Un improbabile romanzo di vecchiette arzille che compiono una rapina e scappano attraverso mezza Francia – “Le solite sospette” di John Niven – con altri personaggi al limite del parossismo. Ma sotto la superficie c’è l’esigenza di un cambio di passo, nella vita, che restituisca senso al tutto
Vabbè, Le solite sospette (346 pagine, 12,50 euro), edito da Einaudi, tradotto da Marco Rossari, è un libro che te lo devi prendere così come viene, con tutta la sua carica di improbabilità. Che un gruppo di arzille vecchiette possa compiere una rapina e poi scappare impunemente attraverso mezza Francia senza che nessuno riesca ad acciuffarle…bé, si commenta da sé. Ma come sempre l’audacia di John Niven non è tanto nella storia in quanto tale, bensì in quello che riesce a raccontare sotto la superficie della stessa.
Tra ironia e irriverenza
Rispetto ad altre sue pubblicazioni, l’impressione è che qui si sia astenuto da facili sofismi sul senso della vita per virare piuttosto verso una storia scoppiettante, surreale, ricca di colpi di scena dove spiccano personaggi al limite del parossismo. È il caso, ad esempio, del sergente Boscombe che assomiglia un po’ allo Zenigata di Lupin: pasticcione, impulsivo, con la naturale tendenza a ficcarsi nei guai. Oppure Ethel Merriman, una ultranovantenne senza peli sulla lingua, dallo stomaco insaziabile e dal grilletto facile. La lettura scorre veloce secondo i canoni di quella che potrebbe essere la classica commediola americana, dove i protagonisti riescono sempre e comunque a farla franca, portandosi a casa persino una bella risata. C’è molta ironia – l’episodio del sergente afferrato letteralmente per i testicoli mentre prova ad inseguire le rapinatrici è uno spasso – l’irriverenza la fa da padrona in tanti passaggi, qualche pagina strappa anche più di un sorriso.
Ringhiare sulla mediocrità borghese
Il nocciolo semantico di questo libro, però, si raccoglie in tutta una serie di considerazioni e domande reciproche che due protagoniste si scambiano tra loro: Susan e Julie. Provate dagli eventi e giunte in quella fase della vita dove è chiaro che il meglio è già successo e ragionevolmente non tocca aspettarsi nulla di buono dal futuro, le due si chiedono se non serva una scatto d’orgoglio, un cambio di passo, una botta di adrenalina che restituisca senso al tutto e, in definitiva, le faccia finalmente sentire vive. Eccolo qui allora, il John Niven che ci piace. Quello che ringhia sulla mediocrità della vita borghese in cui ogni cosa è pianificata, ogni cosa è programmata, salvo poi scoprire che ciascuno di noi ha bisogno di altro, anche di scelte impopolari, anche di strade poco sicure nelle quali magari perdersi, farsi male, ma poi tutto sommato alzarsi e dire «Wow, ne è valsa la pena!».
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