzo (2012-2017) lo ripercorriamo ora, mentre il cecchino spara e uccide. Inizia a novembre 2012 quando ha successo la trappola ordita da Keller e segretamente dal governo americano per uccidere i capi dei due principali cartelli, l’odiato Adán Barrera compreso.
Ineccepibile documentazione
Non aggiungo altro. Ennesimo imperdibile capolavoro, questo Il confine (922 pagine, 22 euro), tradotto da Alfredo Colitto ed edito da Einaudi, per Don Winslow (New York, 1953), californiano da decenni, il migliore scrittore americano dell’ultimo quarto di secolo. Ritroviamo tutti e quattro i protagonisti del primo capitolo, anche Sean e Nora (nel secondo solo evocati), ovviamente Art e Adán (nel terzo è il suo spirito ad aver vinto e continuare a vivere). Ineccepibile la documentazione di saggi e cronache su cui è fondata l’opera dell’autore. Emergono anche fondate ipotesi sulla strage dei 43 studenti del 26 settembre 2014 a Ayotzinapa, collocate nell’avvincente trama fiction. E troviamo pure Trump interpretato magnificamente dal magnate immobiliare e star dei reality show John Dennison, grande investitore nell’odio (prima di tutto verso Obama), con precisione dalla candidatura all’elezione.
Tanti splendidi romanzi in uno
Se volete capire qualcosa delle gang e degli spacciatori, dei killer e dei boss, delle città dei femminicidi (Juarez e Tijuana) e delle metropoli dei tossicodipendenti (americani), dei differenti downtown e dei porti atlantici o (poco) pacifici, di tradizioni musicali e cibi locali, delle specifiche dinamiche ed evoluzioni dei vari cartelli, degli intrecci con il commercio di armi e con gli organi di informazione (il romanzo è dedicato ai tanti giornalisti uccisi), degli affari con il Guatemala e con gli altri stati del centro e sudamerica, del tanto denaro sporco che circola nei santuari della finanza, portatevelo dietro durante tutta l’estate 2019, è lungo e terribile ma vale la pena, tanti splendidi romanzi in uno. Si alternano i protagonisti (in rigorosa terza varia) e tante biografie minori (con motivati approfondimenti), relazioni complesse parentali e sociali, contesti ricchissimi e miserrimi, azione e sentimento, un brulicare di punti di vista e di contrastanti impatti emozionali, narrati con dura maestria. «Un confine è qualcosa che ci divide, ma anche che ci unisce; non può esserci alcun muro, proprio come non c’è un muro che divide l’animo umano tra i suoi impulsi positivi e quelli negativi. Keller lo sa. Lui è stato da entrambe le parti del confine» (da cui il titolo).